1. L'inizio della fine

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Grimmauld Place n. dodici
17 Dicembre, 03:21 am




James ci sorride, i capelli neri sparati in ogni direzione e gli occhi nocciola dietro le lenti degli occhiali che ci scrutano un po' brilli. Alza un braccio con l'intento di brindare a lui e ai suoi movimentati diciotto anni di vita, solo che sta stringendo in mano una fetta di pizza e non un bicchiere.

Indossa una vecchia t-shirt scura, una di quelle che passano di cugino in cugino quando al più grande non entra più. Era di Ted Lupin, Teddy, il figlioccio di zio Harry, che ora sfoggia la sua chioma azzurra più brillante e osserva con un sorriso James che, in piedi sul tavolo, si schiarisce la voce.

«Ringrazio la mia famiglia perché probabilmente senza di loro non sarei mai arrivato a questa veneranda età» inizia, ciondola da un piede all'altro. Il cervo che ha tatuato sull'avambraccio spicca più che mai a contrasto con la pelle chiara.

Gli invitati ridono e lui subito si affretta a proseguire. «Non sto scherzando, miei prodi. Se non fosse stato per Fred, mio fratello, che a sette anni ha tirato la mia testa fuori dalla parete in cui mi ero incastrato, e per Rose, che ha evitato che il goul in soffitta mi mangiasse, e per tutti gli altri cugini qui presenti, mia madre mi avrebbe ammazzato o spedito in un collegio in Romania» da un vorace morso alla pizza. «E ora, balliamo!»

Prendo per mano la mia migliore amica e la trascino nella pista improvvisata in salotto.

Non immaginavo che le cose potessero precipitare così velocemente.

***

«Dominique!» strillo barcollando leggermente sulle mie scarpe alte. «Ci hanno chiuso fuori!» la mia voce echeggia nel silenzio della notte. L'unico rumore udibile nel raggio di chilometri è il fruscio delle foglie e un allarme che suona.

Non vedo niente, l'unico lampione presente in questa dannata strada è rotto. Il vento freddo, tipico di Londra in inverno, mi scompiglia i capelli legati alla bene e meglio in una coda alta.

Tiro la maniglia di casa Black, assesto pugni e calci sulla porta e, infine, mi siedo sconfortata sui gradini del pianerottolo. Quel Serpeschifo di mio cugino Albus me la pagherà cara, non appena mi sarò ripresa da tutti i quintali di firewhiskey che ho ingurgitato, s'intende.

D'accordo che gli avevo promesso che non avrei fatto nulla di irresponsabile, ma io sono Rose Weasley, il mio corpo è composto al cinquanta percento da impulsività e sarcasmo, tutto il resto è alcool. Perciò non è davvero colpa mia se Malfoy, da oggi, non potrà mai avere figli, ma solo ed esclusivamente del mio carattere, su cui non ho controllo. Il calcio micidiale che gli ho assestato era davvero potente, non per vantarmi, ma ho appena impedito che un aristocratico dai capelli catarifrangenti si riproduca, popolando così la terra di idioti. Dovrebbero essermi tutti grati.

La mia migliore amica afferra la sua bacchetta e me la punta in faccia, dopo aver pronunciato un sonoro Lumos. Impreco a bassa voce, coprendomi gli occhi con le mani. «Mi stai accecando!»

Dominque ride, ficca il tacco a spillo in una crepa del pavimento e finisce spiaccicata a terra come un salame.

Lancia un urlo che se avesse potuto avrebbe mandato in frantumi il vetro del lampione, ma è già sfasciato quindi niente. «Il mio piede, aiuto, salvami Rose!» strilla, facendomi scoppiare la testa.

«Credo che sia rotto» singhiozza senza piangere. Le vado in contro sistemandomi il mio meraviglioso vestito scosciato e pailettato, che brilla di luce propria.

Mi piego sulle ginocchia per stare alla sua altezza e lei mi afferra le guance con le mani. «Voglio che tu prenda la mia macchina. Tratta bene la mia JJ quando non ci sarò più»

Sbuffo, la mano che corre a tirarle uno scappellotto in fronte. «Prima di tutto, quella è la mia macchina, e poi, stupida non stai morendo» esclamo credendo di apparire severa e autoritaria, ma probabilmente a causa della mia faccia disastrata sembro solo matta.

Dominique sobbalza e sembra rinsavire, tanto che spalanca la bocca su cui prima c'era una perfetta passata di rossetto rosso, mentre adesso la stessa espressione di Joker.

«È la mia macchina, brutta carota, come osi rivendicarne la proprietà dopo tutto quello che io ho fatto per te?!» mi tira i capelli, e anche se non ho capito molto di ciò che ha appena detto, visto che l'ha fatto con un tono talmente acuto che probabilmente sono riusciti a comprenderla solo i cani, la guardo in cagnesco, così per restare in tema, e mi avvento su di lei.

Rotoliamo sull'erba umida del giardino; le mordo un braccio, sentendola imprecare ma non sono sicura se di dolore, però ne dubito, oppure di sorpresa, il che è già più probabile siccome ritrovarsi sulla pelle lo stampo dei denti di un essere umano istruito, non è una cosa che accade molto spesso.

«Questo non vale!» urla. Mi assesta un calcio su uno stinco, e io di rimando le afferro delle ciocche di boccoli biondi, tirandole con forza. Avverto dei rami pungermi la pelle, ed è solo in quel momento che mi accorgo del fatto che siamo appena finite contro un cespuglio di bacche, che ci cadono addosso come se piovessero, macchiandoci la pelle di viola scuro.

Riesco a prendere il sopravvento e mi siedo a cavalcioni su di lei, con un tacco in una mano, puntato contro la sua gola. «Hai cominciato tu» sbotto, ma non so se è vero.

Dominique annuisce distrattamente, alzando le mani in segno di resa. «D'accordo, hai ragione. Ti voglio bene Rose»

«Oh» dico commossa. «Mi voglio bene anche io!»

Lei mi spinge e si alza barcollando, io resto sdraiata, scoppiando a ridere davanti alla sua faccia imbronciata. Si strofina le gambe sporche di terra e cerca di dare un senso all'ammasso di capelli biondi che hanno preso le sembianze proprie, sulla sua testa.

Proprio in quell'istante, la porta di casa si spalanca emettendo un cigolio spettrale, che subito fa scattare il mio viso verso l'alto, in allerta. Due figure appaiono sulla soglia, ma non riesco a distinguerne i lineamenti: la luce accecante che proviene dall'interno mi sta facendo bruciare gli occhi.

«Tornate dentro, Rose è stata assolta dai suoi peccati»

Udendo la voce di Albus sorrido felice, un po' perché mi ha appena ricordato che le mie colpe ricadono automaticamente anche sulla mia migliore amica, nonostante lei non abbia combinato nulla, e un po' perché mi si stanno gelando le chiappe qui fuori.

«Ad una condizione» subito la mia bocca torna curvata verso il basso, siccome il tono cadenzato di Scorpius Malfoy e tutto Scorpius Malfoy, sanno benissimo che io, le sue condizioni, posso benissimo usarle come carta igienica. «Devi chiedermi scusa»

Una risata isterica abbandona le mie corde vocali senza che io le abbia dato il permesso di farlo. Poggio nuovamente la testa sull'erba e sollevo il dito medio. «Giammai»

«Come vuoi...» esclama rilassato, e anche se non riesco a vederlo, posso immaginare senza problemi il ghigno sulla sua faccia. Cosi come si era aperta, la porta si richiude, lasciandoci al buio.

Sono già pronta ad alzarmi con un balzo da ninja, perché nessuno può permettersi di arrecare a me medesima un tale affronto, nemmeno se quel qualcuno ne ha tutto il diritto, quando capto uno strano movimento poco più avanti.

È James, constato, con la faccia spiaccicata contro il vetro del salotto, i capelli neri arruffati, palesemente ubriaco, che ci mima qualcosa con le labbra che io interpreto come: "vi farò passare dalla finestra del bagno" e perciò, sogghigno soddisfatta.

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