5. "Non farò sesso con te, Malfoy"

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Finita la cena ci ritiriamo tutti nelle nostre camere, nell'attesa che arrivi la mezzanotte e che gli adulti se ne vadano a dormire.

Chiudo la porta alle mie spalle con una manata che, involontariamente, produce un rumore quasi assordante per il corridoio. Scivolo fuori dal mio scomodo abito da sera lasciandolo cadere sul pavimento e lo allontano con un calcio. Sfilo le scarpe e tiro un sospiro di sollievo: mi stavano uccidendo.

Cammino avanti e indietro per la stanza in biancheria intima, beandomi della moquette morbida sotto i piedi. Poi afferro un paio di pantaloncini corti della tuta dalla valigia, li infilo e mi lancio a pancia in giù sul letto, decidendo che resterò in questa posizione fino a che non sarà ora di uscire per andare da Albus.

L'orologio appeso alla parete segna le nove e venti. Sarà una lunga attesa.

Appello con un incantesimo non verbale il pacchetto di sigarette che ho nascosto da qualche parte nel mio bagaglio. Generalmente non fumo quasi mai, però questa giornata è stata estenuante per i miei nervi Weasley, e ho bisogno di rilassarmi.

Accendo la sigaretta e la porto alle labbra.

Fatto sta che il mio attimo di pace e solitudine dura poco, infatti mentre mi domando se sia il caso di mettere in ordine l'ammasso di vestiti che ho lanciato a terra, rovistando precedentemente nella mia valigia, la porta si apre senza che io abbia espresso la mia approvazione a riguardo.

E siccome su questa terra c'è solo una persona fastidiosa a tal punto da ignorare la cosiddetta privacy, premo la fronte contro il copriletto e trattengo un urlo di frustrazione. «Malfoy!» sbotto. «Perché non vuoi lasciarmi in pace?»

«Mi annoio» scrolla le spalle. «E poi infastidirti mi diverte»

Lancio un'occhiata alle mie spalle per controllarlo: sta fissando il mio sedere lasciato in bella mostra dalla pozione ambigua ma comoda in cui sono sdraiata, sogghigna.

Sbuffo, ma non ho intenzione di spostarmi per lui. D'altronde non mi vergogno del mio corpo e poi, non avendo la maglia addosso, è come se fossi in costume, e lui mi ha visto in bikini talmente tante volte che probabilmente conosce alla perfezione la mappografia delle lentiggini che ho sul fondoschiena.

«Non è da gentiluomo starsene lì impalato a fissare le chiappe di una signora» gli faccio notare, stizzita.

«Ah, ma perché sei una donna?»

Gli lancio un cuscino in faccia con una forza tale, capace di farlo indietreggiare di qualche passo.

Accenna una risata, chiude la porta con molta più delicatezza di quella che avrei usato io, e si lancia sul letto, sfilandomi la sigaretta dalle mani e portandosela alla bocca.

È abbastanza lontano da non potermi toccare, ma vicino quel che basta per permettermi di sentire il calore del suo corpo.

I suoi occhi grigi guizzano sulla mia figura, soffermandosi sul mio piccolo seno schiacciato nel push up. Poi, per tutta la sua permanenza in questa stanza, non si permette più di abbassare lo sguardo più in basso delle mie labbra.

«Sei una merda galattica» lo informo, perché qualcuno prima o poi doveva pur dirglielo.

«Anche tu» replica rilassato, abbandonando completamente il suo fare freddo e scostante. Poggia la testa sulla mano libera e butta fuori il fumo, inclinando appena il viso per evitare di soffiarmelo in faccia.

Indossa ancora il completo elegante, constato lanciandogli una rapida occhiata, però la giacca è sparita e le maniche della camicia bianca sono arrotolate fino ai gomiti.

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