5. Il ragazzo

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Quel sogno non era l'unico ad essere totalmente anomalo, ma solo il primo di due. Due sogni che apparentemente non avevano nulla in comune, se non il fatto, appunto, di essermi estranei e in un qualche modo avversi.

Ero abituata a rivivere i miei ricordi, più o meno storpiati da Morfeo. Ero abituata a rivivere scene della mia routine familiare, della mia storia d'amore con Filippo. Ricordi offuscati di una vita passata tra sogno e realtà.

Non avevo mai viaggiato in mondi fantastici, tra pirati o fate. Non avevo mai fatto sogni assurdi, non avevo mai visitato posti tropicali e combattuto draghi. I miei sogni non erano mai stati nulla di tutto questo.

Avevo sempre dato la colpa alla mia scarsa creatività, al mio profondo attaccamento alla concretezza. Un tratto caratteriale che non mi avrebbe mai resa un'architetta geniale, ma che mi aveva sempre aiutata a tenermi salda sui miei piedi, quando di saldo non avevo neppure le palpebre.

Quei due sogni erano l'eccezione alla regola. Non facevano parte di nessun ricordo passato, non avevo mai visto quel vecchio e men che meno il ragazzo.

Alcune volte si presentavano a turno durante il mio sonno, altre, invece, l'uno faceva seguito all'altro. Non sempre riuscivo a svegliarmi, dopo aver cercato la mia bocca scomparsa e aver visto il vecchio sorridere. Molto spesso, invece, uno strattone si limitava a portarmi altrove, a mescolare le carte, a far girare la stanza. E ancora addormentata venivo trascinata nel secondo sogno, quello del ragazzo.

Mi ritrovai in una realtà tanto luminosa quanto quella precedente era stata buia

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Mi ritrovai in una realtà tanto luminosa quanto quella precedente era stata buia.

Fui costretta a sollevare una mano per proteggermi dai raggi di un sole cocente, mentre i miei occhi si abituavano al violento cambiamento. Per un attimo mi sentii del tutto cieca: lucciole e flash biancastri mi stordivano e danzavano davanti alle mie pupille.

Era un incubo. In maniera diversa era pur sempre un incubo.

Ci misi un po' a riassestarmi e a mettere a fuoco il paesaggio. Quando ci riuscii, però, la prima cosa che feci fu portarmi istintivamente la mano alla bocca, per assicurarmi che fosse tornata al suo posto. Non importava quante volte ancora avrei fatto quel sogno, quante volte ancora mi sarei trovata senza labbra e possibilità di parlare: la cosa non avrebbe mai smesso di essere spaventosa.

Appurato di non essere rimasta senza una parte vitale del mio corpo, mi concentrai sul resto, orientandomi a malapena.

Questo secondo sogno era un po' più particolare rispetto al primo.

Il primo era circoscritto in una piccolissima area fatta di buio e, oltre a tenermi ben lontana dalla televisione accesa, entrare nella stanza del vecchio e morire di infarto un paio di volte, non ero mai riuscita a spingermi molto oltre.

Per quanto forzassi le cose e cercassi di controllare l'incubo, le cose andavano sempre più o meno allo stesso modo. Capitava ogni tanto, addirittura, che la porta non si aprisse e che io restassi immobile a fissare da lontano il televisore, senza il coraggio di avvicinarmi a guardare cosa stessa trasmettendo.

La Maledizione di chi Rimpiange [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora