Quando mi ritrovai a sognare, mi spaventai. Non perché mi trovassi in un incubo, ma perché – nella maniera più assoluta – non volevo essere lì.
Serrai gli occhi e cercai di svegliarmi, ci provai con tutte le mie forze. Imprecai, mi colpii le tempie e ripetei una nenia utile a farmi rimanere lucida, ma inutilmente, ormai stavo dormendo, ormai stavo sognando.
Avrei preferito cento volte ritrovarmi nell'incubo del vecchio o del ragazzo, ma non lì, non in quel letto, non in quel ricordo di anni prima, non dentro alla notte che era stata testimone mia e di Filippo.
Mi sfuggì un grido a mezza voce, che sapeva di frustrazione e debolezza. Non volevo essere lì, non potevo essere lì.
Al mio fianco, sentii il corpo caldo di Filippo riscuotersi. Lo avevo svegliato.
– Che succede? – la sua voce era impastata.
Nel buio, lo sentii cercarmi.
Non risposi. Sperai quasi che non si accorgesse di me, ma era inutile, ero nuda e attaccata al suo petto. Eravamo reduci di una notte di fuoco e fiamme, di amore e baci. Era impossibile diventare invisibile in quel ricordo.
Mi passai le unghie sulle guance, frustrata.
– Bea? Che c'è? – il suo tono si fece più allarmato e preoccupato. Il timore si fece largo nella sua gola, spazzando via il sonno.
Lo sentii allungarsi fino al comodino per accendere la lampada.
– No! Fermo! – urlai, posandogli una mano sul bicipite per frenarlo.
Si bloccò, trattenendo il respiro. Con l'orecchio poggiato sul suo petto, sentivo il suo cuore battere rapido, esibendosi in una danza fatta di rumori pesanti e pieni, quasi assordanti.
– Che hai? – mi chiese stringendomi a sé.
Avrei voluto piangere nel sentire quel contatto. A ricordarmi di quando ancora mi era consentito dormire poggiata a lui, di quando il suo odore era stato il mio pane quotidiano e non una fragranza annusata casualmente tra un movimento e un altro.
E allora piansi. Piansi abbracciando il suo corpo, piansi nel sentire il suo calore e la sua semplice esistenza. Piansi perché quell'uomo era stato mio, una volta, e averlo perso era stato come perdere un arto.
Dio, quanto mi mancava.
– Stai piangendo?
Sentii le sue mani cercare il mio volto. Cieco, scoordinato persino nei movimenti più istintivi, mi infilò le dita nel naso un paio di volte, prima di trovare le mie guance e appurare che sì, stavo piangendo.
– Perché? – sussurrò – Che ti prende?
Non riuscivo a rispondergli. Avevo la gola bloccata.
– Posso almeno accendere la luce? Non ci capisco niente così – iniziava a risentirsi.
Non volevo guardarlo, non volevo che mi guardasse. Finché fossimo rimasti come due voci e due tocchi in una stanza senza luce, forse avrei sofferto meno. Lui sarebbe stato meno reale e l'avrei riconosciuto per quel che era: un sogno e niente di più.– No... – piagnucolai – Per favore.
Non seppe come replicare. Sentii la sua cassa toracica espandersi enormemente e un sospiro esasperato sfuggirgli dalle narici.
– Hai fatto un incubo? – tentò nuovamente, alla fine.
Mi stropicciai un occhio.
– Più o meno. – mi concessi una breve pausa – E sembrava così vero.
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La Maledizione di chi Rimpiange [Completa]
ParanormalBeatrice è preda della narcolessia da quando ne ha memoria. Il sonno la reclama e chiama a sé ogni giorno, ogni notte, costringendola a chiudere le palpebre e a perdere i sensi, per addentrarsi nel mondo onirico. Quel che sogna una volta addormenta...