<<Sbrigati lì dentro, ho di meglio da fare che aspettare che tu finisca di giocare al piccolo chirurgo>>
Posi frettolosamente il bisturi a terra asciugandomi la fronte con il dorso della mano. Non mi piaceva quando Dabi controllava le mie bisezioni, né tanto meno quando mi metteva ansia. Lo studio dei quirk era la cosa che più mi piaceva, forse l'unico motivo per cui ancora ero in vita, essere privato anche di quello mi mandava in bestia.
<<Ho finito>> annunciai richiudendo una busta di plastica e togliendomi i guanti di lattice sporchi e puzzolenti, lasciando che Dabi entrasse nella stanzetta e facesse quello che doveva fare.
<<È la fine quella che mi piace di più>>
Misi le varie buste di plastica sparse per il pavimento nel mio borsone, riposi bisturi e quant'altro in una scatoletta di cartone e mi diressi verso la porta, appoggiandomi con la schiena allo stipite.
L'unica cosa buona che sapesse fare Dabi era far sparire le tracce di ciò che avevo fatto: finiti i miei esperimenti ed eventuali estrazioni di quirk, bruciava tutto, e io non riuscivo a non affascinarmi davanti ai cadaveri squartati che bruciavano sotto le alte fiamme blu del mio cupo compare. L'odore di carne bruciata mi impregnava i polmoni, la cenere della pelle cadeva sul pavimento, i volti mutavano, si laceravano sotto il tremendo calore e di quelle persone, di quegli hero, non rimaneva più niente.
Una punizione adeguata per il marcio di questa società.Ma quel giorno, mentre Dabi si affrettava ad appiccare il suo fuoco, la mia mente era da tutt'altra parte e, quello spettacolo che mi emozionava ogni volta, sembrava lontano e insignificante rispetto a quello che avevo dentro.
Quasi una settimana prima Tomura aveva accettato la richiesta di alleanza con Chisaki, condannando la lega a rispettare gli ordini di quella setta mafiosa che a nessuno andava a genio. Toga e Twice non si vedevano da allora, dato che erano stati scelti come prime reclute per gli otto procetti di morte, e tutti stavamo col fiato sospeso pensando a cosa i due stessero andando incontro.Inoltre ero andato via di casa.
Appena saputo della notizia, ero tornato nel mio appartamento, avevo raccolto in varie borse tutto ciò che mi sarebbe servito e mi ero trasferito nel magazzino della lega, dove avevo trovato una sorta di stanza che avrei potuto usare senza dare fastidio a nessuno. Non ho dato alcuna spiegazione a mia madre, quando mi ha visto uscire con tutta quella roba sottobraccio ha cominciato a farmi le sue solite domande che mi hanno subito irritato. Mi sono girato guardandola duramente negli occhi ed è bastato quello, quel piccolo gesto a farle capire che doveva tacere. Poi sono uscito e non sono più tornato.
Non sapevo come stava, non sapevo se mi stesse cercando, ma non mi interessava, in quella casa non potevo più restare.
Le restrizioni create da quell'unione mi stavano soffocando, ma mi ci sarei abituato in fretta, dovevo abituarmici, era solo questione di tempo.Quando le fiamme di Dabi si furono acquietate, uscii da quella stanza, dal magazzino, per prendere una boccata d'aria. Il fumo creatosi non mi dava stranamente piacere, lo sentivo fastidioso, irritante. Mi caricai il borsone in spalla e iniziai a camminare per il bosco che circondava il covo, calciando tutti i sassolini che mi si paravano davanti, con le mani in tasca e lo sguardo basso. Mi sentivo vuoto, privato di qualcosa d'importante, una parte fondamentale della mia esistenza.
E quella parte era lei.
Per quanto cercassi di togliermela dalla testa, fare finta che non fosse mai esistita, la mia mente mi riportava l'immagine dei suoi occhi come fosse una punizione per quello che stavo cercando di fare. Maledetto il giorno in cui l'avevo incontrata, maledetto il momento in cui avevo provato pena per lei, maledetto ciò che mi aveva spinto a incontrarla giorno dopo giorno, come fosse qualcosa a cui non potevo fare a meno. Ero arrabbiato e amareggiato, perché sapevo che dovevo allontanarmi da lei per non farla sprofondare, perché non lo volevo. Avevo fatto lo stesso errore con mia madre, non volevo che anche lei finisse nella stessa situazione, non volevo portarla alla rovina insieme a me. Era un'hero, una ragazzina come tante che voleva entrare nella profondità della nostra società, rischiando di rimanerne delusa. Lei non poteva essere come gli altri, non sarebbe mai diventata una di quegli eroi corrotti, ma avrebbe di sicuro sofferto constatando che l'idea che si era fatta del nostro mondo era sbagliata. Succedeva di continuo, ma pensare che sarebbe successo anche a lei mi riempì il cuore di una tristezza insolita.
Calciai l'ennesimo sassolino, rendendomi conto che era più di una settimana che non la vedevo, non sentivo la sua voce, non incrociavo il suo sguardo e, sebbene la conoscessi da poco tempo, ero ormai sicuro di no poter fare a meno di lei. Sapevo che prima o poi sarebbe dovuto succedere, avrei dovuto allontanarmi da Uraraka, ma non mi aspettavo che facesse così male.
Avevo anche dovuto interrompere le mie ricerche riguardo Mirio Togata, anche quelle su Nighteye, perché avevo paura che qualsiasi mossa che non rispettasse gli standard stabiliti dalla lega di Chisaki avrebbe potuto compromettere in modo radicale i miei studi rivolti al successore di All Might.
Così ora ero lì, imprigionato nella mia stessa vita senza avere la possibilità di fare pressoché nulla.
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~How can you love me?~
RomanceDal testo: "> > > > > > Tolsi delicatamente il braccio che Uraraka stava fasciando e feci per alzarmi, ma lei mi bloccò. Prese la mia mano con la sua e la vidi guardare per terra come spesso faceva quando era turbata, cercando di trattenere le lacri...