Se solo potessi

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Per un attimo fui convinto che quello era solamente un becero tentativo di riallacciare i rapporti con me. L'ipotesi però svanì subito, qualcosa mi diceva che una persona del genere avrebbe utilizzato altri metodi per avere un contatto.

Ciò che mi lasciò più perplesso fu la parte legata alle note. Che collegamento poteva esserci con le circostanze? In quel momento non percepii nulla, un vuoto enorme si creò nella mia mente, a colmarlo solamente altrettanti punti interrogativi.

Il pomeriggio passò con molta tranquillità, il tempo in quel momento non si affrettò a passare come al suo solito. L'unica attività a cui mi dedicai fu quella di ascoltare qualche canzone dai vinili vicini al giradischi di papà. Spaziai da Jaymes young a Paul Kalkbrenner fino ad arrivare ad artisti come Matt Maeson e Chase Huglin.
In quegli istanti dimenticai tutto quanto: Rae, Margot, la scuola, le lettere, il libro. Non contavano in quel momento.
Ad essere presente ci fu solamente un grande senso di leggerezza, l'assopirsi delle emozioni attraverso i suoni nostalgici generati dai solchi all'interno dei dischi in gommalacca che scorrevano dolcemente accarazzati dalla puntina ormai consumata del giradischi.
Restai focalizzato sul cielo poco al di fuori dalla finestra della camera, sul battito del mio cuore che man mano aumentava.

Ad un tratto però il dolce affievolirsi delle note nell'aria venne interrotto dal suono di un telefono che squillava.
“Chi può essere? Di nuovo papà?” domandai tra me e me.
Mi alzai dal letto, lievemente infastidito dal continuo ripetersi della suoneria, cercando il cellulare.
Mi sbagliai: era Rae. Risposi senza esitazione.

“Pronto? Ciao Rae!” esclamai.
“Ciao Owen! Ti ho chiamato perché volevo chiederti una cosa. Ma prima di ciò, alla fine sei andato al parco?” domandò con molta curiosità.
“Sì, alla fine sono andato. Inizialmente credevo che fosse stata una mossa inutile, indovina invece? Ho trovato un'altra lettera! La ho qua con me ora.” replicai entusiasta.