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Mi girai nel letto cercando di ignorare i battiti accelerati del mio cuore che mi impedivano di riposare tranquillamente. Le 6.30, avevo dormito praticamente 5 ore scarse, con un sacco di immagini della sera prima in mente; Jeff, Brighton, la musica… Alex. Non dovevo pensarci, era giusto che andasse così, era giusto che conducessi la mia vita senza intralciare ulteriormente quella di Alex; dovevo reprimere il desiderio di correre da lui e abbracciarlo per chiedergli scusa, dovevo evitare qualunque patetico tentativo di approccio.

Jennifer dormiva tranquilla nella camera degli ospiti, con le prime luci dell’alba che le illuminavano il viso, sul quale aleggiava l’ombra di un sorriso rilassato; come era bella, sembrava che tutto andasse alla perfezione nella sua vita, come se nessun ostacolo avesse mai potuto scoraggiarla o privarla del suo meraviglioso sorriso. La invidiavo un po’, di solito ero io la ragazza tranquilla, quella con una vita sempre piena, soddisfacente e serena; quella dalla quale sapevi esattamente cosa aspettarti e quando aspettartelo; almeno era così, prima… prima di Jeff… forse era proprio la sua presenza e la sua influenza così forte sulla mia persona che aveva scombussolato tutto, forse se non l’avessi incontrato… no. Allontanai subito l’idea dalla mia testa e mi concentrai nel cercare i vestiti, senza svegliare Jennifer.

Dopo aver indossato la mia canotta e gli hot pants mi diressi alla porta ed estrassi dalla borsa le scarpe; mi incamminai per i fioriti vicoletti di Wimbledon, con gli stessi colori, gli stessi profumi e la stessa atmosfera di qualche giorno fa, ma con un altro effetto su di me, tutt’altro che positivo. Decisi di camminare lentamente e prendere la strada più lunga per la metropolitana, incurante dell’aria ancora fresca della notte, guardando sorgere le prime luci dell’alba, osservando le gocce di rugiada sull’erba, i cespugli e le rose, quelle rose dall’odore tremendamente nauseante. Arrivai in metropolitana e presi dalla borsa la mia felpa, attaccai al mio Galaxy gli auricolari ed aspettai distrattamente che passasse la metropolitana, cercando di ignorare la poca gente che aspettava come me, ognuno con i suoi pensieri, ognuno con i suoi problemi. Mi sentivo tranquilla in quell’ambiente così distaccato e poco familiare, avevo bisogno di stare un po’ da sola, volevo pensare e prendere un po’ di tempo per me stessa, prima di tornare a far finta che tutto fosse perfetto.

Alle 7 scesi a South Kensington e mi fermai davanti al portone del mio condominio. E se Alex mi avesse sentita salire? Se si fosse accorto che stavo tornando? E se mi avesse voluto parlare? No, dovevo evitare di imbattermi in situazioni che non potevo fronteggiare con quello stato d’animo. Decisi di non prendere l’ascensore e mi avviai silenziosamente verso il mio appartamento. La porta di Alex era chiusa e non c’era nessun elemento che mi aiutasse a percepire la sua effettiva presenza, così entrai in casa e misi la caffettiera sul fuoco. Mi resi conto, in un barlume di lucidità, che era lunedì e avrei dovuto lavorare, quindi mi affrettai, dopo una brevissima riflessione sul da farsi, a chiamare l’hotel e avvisare che sarei mancata. Controllai il telefono e abilitai la connessione dati, che mi rivelò due messaggi di Jeff (praticamente un record)

Buongiorno… come stai?

Sei sveglia?

Incredibile ma vero, non avevo molta voglia di rispondergli, ma visto come era stato comprensivo e premuroso nei miei confronti non potevo usargli quest’ingiustizia.

Sono a casa. Va meglio, grazie

Mi sorpresi di come potessi essere fredda e distaccata, ma diamine non potevo farci niente, non riuscivo ad essere falsa o a nascondere i miei stati d’animo e tantomeno volevo farlo!

Bene… sei sola?

Fu la risposta di Jeff

Si, niente lavoro. Ho bisogno di staccare.

Risposi e spensi la caffettiera, per poi andare a fare una doccia veloce, per riprendermi un po’ e rilassarmi. Una volta uscita dalla doccia presi il phon e lo attaccai alla presa di corrente… sul comò accanto alla mia foto con Alex (uno dei suoi tanti regali) ma porca puttana! Già non era per niente facile non pensare, poi lo era ancora di più se oltre che alla mente anche la casa era disseminata di ricordi! Il trillo del telefono mi fece tornare alla realtà: Jeff <<pronto?>> risposi <<buongiorno di nuovo. Disturbo?>> chiese tranquillamente Jeff <<no, stavo facendo una doccia e… no. Non disturbi>> preferii evitare la parte dei ricordi <<meglio così. Che mi dici? Cerchi compagnia?>> mi guardai allo specchio e certamente non era il caso di vedere nessuno prima che le valige sotto i miei occhi non fossero sparite <<non so, sono stanca e mi sento debole…>> risposi flebilmente <<facciamo così. Sono quasi sotto casa tua con pancakes, plumcakes, cupcakes e qualunque altra cosa possa finire con “cakes”… se non ti va di vedere nessuno ti lascio il tutto e torno ai miei affari>> sgranai gli occhi e spalancai la bocca, felice che Jeff non potesse vedermi <<m-ma no, non dovevi!... va bene, dammi solo il tempo di rendermi presentabile>> risposi dopo un attimo di silenzio <<tra dieci minuti sono da te, decidi cosa vuoi fare>> mi disse Jeff in tono rassicurante <<ok, vado>>. Misi giù e mi affrettai ad asciugare i capelli e ad indossare un jeans e una T-shirt, per poi correre a nascondere occhiaie e pallore.

Suonò il campanello, così presi il citofono <<chi è?>> chiesi <<Jeff. Scendi?>> mi chiese restrittivo <<no. Sali>> decisi alla fine rendendomi conto di non avere la minima voglia (né la forza) di scendere, aprii il portone e mi diedi un’ultima sistemata, ordinai i capelli e accesi il televisore, facendo un po’di zapping… di Jeff ancora non c’era traccia… molto strano. Lo chiamai ma non rispose, finché riprovando sentii la suoneria del suo telefono nel pianerottolo, aprii la porta ed emisi un urlo stridulo, secco, carico di paura.

E fu amore.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora