Capitolo 31

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-Ashton, sto uscendo- urlò Ellen, mentre stava aprendo la porta di casa. Il figlio comparve sulla soglia della cucina.

-Dove vai? A succhiare il cazzo di Frank? È incredibile quanta passione ci metti in questa attività.-

-Come ti permetti di rivolgerti in questo modo a tua madre?- Ellen sapeva recitare perfettamente il ruolo della donna offesa e innocente.

-Dico solo la verità. Non si può con le madri?-

La donna lo fulminò con lo sguardo, ma non aveva né tempo né voglia di fermarsi a discutere. L'espressione di rabbia si sciolse in un sorriso –Divertiti, amore- rispose, schiantandogli una mano sul viso, in uno schiaffo violento. Girò i tacchi e uscì di casa senza aggiungere altro.

Quelle mani che schiaffeggiavano il figlio, avevano toccato molte volte il corpo di Phoenix nudo, sotto ricatto.

Ashton l'avrebbe soffocata volentieri. Odiava i suoi genitori, sin da piccolo era vissuto in un clima di violenta falsità. Ora suo padre era morto e sua madre conservava una camicia sporca di sangue nella stanza. Non c'era niente che lo dissuadesse dalla sicurezza che fosse lei l'assassina.

Ellen stava andando davvero da Frank. Avevano un conto in sospeso e l'uomo stava diventando pericoloso. Quella loro relazione era solo un modo per evitare che andasse tutto storto, almeno per lei. Arrivò proprio nel momento in cui Phoenix se n'era andato. Frank era disteso sul divano e Dyana lo guardava desolata, in piedi.

-Cosa è successo qui?- chiese agitata Ellen.

-Quel pazzo mi ha aggredito senza nessuna motivazione- disse Frank, anche se una motivazione c'era, eccome -So che saremmo dovuti stare insieme. Mi dispiace- si lamentò, cercando di fermare quel dolore lancinante alla testa.

Ad Ellen montò subito una grande rabbia. Strinse i pugni e conficcò le unghie laccate nella pelle della mano. Phoenix non voleva capire di doverle obbedire. Non riusciva ancora a spegnergli quell'anima selvaggia che pretendeva libertà.

Phoenix guidava e aveva ben impresso in mente la sua meta. Tamburellava con le dita sul volante e ogni volta che un polpastrello si scontrava contro il cuoio, una lacrima scandiva un centimetro di guancia. Tremava scosso dai singhiozzi, non si sentiva più le gambe, era diventato pallido come un morto.

Per quegli anni ciò che aveva cercato era stato sotto i suoi occhi. Il padre che avrebbe voluto era in realtà un uomo orribile. Gli stava sempre intorno, lo sfruttava e lo usava per i suoi comodi, lo aveva condotto alla rovina, gli aveva messo della droga in mano e lo aveva spinto a farsi massacrare su un ring.

Parcheggiò difronte alla casa di Ashton; Ellen era appena andata via. Scese dalla macchina e suonò il campanello con insistenza. Piangeva sempre più forte. Ashton venne ad aprire, stava già per divorare chiunque avesse osato disturbarlo a quell'ora e in quel modo.

Quando si trovò difronte al ragazzo rimase senza parole, non lo aveva mai visto piangere.

Phoenix lo strinse tra le braccia, quelle braccia grandi e tremanti, che tante volte lo avevano protetto dagli affanni di una vita turbolenta. Non riusciva neppure a respirare, era come se avesse ingoiato una noce di dolore che gli si era bloccata in gola, impedendo il passaggio del veleno.

Stava per avere un attacco di panico. Il silenzio, il rifiuto, il disprezzo, l'emarginazione, gli schiaffi, i calci, gli sputi, le risate, gli scherzi, le parole cattive, gli sguardi cupi. Era tutto bloccato lì, in gola, si era otturato lo stretto canale che accoglieva il dolore. Si stava aggrappando ad Ashton come se fosse l'unica cosa che poteva tenerlo attaccato alla vita.

Il ragazzo non fece neppure in tempo a portarlo in casa, che si accasciò con lui per terra, sulla soglia della porta. Cercò di sorreggerlo miseramente e cadde con lui, frenando l'impatto con le ginocchia. Gli accarezzò più volte il viso e cercò di asciugarli il volto scomposto. Stava per essere contagiato dal panico di Phoenix. Erano talmente legati che ciò che sentivano, se lo trasmettevano.

-Ti prego, smettila- ora anche Ashton stava piangendo, senza sapere neppure il motivo preciso. La diga che cercava di contenere gli argini della loro tristezza era ceduta. Lo accarezzò e lo tenne stretto a lungo, lo cullò sotto le stelle traballanti del cielo.

Phoenix si calmò dopo molto, il momento di rilassatezza che seguì a quell'attacco di panico, si manifestò in una specie di sonno della ragione. Reclinò il capo sul petto di Ashton e chiuse gli occhi, le lacrime incollarono le ciglia agli zigomi. Rimasero in quella posizione per un po', fin quando entrambi non ebbero la forza di rialzarsi.

Mentre i due ragazzi erano in casa sua, Ellen stava guidando verso il carcere.

Aveva lasciato da solo Frank, dopo essersi fatta raccontare per filo e per segno cosa fosse successo.

Era sicura che Phoenix fosse lì, pronto per il combattimento. Voleva rimetterlo al suo posto, evitare altri futuri spiacevoli inconvenienti. Ma non c'era. Lo sfidante era sul ring, gli spettatori attendevano, ma Phoenix non si era presentato. C'erano state delle scommesse, dei soldi investiti e il pubblico iniziava ad agitarsi nervoso. La sua assenza attestava automaticamente la vittoria allo sfidante. Ellen aveva fatto un patto con Phoenix: gli avrebbe dato i soldi necessari per vivere con sua madre, in modo dignitoso, ma solo se avesse combattuto.

Aveva preso il posto di suo marito e ne era cosciente. Aveva ereditato l'impero che aveva messo su Bred. Il circolo di prostituzione, i combattimenti, lo spaccio: erano nelle sue mani; avere lo sceriffo dalla sua parte le dava un vantaggio schiacciante.

Phoenix sapeva benissimo che ciò che aveva fatto comportava delle conseguenze, ma non riusciva a preoccuparsene. Aveva davanti a sé suo fratello. Lui e Ashton avevano sempre saputo di essere legati da un vincolo imprescindibile, diverso da quello che c'era con Andrew. Solo in quel momento aveva capito di cosa si trattava. Nelle loro vene scorreva lo stesso sangue corrotto.

-Sai che Isabel e Dyana stanno ficcando il naso un po'ovunque. Oggi sono andate dove lavorava Isabel, da una sua ex collega, una donna che ha conosciuto quando si prostituiva. Conosceva mia madre, l'ha aiutata quando era incinta a scappare da Bred, tuo... nostro padre. È stato lui a metterla incinta. Voleva che abortisse, ma lei decise di tenermi. Scappò in Messico e tornò quando avevo appena un anno. Bred la pagò affinché non dicesse niente a nessuno. Non poteva rovinarsi la reputazione con un figlio bastardo in circolo- cercò di spiegare in modo più chiaro possibile.

Ashton sentì il mondo andare in frantumi senza rumore. Allentò la presa attorno al corpo del ragazzo e si sentì mancare -Non è vero- cercò di galleggiare sulle sue illusioni -Non possiamo affidarci a qualcosa che ha detto una persona che non conosciamo. Non ne siamo certi- non voleva un fratello. Non voleva proprio lui come fratello.

-Allora ce ne accerteremo, faremo il test del DNA.-

Rimasero abbracciati, senza dire nient'altro. Fu Phoenix a rompere quel momento. Si alzò estremamente agitato e –Lo sai per chi combatto, ora? Non è più Bred, ma Ellen. Tua madre è fatta della stessa pasta di quello stronzo. E ti posso assicurare che non l'ho ucciso, ma se ne avessi avuto l'occasione, lo avrei fatto. Lo avrei ucciso così come ucciderei tua madre.-

Ashton lo guardò con un mezzo sorriso e annuì. Era cosciente di quello che avveniva. Fingeva di non sapere, ma era tutta una farsa –La ucciderei anche io, così come avrei ucciso lui.-

E il giorno seguente, con il test del DNA, scoprirono che la voglia di vendetta era ereditaria.

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