9. La favola [II]

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– Devo farti una domanda – concluse puntandomi il dito contro, come per accertarsi che ci fossi sempre.

Sempre per quel gioco di prospettive, mi sembrò improvvisamente che il suo indice bitorzoluto e grigiastro fosse troppo troppo troppo vicino al mio naso.

– Pensi di provare rancore o rimpianto nei confronti di Filippo?

Mi drizzai.

Mi guardai attorno un paio di volte, trovando il buio e – grazie a Dio – nient'altro a scrutarmi dall'oscurità.

Non mi stupì granché il fatto che lui sapesse dell'esistenza di Filippo. Eravamo nella mia testa – fino a prova contraria – e quell'incubo doveva aver pescato un po' alla rinfusa nel calderone dei miei ricordi.

– Io... – tentennai – Io...

Ma che razza di domanda era?

Il vecchio attendeva, paziente, con un cipiglio disegnato in volto.

– Ma perché – sbottai – c'è differenza?

All'uomo sfuggì un sorriso, come se non avesse desiderato altro che quella risposta.

– C'è un'abissale differenza, tra rancore e rimpianto. Ma sei fortunata, perché questa storia parla proprio di questo.

Riaprì il taccuino e cercò qualcosa con il dito.

A me sembrava di inabissarmi sempre di più nella sedia.

Mi concessi un minuto per chiedermi, esattamente, quando mi fossi addormentata. Cosa stavo facendo, prima che il sonno mi rapisse? Non lo ricordavo e questo mi spaventava.

Ma non ebbi la possibilità di rimuginarci ulteriormente che il vecchio trasalì: – Ecco, sì, ecco qui.

Si inumidì le labbra, poi si leccò appena la punta dei dito e il suo sguardo quasi si perse.

– Sai Beatrice, da qualche parte sopra le nostre teste esiste un mondo diverso da quello nel quale sei abituata a vivere. Ci sono le città, i telefonini, la metro e gli autobus; la campagna, i boschi e i ruscelli;...

– Quindi è identica – sussurrai, soprappensiero.

– Sì. Ma no...

Certo. Era chiarissimo.

Sospirò: – C'è tutto quello che conosci, ma non ci sono le persone.

Si concesse una pausa, io aggrottai la fronte. Un pianeta sopra le nostre teste, identico alla Terra, ma senza le persone. Comprensibile.

– Non è abitato?

– No. Tutt'altro. È quasi sovrappopolato, ma non ci sono le persone, ci sono le emozioni.

Le rughe sulla mia fronte aumentarono e lui parve farci caso.

Sembrò ridere e andò avanti.

– Paura, nostalgia, amore, odio,... tutte, tutte le emozioni vivono lì, come normalissimi cittadini, con una gerarchia e con il loro equilibrio. E il loro lavoro, quello di interagire come spiriti invisibili con gli umani, influenzandoli e donandolo loro la moltitudine di sentimenti di cui la tua razza è schiava.

Le emozioni... personificate? Come creature viventi, reali, palpabili, che ci influenzavano?
Come piccoli dei?

– Ogni mattino si svegliano presto, indossano il loro ingessato e si incanalano con tutti gli altri tra le strade della propria città. Vanno in ufficio, lavorano e carburarono per gli umani.

Mi stavo nauseando, quella storia era ridicola e avevo voglia di farlo notare.

– Come fa questo pianeta a essere sovrappopolato? Le emozioni sono tante, ma non così tante.

La Maledizione di chi Rimpiange [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora