6. Son desta

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Ero impaziente. Gironzolavo per il salone aspettando che la porta di casa si aprisse.

Avevo voglia di vedere mia madre, ma avevo anche voglia di quei cannelloni al ragù che mi aveva promesso l'altra sera per telefono.

Ogni tanto lanciavo occhiate scocciate all'orologio, altre andavo alla finestra e sbirciavo di sotto, controllando se non fosse arrivato il suo taxi. Mia madre non aveva mai avuto un'auto, le era sempre piaciuto farsi scarrozzare in giro. Era pigra un po' come me, ma la sua spossatezza derivava da un grande quantitativo di soldi che non si era mai frenata dallo spendere.
Avere le redini dell'impero di famiglia aveva i suoi vantaggi e lei non lo aveva mai nascosto.

Mi stropicciai gli occhi, trattenendo uno sbadiglio. Avevo finito le chips di platano e il corriere del supermercato non sarebbe arrivato prima delle cinque del pomeriggio: se non mi avessero sfamata prima di subito, sarei morta di fame.

Finalmente sentii suonare il citofono. Con un sospiro, andai ad aprire.

– Perché non usi mai le chiavi per entrare? Le hai. Usale – le dissi, non appena si presentò sulla soglia.

– Che c'è? Ti pesa il sedere anche per rispondere al citofono? – mi fulminò, scansandomi con un gomito ed entrando, tenendo tra le mani una teglia ricoperta da pellicola in alluminio.

Strinsi gli occhi a fessura.

– No che non mi pesa il sedere. Ma è una scocciatura inutile.

– Ho le mani occupate dai cannelloni, non potevo tirare pure fuori le chiavi e mettermi a smanettare con le serrature.

– Lo fai sempre, mamma! Cannelloni o meno! – strepitai.

In silenzio, posò la teglia sul tavolo e iniziò ad apparecchiare.

– Lo faccio perché sei una donna adulta, Beatrice. Potrei sorprenderti in qualche situazione imbarazzante... preferisco utilizzare il citofono.

Aggrottai le ciglia, guardandomene bene dall'andare ad aiutarla con i piatti.

– Non ho un compagno, mamma.

– Potresti averlo.

– Non avrò mai più un compagno, mamma. Come potrei? Non esco di casa da un anno. La mia unica speranza sarebbe il corriere di Amazon.

Mi guardò di sbieco, mentre iniziava a srotolare l'alluminio dalla teglia. Un odore intenso di ragù stracotto invase la stanza e il mio stomaco si contorse in risposta.

– Ci sono quelle applicazioni per il cellulare, no? Dove potete chattare e incontrare gente a distanza – fece finta di digitare qualcosa su uno smartphone immaginario, come per farmi capire di cosa stava parlando.

– Non sono interessata – tagliai corto, andandomi a sedere a tavola, aspettando che mi servisse i cannelloni nel piatto.

Non le volevo dire la verità. Non le volevo dire che ero ancora innamorata follemente di Filippo, che finché lo avrei avuto in giro per casa la cosa non sarebbe minimamente migliorata. Avrei fatto qualsiasi cosa per soffocare quei sentimenti, ma dubitavo esistesse una soluzione semplice e poco dolorosa.

Era come se non riuscissi ad andare avanti. Per colpa sua, ma anche per colpa mia.
Se non mi aveva voluta lui, che aveva imparato a conoscere così da vicino la mia malattia, chi altri mi avrebbe mai potuta desiderare?

– Su, non litighiamo. – borbottò – Mangiamo.

Adagiò tre cannelloni nella mia scodella, prendendone solo due per se stessa.

– Posso averne un altro? – chiesi, con l'acquolina in bocca.

– Mangia quelli e poi, se hai ancora fame, ne prendi un altro.

La Maledizione di chi Rimpiange [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora