♧Chapitre 9♧

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Nella mia vita avevo sempre dato per scontato che avessi una famiglia fantastica che mi sostenesse, la possibilità di poter danzare e la felicità. In quel momento, con quell'esito, non potevo che comprendere al meglio come la vita non fosse banale, inutile, come non ci fosse dovuta ma concessa. Purtroppo non avevo colto l'attimo. Le gioie non le avevo mai notate, bensì considerate futili; non avevo mai creduto nell'amore e più che mai sentivo la necessità di provarlo, prima che tutto potesse terminare. Avevo goduto poco la mia famiglia, non ero mai andata a visitare i miei nonni al cimitero dopo la loro morte, non avevo pensato a nulla e me ne pentivo. Avevo solo venti anni, non credevo sarebbe mai accaduto tutto ciò, ma mi sbagliavo. Non volevo che Roberto lo scoprisse, molto probabilmente non glielo avrei mai detto. Da un lato, però, ero contenta che lui fosse lì ad aiutarmi ed a sostenermi. Il mondo mi crollò addosso leggendo unicamente tre parole: Leucemia Mieloide Acuta. Non piansi, sembravo morta e forse lo ero. Non esteriormente, in quanto respiravo, ma interiormente sì. A farlo fu il mio amico, aveva provato a trattenersi ma non ce l'aveva fatta. Detestavo il fatto che piangesse a causa mia, non potevo sopportarlo. Lo guardai, impassibile, e gli asciugai le guance bagnate dal pianto. Dovevo iniziare le cure, ma non ero certa di volerle fare. Sarebbe stata una morte lunga e dolorosa, ma non riuscivo a ragionare. I miei neuroni non elaboravano né trasmettevano informazioni, era come se avessero rifiutato di lavorare. Era una malattia molto comune, ma mortale. Non potevo sopravvivere, il mio corpo non era abbastanza forte. Ero gracile, la chemioterapia mi avrebbe distrutta. Se fossi stata sola al mondo, avrei sicuramente scelto di morire, ma c'erano troppe persone intorno a me che avrebbero sofferto. Io non ero egoista e perciò decisi di accettare le cure, a patto che mi lasciassero una settimana di tempo per poter fare ciò che non avevo mai fatto e soprattutto per poter avvisare i miei genitori. Mia madre aveva avuto un infarto ed una notizia del genere non avrebbe potuto far altro che distruggerla ancora di più, se non addirittura ucciderla. Proprio per questo motivo chiesi del tempo, volevo inventarmi un'altra malattia, affinché fosse meno preoccupata. Uscii dall'ospedale completamente pallida, sembravo un vampiro, anche se con sangue malato al suo interno. Roberto non aveva il coraggio di parlarmi, camminava con la testa china e le mani nelle tasche. La notizia aveva sconvolto più lui che me.
«Ehy tranquillo, vedrai farò tutte le cure e tornerò più forte di prima». Non credevo neanche io alle mie parole, ma probabilmente lui lo avrebbe fatto.
«Dafne per favore non prendermi in giro. So che è una delle leucemie più mortali e non riesco proprio ad immaginare che tu, fra qualche mese, potresti non esserci più accanto a me. Avevo promesso di danzare con te, di portarti ad un Gran Premio, di fare tante di quelle cose che in una settimana non si potranno mai portare a termine. Mi odio, mi odio per averti costretto a ballare in ogni momento della tua vita, della tua breve vita. Sei giovane, dannazione, sei troppo debole per poter sopravvivere. Io me lo auguro con tutto il cuore, donerei metà del mio corpo per farti guarire». Era arrabbiato con se stesso e lo stavo odiando. Non era colpa sua, ma lui si auto convinceva che fosse così.
«Infatti non ho intenzione di fare tutto, sarebbe impossibile, ma il mio sogno in questo momento è solo quello di assistere ad una gara di Formula 1, non importa il resto. Ho scelto di curarmi per non apparire egoista, ma adesso ho bisogno di prendermi cura un po' di me e di scegliere ciò che io voglio fare. Non perché la danza non l'abbia scelta io, ma forse ho esagerato troppo: avrei dovuto bilanciare la mia passione con le altre necessità. Ho pensato troppo alla danza ed adesso non c'è più tempo per pensare, anzi non c'è tempo più per fare nulla se non agire di impulso. Ho fin troppe volte ragionato, ma ogni volta che l'ho fatto ho avuto i sensi di colpa. Ora non debbono esistere». Le parole mi uscivano di bocca automaticamente e forse furono le più sincere che io potessi mai dire in una situazione così difficile.
«Vorrei avere un quarto del tuo coraggio e della tua sfrontatezza». 
«Io non ho nessuna delle due, sono solo stanca». Annuì e mi fissò. Era uno sguardo insistente e mi dava terribilmente fastidio in quel momento. Normalmente avrei fatto una battuta per alleggerire l'atmosfera, ma non me la sentivo. Mi dava noia tutto, anche solo respirare.
«Comunque vada Rob, ricorda che ti ho sempre voluto bene e che vivrai anche senza di me. Io ti osserverò da lassù». Scoppiò a piangere e trascinò anche me. Speravo unicamente che tutto andasse per il meglio.

♧Juste Danser♧|| Charles Leclerc [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora