Perché ero dentro la gabbia? Mi chiesi mentalmente un attimo prima di avventarmi sulle sbarre e tirarle con una certa dose di isteria.
– Perché dentro? Perché? Che diavolo significa?
Alle mie spalle sentivo il respiro accelerato di Rimpianto.
– Hai toccato la televisione?
– Io non ho toccato la televisione. – mentii d'istinto – Ero nell'incubo del vecchio, ma senza il vecchio, e poi all'improvviso eccomi qui. In gabbia. Ma è una gabbia per leoni? Per cosa cavolo l'hanno pensata?
Il soffitto era basso e sentivo il ferro gelido premermi sulla testa. Potevo rimanere in piedi pelo pelo, Rimpianto era costretto a rimanere un po' gobbo, più alto di me di svariati centimetri. Mi afferrò per una spalla, obbligandomi a guardarlo.
– Dacci un taglio e smettila di mentire. Perché hai toccato la televisione?
Non riuscivo a staccare i miei occhi dai suoi, grandi e abbaglianti come fari in quella penombra appena rischiarata dai raggi lunari.
– Dio, – sospirai – perché i tuoi occhi sono così belli?
Lo misi in imbarazzo e non me ne dispiacque affatto. Le sue guance si contrassero portandosi dietro le piccole lentiggini assurdamente più scure della sua pelle d'ebano. Mollò la presa dalla mia spalla, scansandomi per evitare di guardarmi.
– Non rispondere a una domanda con un'altra domanda. È fastidioso – tentò di sciogliere il disagio.
Imitandomi, si accostò alle sbarre e le afferrò. Ma non le tirò, come se ci avesse già provato e rinunciato.
– Devo farti uscire da qui. Non possono mettere in gabbia anche te – sussurrò.
Mi morsi il labbro inferiore.
– Chi? Chi mi ha messa qui?
– Loro. Le altre emozioni.
Era sinceramente preoccupato. Era tutto concentrato a guardare qualcosa oltre le sbarre, o forse a cercare qualcosa. Ne ebbi la sensazione perché non sembrava trovare sollievo in quello spasmodico scrutare.
Mi accostai al suo fianco e provai a dare un'occhiata anche io, ma non trovai altro che le fronde scure del bosco che ci girava intorno. Drammaticamente, mi resi conto di avere imparato a riconoscere quel paesaggio: non era una bella notizia.
– Cosa stiamo cercando? – chiesi piano, timorosa.
– Il mio carceriere. – titubò e aggiunse – Il nostro, al momento.
– Paura?
Annuì.
Mi concentrai, ma non riuscii a scorgere nulla.
– Devo chiederti una cosa – la mia voce tremava.
Rimpianto non sembrava volersi dare pace, ma era inutile, era impossibile vedere nitidamente qualcosa.
– Mi stai chiedendo il permesso? Non è da te.
Mi si bloccò il fiato in gola e fui costretta a deglutire due volte per riprendere a respirare normalmente.
– Sto cercando di cambiare.
Si voltò nella mia direzione e aggrottò la fronte. Il suo sguardo indagava lungo l'espressione del mio viso e del mio corpo.
– Perché?
Non mi sarei mai aspettata una domanda del genere, ma era forse la più azzeccata e centrata. Feci un passo verso di lui e lasciai che l'argento scintillante dei suoi occhi mi rendesse meno cauta.
STAI LEGGENDO
La Maledizione di chi Rimpiange [Completa]
ParanormalBeatrice è preda della narcolessia da quando ne ha memoria. Il sonno la reclama e chiama a sé ogni giorno, ogni notte, costringendola a chiudere le palpebre e a perdere i sensi, per addentrarsi nel mondo onirico. Quel che sogna una volta addormenta...