16

2.7K 206 441
                                    

«Passa qua!» grida George.

Colton non lo ascolta e continua ad avanzare lungo il campo in erba artificiale. È da tutto l'allenamento che ha la testa da un'altra parte, come ormai succede da quando è tornato dalla gita, quasi una settimana prima. Non ce la fa più, non può passare altri sette giorni a ignorare Willis. Almeno poi la scuola sarà finita e sarà più facile, si ripete. Non sarò costretto a vederlo.

Tira il pallone e questo raggiunge i piedi di Peter, peccato che al momento stia giocando per la squadra avversaria.

È immediata l'imprecazione di George.

«Ti vuoi concentrare?» lo ammonisce, avvicinandoglisi, e gli tira una gomitata sui fianchi. «L'unica cosa decente di oggi è stato lo stretching, cazzo.»

«Scusa» risponde Colton. Ma non si trova lì, in quel campo, con i suoi compagni di squadra: è lontano dalla realtà. Vorrebbe suonare la batteria e distruggere i timpani del vicinato, oppure andare da Harvey e infilargli il sesso in bocca, fino a farlo soffocare, fino a quando i testicoli non saranno più in grado di produrre sperma.

Si sente avvampare e corre via, riprendendo la partita d'allenamento senza più dar retta alle lamentele di George, ma è probabile che se continuerà così il coach non lo farà giocare, domenica. Non che gli interessi davvero; sta pensando di lasciare il calcio, non lo coinvolge più come prima. Sono solo ormoni in eccesso che deve ricacciare in gola ogni singola volta.

Rincorre la palla che sta per uscire dal campo, ma si blocca proprio un secondo prima di prenderla. Il pallone oltrepassa la linea bianca e qualcuno gli impreca contro. Tuttavia Colton ha le orecchie tappate.

Dall'altra parte della recinzione che delimita il campo c'è Willis, e sta guardando proprio lui.

C'è Willis, con la faccia intristita e gli angoli della bocca rivolti all'ingiù.

C'è Willis.

Colton non ci riflette neanche un secondo, abbandona l'amichevole e si dirige confuso ma a passo svelto da lui. Gli altri non sembrano accorgersene, forse perché hanno rimesso la palla in gioco e alla sua squadra non interessa di essere senza un elemento che quel giorno non ne ha fatta una giusta.

Quando c'è solo la rete a dividerli, Colton sente di avere il fiatone, eppure sono stati pochi passi. L'altro è immobile. Le iridi, del suo colore naturale, lo fissano ancora e sembrano cercare qualcosa, lo stesso fa lui, incapace di proferire parola.

Willis poi alza un braccio e si aggrappa con tre dita al fil di ferro, facendole passare nei buchi. Colton non resiste nell'avere un contatto con lui: solleva la mano destra e appoggia le dita sulle sue.

Willis non si ritira.

«Mi manchi» dice proprio quest'ultimo. «Possiamo parlare?»

Colton sta per rispondere, ma il coach urla il suo nome e gli ordina di tornare in campo. Non ha il tempo di capire le dinamiche, neanche i propri sentimenti.

Willis è venuto a cercarmi, non sto sognando, le sue dita sono vere. Sono calde.

«Anche tu...» mormora.

«Colton! Muovi le chiappe o, non solo non ti faccio giocare la prossima partita, ma ti lascio in panchina fino alla fine del campionato!»

«Scusa... devo andare.» Colton abbandona il contatto con la mano dell'altro ed è come sanguinare dal cuore. Corre poi di nuovo in campo, ma all'ultimo si volta e gli dice: «Aspettami» prima di riprendere a correre.

Non ha mai voluto come quel giorno che l'allenamento finisca, per i restanti minuti continua a sbirciare con la coda dell'occhio Willis, nella speranza di non vederlo andare via, ma il ragazzo non stacca mai le pupille da lui, seguendo la partita fino alla fine. Quando finalmente il coach grida di andare a cambiarsi, Colton scappa dal campo e corre da lui. Il sudore appiccicato alla schiena non è per la fatica, ma per l'ansia.

Desiderio CarnaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora