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«Colton, è tardi! Che ci fai ancora a letto?»

Cynthia entra con irruenza nella camera del figlio, ma Colton, non appena sente la porta aprirsi, si rifugia con la testa sotto le coperte e si affagotta.

«Oggi non vado a scuola» soffoca nel tessuto.

«Perché non dovresti andarci?» domanda sua madre, confusa.

Il ragazzo fa di tutto per non lasciare che il pianto incrini la voce, ricacciandolo con fatica in gola. «Non ci vado e basta» risponde.

Dopo l'incidente del giorno prima, agli allenamenti, ha capito che qualcosa non va in lui. Non ha intenzione di andare in giro con la paura che possa eccitarsi da un momento all'altro senza un reale motivo. Oltretutto, non dopo aver visto come sia accaduto anche attorniato da maschi.

Non gli piacciono gli uomini, ha provato a farsi qualche fantasticheria con il tizio del porno guardato la notte precedente, ma la sua attenzione è virata presto nelle curve della donna sotto di lui. Si sente un minimo sollevato, per questo, ma non può comunque rischiare. Sono già troppe le volte in cui deve chiedere il permesso di andare in bagno e si tocca senza pudore. Perciò ha deciso che non andrà più a scuola, solo che non sa ancora come spiegarlo ai suoi genitori.

«Cosa significa "non ci vado e basta"?» persiste la madre.

«Lasciami in pace!» sbotta lui, tira anche un calcio da sotto le coperte per enfatizzare. «Vattene, voglio restare solo!»

Rimane paralizzato per qualche istante, poi sente un sospiro e la porta della camera richiudersi. Esce fuori dalle coperte e prende un respiro profondo, il volto è arrossato così come gli occhi, ma non cederà al pianto. No, non lo farà. Anche se avverte lo zigomo sinistro bagnato.

Trascorre qualche minuto, in cui Colton si imbambola nello spicchio di luce proveniente dai buchi della tapparella che crea giochi di ombre sulla parete opposta al letto; gli occhi sono appannati e il naso gocciola. La penombra della stanza lo fa sentire al sicuro, il silenzio anche, niente e nessuno a innescare strani pensieri nella sua testa.

Il campanello che suona, però, lo fa sobbalzare.

«Merda...»

Deve essere Willis. Contava sul fatto che la madre lo chiamasse per dirgli di non passarlo a prendere, dato che non vuole andare a scuola, ma forse Cynthia spera che Willis possa convincere suo figlio a saltar giù dal letto. Non ci riuscirà, Colton ne è sicuro.

Si rintana di nuovo sotto le coperte, pronto all'entrata in scena del suo amico, le lacrime colano lungo le guance e non ha intenzione di farsi vedere in quello stato. Non passa che un minuto affinché si riapra la porta, per poi chiudersi l'attimo dopo. I passi di Willis calpestano le piastrelle, il suo corpo fa sprofondare il materasso, proprio all'altezza dei fianchi di Colton.

«Perché non vuoi venire a scuola?» domanda senza giri di parole.

Colton socchiude le labbra e basta quello a fargli tornare il magone, gli manca l'ossigeno.

Willis attende qualche secondo, infine dice: «Non ci sono né verifiche né interrogazioni, oggi, i compiti li hai fatti tutti – dato che metà li hai copiati da me – e non vedo altri motivi per cui dovresti startene a casa.» Fa una piccola pausa. «Essere stanchi non è un motivo» sottolinea.

Colton scuote la testa, anche se è consapevole che non può essere visto. «Non è perché sono stanco...» Pronunciare quella frase è difficile, soprattutto perché il pianto non cessa, ed è complicato parlare senza singhiozzare.

«Allora cosa?» Willis appoggia una mano sul suo braccio coperto, passa alla schiena e si ferma sul bacino. «Qualcuno ti prende in giro e non me l'hai detto?»

Desiderio CarnaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora