Capitolo 8

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La pedana per assistere allo spettacolo era uno spazio stretto e a forma di anello, la gente serpeggiava sul bordo in una folla in palpitante attesa. Un muro ripido, che si restringeva verso il basso, scavava il terreno, a forma di imbuto rovesciato. Qualche metro più in basso, in uno spazio circolare e claustrofobico, c'era il ring per la gara. Gli spettatori avrebbero guardato dall'alto. Non c'era nessun arbitro. La lotta finiva una volta che uno dei due non si sarebbe più alzato da terra.

Phoenix sapeva che non avrebbe steso immediatamente il suo avversario. Volevano vedere uno show. Sapeva accontentare quella macabra ossessione per il dolore delle persone. La pericolosità della morte possiede un fascino tutto sensuale.

Phoenix guardava le luci gialle e tremolanti dalla porta che lo separava dal ring. Socchiuse gli occhi, stordito dalla droga che aveva assunto qualche minuto prima. Sentiva l'adrenalina trapassargli il corpo come un spada. Sul ring era un animale, non doveva ragionare, doveva seguire solo un istinto primordiale: l'autodifesa. Sul ring era esattamente come la gente lo aveva dipinto: un assassino, uno che sparge il sangue altrui a mani nude, come una belva con la rabbia.

La campana suonò. Si alzò in piedi e uscì dalla porticina.

L'avversario entrò dalla porta adiacente alla sua.

Dyana osservava al fianco di Isabel; Ashton e Andrew occupavano proprio lo spazio dell'anello difronte a quello in cui si trovavano le due ragazze. Fu questione di tempo perché si accorgessero l'uno della presenza dell'altro. Ashton tentò senza riuscirci di fermare Andrew, che si stava dirigendo senza problemi verso di loro

-Cosa ci fate qui?- chiese, alzando la voce per farsi sentire

-Quello che ci fate voi- rispose Isabel, con noncuranza. Non li avrebbe voluti incontrare. Tra di loro non correva buon sangue da quando lei e Phoenix si erano messi insieme.

Ashton rimase zitto, con gli occhi puntati su Dyana. Fu la prima volta che ebbero un contatto diretto, anche se costituito solo dai loro sguardi. Quel ragazzo malinconico e taciturno e quella ragazza appariscente, avevano in comune molto più di quanto sembrasse.

Forse le anime che condividono gli stessi dolori possono arrivare a toccarsi anche senza un'interazione diretta dei corpi.

Il torneo durò ancora per molto, i due avevano dato uno spettacolo con i fiocchi, Phoenix aveva il volto coperto di sangue, l'altro non era ridotto meglio. Gli uomini che avevano scommesso erano in silenzio, osservavano la scena con un sorriso sulle labbra, soddisfatti da ciò che avevano visto.

Dyana vide qualcosa nello sguardo di Phoenix. I suoi occhi si spalancarono, iniettati di un reticolato di sangue, fuoriuscivano dalle orbite, i muscoli tesi e le vene sporgenti sembravano volergli spaccare la pelle, la bocca contratta lasciava intravedere l'arcata superiore dei denti. Con una violenza inaudita stese il suo avversario, colpendolo più e più volte, anche quando questo fu inerme, accasciato al suolo. Avrebbe potuto farlo molto prima e invece aveva mantenuto la calma, si era trattenuto per quello show e, alla fine, aveva scaricato tutto con perfetta razionalità.

Ashton iniziò a respirare con fatica, tremava tutto. Isabel e Andrew si accorsero per primi della situazione e gli andarono vicini, ma questo girò le spalle e si inoltrò tra la calca di gente. La testa vorticava e non ci vedeva bene per le lacrime che si erano accumulate ai suoi occhi. Cadde sulle sue ginocchia ed evitò un impatto violento, sentendo due mani che lo sorressero sotto le ascelle

-Calmati, ci sono qui io. Ora ti porto fuori, ma tu calmati- era la voce di Andrew, calma e posata.

Andrew lo mise in piedi e scostò la calca di persone e si ritrovarono fuori entrambi. Ashton si mise le mani sul viso e appoggiò la schiena al muro, cercava di ricacciare dentro un pianto doloroso che lo stava soffocando da quando aveva visto il cadavere di suo padre. Assistere alla violenza di Phoenix aveva rotto tutti gli argini costruiti per non lasciare traboccare le sue lacrime.

L'unica cosa che fece Andrew fu prendergli la mano e sedersi per terra,

-Ha ucciso mio padre e io voglio uccidere lui- la voce vibrò rotta e spossata.

Intanto Dyana era decisa a incontrare Phienix. Non importava quanto tempo avrebbe dovuto aspettare. Voleva controllare i suoi occhi, voleva vedere se ci fosse quella scintilla omicida che aveva visto per quei pochi minuti. Si diresse nel parcheggio pochi metri distante dall'entrata secondaria della prigione, disse a Isabel di andarsene senza problemi e, seduta nella sua macchina, aspettò di vederlo.

Non ci volle molto, camminava nel buio con il cappuccio della felpa abbassato sul viso, che di sicuro avrebbe riportato per molto tempo dei segni. Aprì lo sportello della macchina e aspettò che lui la notasse, cosa che avvenne immediatamente.

Alla vista di Dyana, Phoenix scosse la testa e si avvicinò alla ragazza

-Cosa ci fai qui?- chiese stringendo i pugni nelle tasche della felpa

-Mi godevo lo spettacolo. È questo che fai nel tempo libero?-

-Non sono affari tuoi, non ci dovresti nemmeno essere qui-

-Quanti altri segreti mi nascondi, oltre questo e l'essere uno spacciatore?- domandò sfacciata, chiudendo con una botta lo sportello dell'auto

-Ripeto, non sono affari tuoi-

-Come pensi che la gente possa vederti con occhi diversi se hai appena finito di annientare un ragazzo? Sembravi un pazzo-

-Non mi interessa come mi vede la gente. La gente non cambierà mai parere su di me, tu non puoi sapere cosa si prova ad essere denigrato tutta la vita per il posto da cui vieni, mi sputerebbero addosso il loro veleno anche se fossi un santo. E non mi va di essere il loro martire, se devo essere l'assassino, allora voglio farlo bene- le girò le spalle, allontanandosi, senza voler sentire nient'altro.

Dyana rimase ferma a guardarlo sparire nell'ombra, poi si mise a ridere e chiuse lo sportello della macchina

-Patetico-

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