𝕀𝕀𝕀. 𝚂𝚞𝚛𝚙𝚛𝚒𝚜𝚎

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𝕀𝕀𝕀. 𝚂𝚞𝚛𝚙𝚛𝚒𝚜𝚎

Katsuki socchiuse la porta della sua stanza e scivolò fuori con passo furtivo, si guardò intorno quasi trattenendo il respiro. Suo zio non sembrava essere in casa: probabilmente era uscito a fare compere, probabilmente lo stava evitando. Tirò un sospiro di sollievo, aveva passato una notte d'inferno, costellata di incubi e bruschi risvegli, e si era svegliato con il sapore delle lacrime in bocca e un mal di testa pulsante. Non avrebbe mai potuto affrontare anche suo zio in quel momento. Non si erano più parlati dopo ciò che suo zio gli aveva detto in ospedale, non avevano avuto modo di chiarire, o forse Katsuki non aveva voluto dargliene l'opportunità. Le accuse che gli aveva rivolto gli bruciavano ancora dentro. Aveva giurato a se stesso che non avrebbe mai lasciato che qualcuno lo ferisse in quel modo, ma non si sarebbe mai aspettato che a farlo fosse l'unica persona di cui si fidava ciecamente al mondo.

Katsuki si diresse verso la cucina. Era tardi, a dire il vero era quasi ora di pranzo e il suo stomaco protestò sonoramente. Con la nuova dieta che gli avevano imposto in ospedale e il riposo forzato, le nausee erano quasi del tutto scomparse, ma era ancora incredibilmente sensibile agli odori e le voglie iniziavano a farsi sentire.
Aprì lo sportello e ficcò la testa nel frigo, cercò qualcosa che rientrasse nella lista dei cibi consentiti. Stava per prendere il cartone del latte, quando una grande ciotola di insalata russa catturò la sua attenzione. Sentì l'acquolina in bocca e il suo stomaco ruggì famelico. La afferrò e si sedette a tavola. L'avrebbe mangiata con le mani se avesse potuto, ma optò per un cucchiaio da minestra, una soluzione un po' più decorosa. Lo affondò nell'impasto e ci si riempì la bocca, quasi non vedesse cibo da mesi. Un gemito di puro godimento gli fuggì dalle labbra alla prima cucchiaiata, si accasciò contro lo schienale assaporandola in estasi: dopo due settimane di cibo d'ospedale, gli sembra la cosa più buona del mondo.
Stava per affondare di nuovo il cucchiaio, quando il trillo del campanello lo fece sobbalzare. Aggrottò la fronte. Suo zio non avrebbe suonato il campanello e di sicuro nessuno che conosceva andrebbe a trovarlo lì, a casa sua. Potrebbe essere solo una persona: Kirishima. Una morsa gli strinse lo stomaco al pensiero di incontrare qualcun altro, era riuscito pure a rovinarsi la colazione.
Il campanello suonò di nuovo con insistenza.

«Arrivo, maledizione!» gridò in risposta. Si alzò e scaraventò il cucchiaio nel lavello, con rabbia.
«Dannato Kirishima, un giorno o l'altro te la farò pagare!» borbottò mentre si diresse all'ingresso, pestando i piedi nudi sul parquet. Spalancò la porta già pronto a inveirgli contro che lui voleva starsene per i fatti propri, quando la sorpresa gli bloccò le parole in gola.
Shōto era sulla porta, la mano ferma a mezz'aria nell'intento di bussare e l'espressione sorpresa in volto. Aveva l'aria stanca di chi ha appena affrontato un lungo volo. I vestiti sgualciti e i capelli in disordine. Ma Katsuki lo trovava comunque affascinante e il suo ventre si contorse deliziosamente.

«Katsuki!» Shōto lo abbracciò senza dargli il tempo di dire o fare niente. Lo strinse a sé affondando il viso nel suo collo e Katsuki si sentì avvampare, ma le parole che gli ha rivolto la sera prima gli ritornarono alla mente con prepotenza e allora lo spinse via con forza, quasi come se non volesse essere toccato anche se in realtà era tutto ciò che agognava da mesi.

«Katsuki, cosa ti è successo?» Shōto lo squadrò dalla testa a piedi e lui si rese dolorosamente conto di star indossando una vecchia maglia sbiadita di tre taglie più grande della sua e un paio di pantaloni del pigiama infeltriti, di un infantile color carta da zucchero. Doveva avere un aspetto orribile e se ne vergognava come un cane, ma Shōto non sembra curarsene affatto. I suoi occhi si posarono sul suo viso.

«Era vero allora» mormorò, allungando una mano per sfiorargli la guancia tumefatta in una carezza delicata. Katsuki sentì la pelle bruciare sotto il suo tocco. Tirarsi indietro gli procurò quasi dolore fisico.

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