10. Son desta

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Avevo dormito due ore. Lo capii al volo quando osservai lo schermo della televisione e mi resi conto che la serie TV era andata avanti senza di me per ben tre episodi.

Solitamente mi sarei imbufalita per aver intercettato l'ennesimo spoiler fuori contesto, ma rimasi immobile, distante poche spanne dal cuscino, a osservare la televisione.

Ma era mai possibile, mi chiesi mentalmente, dover sottostare a certe regole? I miei sogni si interrompevano sempre quando non dovevano, e si ostinavano ad andare avanti indisturbati quando me li volevo soltanto scrollare di dosso.

Era ingiusto e fastidioso.
E avevo mal di testa.

Mi tirai su con un grugnito scocciato. Avevo i muscoli intorpiditi, come se avessi dormito rigida tutto il tempo, ipotesi che non mi sembrava il caso di scartare.

Sapevo cosa avrei fatto da lì a poco e una coccola calorica era quello di cui avevo bisogno. Quindi mi chinai verso il mobiletto degli snack e ne tirai fuori una barretta di cereali. Con un sospiro mi lasciai scivolare a terra, addentando il dolcetto: dovevo tornare in quell'incubo. E non ne avevo tutta questa voglia.

Alcune leggende raccontavano che era possibile rientrare nello stesso sogno se, da svegli, si evitava di guardare fuori dalla finestra. Non ci avevo mai creduto, ma in quel momento mi strinsi anche a quella sciocchezza, quindi evitai di far viaggiare troppo il mio sguardo e, finita la barretta, raggiunsi la camera da letto. Le tende erano tirate e una rilassante atmosfera rossastra donavano alla stanza una luce perfetta. Non c'era niente di meglio per conciliare e forzare il sonno: uno spuntino e la tenue luce del tramonto.

Mi sdraiai, ma fu proprio in quell'istante che ebbi la consapevolezza chiara e assoluta che non sarei riuscita a riaddormentarmi. Osservando il soffitto, bastarono pochi secondi perché il sonno decidesse di scivolarmi via di dosso, abbandonandomi. Erano mesi che non mi sentivo tanto energica e vitale, e tutto ciò contribuiva a rendermi astiosa e infastidita.

Me lo stava facendo apposta, Morfeo me lo stava facendo apposta!

Tentai e ritentai, ma per quanto stimolassi il sonno, quello non accennava a voler tornare.

Provai a contare fino a quando i numeri non iniziarono a confondersi terribilmente tra di loro; mi concentrai sul mio alluce e sui suoi minimali movimenti, staccandomi da tutto il resto. Ma in sottofondo, come un urlo muto che veniva direttamente dal centro del mio cervello, i pensieri continuavano ad accavallarsi e spintonarsi.

Come sarebbe andato avanti il racconto del vecchio?

Più ci pensavo, più mi agitavo e meno riuscivo a tenere gli occhi chiusi.Era un circolo vizioso snervante, che non avevo idea di come interrompere.

Decisi di adottare una soluzione drastica.

C'era un motivo per il quale cercavo costantemente di controllare gli sbalzi d'umore tipici della mia umanità. C'era un motivo se quando Filippo era nelle vicinanze e il mio cuore batteva all'impazzata sentivo costantemente le palpebre pesanti.

Le emozioni troppo intense mi erano notoriamente fatali: il mio corpo non era in grado di reggere il colpo e, come se andasse in un qualche tipo di overdose, si spegneva e mi gettava nel mondo dei sogni.

I narcolettici non potevano permettersi di essere troppo felici. Una risata di troppo li avrebbe potuti sbattere faccia a terra addormentati.

Questo diabolico disturbo si chiamava cataplessia. E non era semplicemente quella la cosa peggiore, sarebbe stato troppo facile: la cataplessia aveva una profonda antipatia per le emozioni positive, solo per le emozioni positive. Era piuttosto raro che per una crisi di pianto mi venisse sonno. Al contrario, invece, la gioia, le guance imporporate di sangue e i sorrisi a trentadue denti mi mettevano del tutto KO.

La Maledizione di chi Rimpiange [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora