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Colton, emaciato e per niente stabile, si sta reggendo alla soglia del cancello aspettando che compaia Willis, e l'amico, appena varca il portone di casa sua e lo vede, si precipita da lui allarmato, sbraitandogli contro: «Che cazzo hai combinato!»

«Ho fatto a botte con un tipo...»

«Spero che questo tipo sia ridotto come te, almeno.»

Colton sbuffa e si aggrappa a Willis quando questi gli passa un braccio attorno alle spalle e lo accompagna fino al portone. Ci vuole un po' per raggiungere l'ascensore ma, quando riesce ad appoggiarsi alla parete, tira un sospiro di sollievo.

«Non raccontarmi balle e dimmi che è successo» gli ordina Willis.

Colton fissa i suoi occhi preoccupati per qualche istante e alla fine risponde in un mormorio: «Sono io che ho voluto fare a botte.»

Deve sforzarsi per non piangere di nuovo, anche se vorrebbe farlo.

«Perché? Con chi?»

Le porte dell'ascensore si spalancano al terzo piano. Willis rinuncia a una spiegazione soltanto perché non devono farsi scoprire dai suoi genitori e sua sorella, perciò entrano in casa in silenzio e si dirigono nella stanza del ragazzo. Questi chiude la porta con cautela e si volta verso Colton, che all'improvviso ha cambiato idea e non vorrebbe più trovarsi lì, sotto lo sguardo indagatore, triste e arrabbiato dell'amico.

«Allora, che cos'è successo?» domanda ancora Willis.

Gli afferra il volto e lo gira a destra e a sinistra per osservare i danni: la guancia sinistra è graffiata ed esce un po' di sangue dal naso, ma Colton non avverte il dolore fisico, è sovrastato da un tipo di dolore diverso.

Non risponde.

E Willis continua a scrutarlo.

«Vieni, ti do una ripulita.» Viene accompagnato nel bagno personale di Willis e, dopo aver acceso la luce, l'amico può osservarlo ancora meglio. «Togliti i vestiti, sono pieni di terra.»

Colton fa come gli è stato detto, nonostante sembri che i muscoli non gli appartengano. Pure con la testa non si trova in quel bagno e dentro di sé si stanno facendo strada orribili sensazioni.

Volevo risolvere una questione importante, ma credo di averla solo peggiorata.

«Hai macchiato i pantaloni» dice Willis.

Lo indica sul ginocchio e Colton nota una chiazza rosso scuro che vi si è espansa attorno. «Ci sono caduto sopra qualche volta, devo essermi sbucciato» parla atono. Willis annuisce e gli dice di levarsi anche quelli, mentre lui va a cercare del cotone e acqua ossigenata, oltre a dei cerotti.

Colton trema appena e si toglie i pantaloni, la vista gli si fa lucida ma ricaccia indietro il pianto. Anche le gambe hanno uno strano tremolio, perciò si siede sul bordo della vasca e lo stringe, tenendo lo sguardo fisso sul ginocchio sanguinante.

Poco dopo Willis ritorna con l'occorrente per medicarlo. Si inginocchia davanti a lui, imbeve un po' di cotone nell'acqua ossigenata e comincia a tamponarlo. Il bruciore è istantaneo.

«Resisti un altro po'» gli dice Willis, concentrato.

Colton lo lascia fare ed emette un lieve sospiro. È stata una fortuna che Willis fosse ancora sveglio, non voleva tornare a casa conciato in quel modo, e non può che pensare a quanto sia felice di avere un amico come lui, che gli sta lasciando i suoi spazi per rimettere a posto le idee, benché sappia che presto o tardi dovrà subirsi le sue infinite domande.

È per questo che lo anticipa.

«Erano tre, i tipi.»

«Tre!» Willis sgrana gli occhi e il movimento della mano si blocca. «Erano ubriachi? Drogati? Ti hanno derubato?»

Desiderio CarnaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora