Se solo potessi

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Tutto ciò prese una piega ancor più inquietante quando pensai alla rapidità dei fatti accaduti. Doveva essere lei, oppure sapeva qualcosa, ne ero quasi certo.

Questo fluire di ricordi e pensieri s'interruppe bruscamente quando sentii un rumore metallico provenire dalla serratura dell'uscio.

"Ciao Owen, sono tornato!" Disse mio padre, riempiendo i polmoni d'aria per far risuonare la sua voce all'interno di tutta la casa, con l'intento di farsi sentire.
"Papà? Sei tu? Che ci fai già a casa?" risposi, con molta perplessità.
"Come? Cosa ci faccio a casa ora? Owen, io torno sempre a quest'ora. Hai smarrito la bussola per caso? Hahaha." replicò scherzosamente.

Confuso diedi un'occhiata all'orologio: erano le 17:25.
Dio mio, non mi ero accorto del fatto che fosse passato così tanto tempo! Allora il fatto d'essere in quiete era solo una sensazione, una delle solite.

"Hai ragione, che sbadato. Com'è andata al lavoro?" domandai incuriosito.
"E' stata la solita giornataccia, nulla di più. L'unica cosa di cui sono contento è di essere tornato a casa per stare un po'con te, Owen."

Per Dio, quanto mi rimase impresso il momento seguente a quella conversazione, bastò un attimo per stravolgere ogni piano. Sapevo che da quel frangente di tempo in poi sarebbe cambiato tutto quanto.

Dopo i saluti, ad interrompere la conversazione, ci fu un'evidente suono di vibrazione provenire dalla tasca dei pantaloni di mio padre. Era il suo cellulare, il riverbero era talmente forte da far sì che anche io me ne accorgessi.
Non fece molto caso al fatto che qualcuno lo stesse chiamando inizialmente, ci mise del tempo tirandolo fuori dalla tasca ed osservò il numero comparso sullo schermo, affiancato sul basso dalle icone della cornetta rossa e da quella verde.

"Telefonata di lavoro, vero?" domandai.
"No, non conosco questo numero. Il prefisso non è nemmeno quello locale, avranno sicuramente sbagliato." rispose, lasciando trasparire una leggera perplessità.