Capitolo 14

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Per Phoenix non c'era niente di nuovo nell'essere guardato male da tutti, nell'essere tenuto all'angolo e allontanato. La pelle scura, la vita nel ghetto, le attività clandestine... si pensava che fosse stato in carcere anche prima della condanna per spaccio. Viveva in quella cittadina da tutta la vita e si era sempre sentito un ospite, uno straniero. Sognava di andare via, di portarsi dietro sua madre e accumulava denaro con questo scopo.

Quando Dyana era arrivata lo aveva sconvolto. Una come lei si era avvicinata a uno come lui senza nessuna paura, con ironia e sicurezza. Che fosse attratta dal pericolo? Da quell'ombra nera che lo perseguitava da quando un dio aveva deciso di farlo piombare sulla Terra?

La vita di Phoenix si divideva tra le giornate interminabili a scuola, i pomeriggi in palestra, le notti a combattere, le albe spese sotto il cielo, con gli occhi rivolti alla luna che lasciava placidamente il posto al pallido sole mattutino.

Quella mattina guardava fuori la finestra della roulotte. Le mani ferite tenevano una tazza con del latte caldo, aveva deciso di saltare la scuola.

A un certo punto avvertì una forte scossa scuoterlo dalla sua posizione. La roulotte oscillò, sentì delle urla e dei colpi di qualcosa che si scagliava contro le fiancate.

Scostò le tende e vide che erano venuti a fargli visita Ashton, insieme a tutta la squadra di football, la stessa in cui aveva giocato e per cui aveva vinto numerose gare con altre scuole. Sua madre uscì dalla camera da letto.

-Ma cosa succede?!- urlò, mentre si avviava ad aprire. Phoenix dovette fermarla per un braccio e spingerla indietro.

-Stai ferma, non uscire di qui- l'ammonì

Le spinte e i colpi si fecero più insistenti –Phoenix, allora, perché non esci? Non ti va di stare un po' con noi? Come i vecchi tempi, fratello- la voce di Ashton raggiunse le sue orecchie –Se non esci dovremmo entrare con la forza. A quella puttana di tua madre non piacerà, vero?-

-Io chiamo la polizia- farfugliò la donna, cercando il telefono tra le coperte del suo letto

-Sì, certo, arriveranno sicuramente- rispose sarcastico il ragazzo, -Mamma, rimani qui, per favore. Io torno presto- le si rivolse con tono di comando, poi andò ad aprire.

-Buongiorno, abbiamo pensato di venire noi da te, dato che a scuola non ti fai più vivo. Hai paura di qualcosa?- chiese Ashton, mentre tre ragazzi presero Phoenix per le spalle.

-Io non ho più paura di niente- non provò a ribellarsi. Erano in troppi, sapeva che non ce l'avrebbe fatta.

-Allora vieni a farti una bella passeggiata con noi-

Seguivano la legge del branco, cercavano una preda da spolpare solo per soddisfare la loro sete di sangue, l'ultraviolenza di cui erano pieni fino all'orlo come recipienti stretti.

Uscirono dal ghetto e si inoltrarono in un vicolo cieco, una strada dalle mura spesse e alte, che lasciava intravedere appena dalla sua insenatura il cielo sereno. La vittima guardò in alto, verso una nuvola bianca che fluttuava nell'azzurro. Il primo pugno gli arrivò sulla bocca, le nocche della mano di Ashton gli scorticarono la gengiva. Non si mosse, non un gemito di dolore. Iniziarono a colpirlo anche gli altri, sul viso, ripetutamente, senza pietà, come se stessero scaricando tutte le loro energie su di lui. A un certo punto vide tra le mani di Ashton una barra di ferro. Il sangue gli pulsava nelle tempie e si accasciò sull'asfalto. L'asta fu alzata in aria, per poi ricadere velocemente sul suo stomaco una sfilza di volte.

Gli occhi di Ashton erano spalancati e pieni di sangue, tutto il suo corpo tremava, gli altri della squadra si erano fermati e quando gli si avvicinarono per allontanarlo, prese dalla tasca dei jeans un temperino. Phoenix era steso di fianco, la vista annebbiata riusciva solo a distinguere la figura dell'aggressore. La lama trapassò la carne della sua spalla, cercò di muovere la mano per fermarlo, la posò sul suo polso e strinse pateticamente la presa.

Ashton approfittò di quel momento per procurargli un altro taglio orizzontale sul braccio, lungo le vene.

Era seduto a cavalcioni su di lui, si teneva diritto con una mano premuta sull'asfalto, guardava il suo viso sofferente e partecipava al suo dolore. Socchiuse gli occhi e sentì le lacrime ricacciate indietro cadere nel vuoto del suo corpo. Quante volte aveva desiderato quel ragazzo inerme sotto di lui? Quante volte lo avrebbe voluto toccare liberamente, senza la paura che si ritraesse?

Si abbassò, avvicinò i loro visi e guardò i suoi occhi scuri. Sentì l'odore del sangue dalla sua bocca, tremava e aveva voglia di ucciderlo e baciarlo.

-Qual è il vero motivo per cui mi odi?- sussurrò Phoenix -Che non riesci a smettere di amarmi?-

Ashton fu tirato indietro da due ragazzi –Ora basta, così lo ammazzi-

Andarono via, senza chiamare nessuno.

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