Capitolo 33

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Le cose stavano in questo modo: Bred Lee, l'ex sceriffo di Steeland, era morto da più di sei mesi e il suo caso era stato chiuso nel giro di trenta giorni, in fretta e in furia, con un colpevole formalmente inesistente, ma reputato dalla collettività Phoenix Diaz.

Sua moglie, Ellen, rimasta tragicamente vedova, continuava a mandare avanti gli affari del defunto marito. La sua pseudo relazione con il nuovo sceriffo, Frank, la proteggeva dal controllo legale.

Ryan Davis ci aveva messo poco per far combaciare i tasselli di quel grande puzzle. Trascorse l'intera notte a pensarci.

Ellen aveva tutto da guadagnare dalla morte di un marito che l'oscurava, levandole una postazione in primo piano.

Isabel aveva accoltellato Bred e la camicia sporca di sangue la conservava ancora Ellen, in uno dei suoi cassetti.

Quegli indizi ricostruivano la notte su cui era calato il mistero.

Isabel era andata da Bred per essere lasciata in pace, aveva il proposito di levarselo di torno e aveva anche immaginato di ucciderlo, cosa a cui era andata molto vicina quando lo aveva ferito con un coltello. La ragazza era scappata via sconvolta, ma Bred non era neppure gravemente ferito. Il taglio era doloroso, ma non mortale e in qualche settimana si sarebbe rimarginato completamente.

Intanto Ellen tornò a casa. Bred era un tipo geloso, possessivo, o forse solo molto attaccato alle apparenze. Cosa avrebbero pensato i cittadini se la moglie dello sceriffo si fosse ritirata tutte le notti a quell'ora? Forse aveva notato anche qualche altro segno, aveva visto i capelli in disordine e la camicetta fuori posto, o si era accorto di come la donna si era avvicinata a Frank. Potrebbe essere stato preso da uno scatto di ira, di cui Isabel aveva acceso la miccia e la moglie aveva alimentato la fiamma.

Fu in quel momento che Ellen, stanca di sottostare al marito, lo uccise.

Non dovrebbe essere stato difficile soffocarlo con un paio di lenzuola, o forse con la camicia stessa. Se Bred se la fosse sfilata proprio per lavarla e controllarsi la ferita, sarebbe stata la prima cosa che Ellen avrebbe avuto sotto mano per farlo fuori.

La soluzione migliore per non essere sospettata sarebbe stata incendiare la casa e inscenare un omicidio diverso da quello che era appena avvenuto: fu per questa ragione che avvolse una corda attorno al collo dell'uomo, con una pietra all'estremità e lo fece scivolare nel lago.

Naturalmente le ipotesi sull'andamento del delitto potevano essere innumerevoli, ma Ryan se l'era immaginato esattamente così, anche se c'erano alcune cose che non gli tornavano.

Perché Ellen non aveva bruciato la camicia? Un errore di distrazione, dovuto alla foga del momento?

Avrebbe trovato una risposta alle sue domande.

Si alzò al sorgere dell'alba. Isbel, che era rimasta con lui, si lamentò contrariata da quel gesto e si sollevò stancamente.

-Non puoi rilassarti per un minuto?- sussurrò, nella penombra della stanza, mentre si stropicciava un occhio.

-Mi rilasserò quando sarà il momento.-


Intanto Frank si era addormentato. L'attacco di Phoenix non lo aveva scosso così profondamente da impedirgli di lasciarsi andare a un sonno ristoratore. Si svegliò anche in ritardo, grazie a Dyana, che mise le casse in cucina e alzò la musica in modo molesto. La ragazza oscillava a ritmo e si era preaparata una tazza di latte e cereali, sedeva sul bordo del tavolo, coperta da una camicia da notte rossa che le arrivava al ginocchio.

Si godeva il sabato mattina e aiutava lo zio con la puntualità.

-Muoviti, sai che le forze dell'ordine dovrebbero essere sempre reperibili e dormire con un occhio chiuso e l'altro aperto?-

L'uomo mugugnò infastidito e andò a lavarsi pigramente, una volta in cucina mangiò i rimasugli della colazione di Dyana e uscì di casa.

Prese la macchina e acconsentì ad accompagnare la nipote al centro di Steeland, dato che aveva espresso il desiderio di fare una passeggiata nel parco pubblico.

I loro piani furono spenti sul nascere, mentre Frank si avvicinava alla stazione di polizia, in piazza c'era una calca di giornalisti, che attorniava i cancelli della ferrovia, estendendosi fino alla caserma. Altri curiosi si erano riversati in strada e i negozianti erano sulle soglie delle loro botteghe per guardare ciò che stava succedendo.

Frank scese dalla macchina, Dyana fece lo stesso malgrado le raccomandazioni di rimanere dentro e subito furono inondati da una tempesta di domande e un mare di flash.

-Sceriffo, ha davvero intenzione di riaprire il caso Lee e collaborare con la polizia di Los Angeles?-

-Sceriffo, sono vere le voci sulla relazione tra lei e il sindaco Lee?-

-Crede che il sindaco sia colpevole di omicidio?-

Ryan Daves, intanto, guardava da lontano, seduto sui gradini della stazione, con una sigaretta tra le dita e un sorriso sfacciato stampato in faccia.

Dyana lo notò e serrò le labbra. Puntò lo sguardo su suo zio, che cercava di svincolarsi da quella calca infinita di gente, fino a quando non riuscì a barricarsi nella caserma.

Il caso Lee era stato riaperto e questo grazie a un investigatore privato, che si era presentato a Steeland come un professore di inglese.

La notizia aprì il telegiornale nazionale. Il caso dello sceriffo Lee aveva destato stupore e sollevato un polverone sin dall'inizio, ma tutte le voci al riguardo della condotta poco onesta dell'ucciso erano state sedate come bufale e lo scoop era caduto nel nulla, senza rumore.

Phoenix, Andrew, Ashton, Dyana, Isabel e Ryan guardarono il telegiornale dalla stessa televisione, in casa del "professore".

-Sarò chiamata a testimoniare?- chiese con agitazione Isabel.

-Lo saremo tutti- rispose Phoenix.

-Non sei felice? Finalmente esce fuori la verità- disse Andrew.

-Non sono certo che questa sia la verità- Ashton, che era quello meno scioccato, perché dopo aver vissuto diciannove anni con i suoi genitori sapeva fino a quanto potessero spingersi, scosse la testa –Mia madre c'entra qualcosa, ma ci sono dei dettagli che non mi tornano. Perché non ha bruciato la camicia? E poi come avrebbe fatto a trasportare da sola il corpo di mio padre fino al lago?- si alzò e uscì di casa. Era scosso e incredulo. Stava appena realizzando che i suoi genitori si erano uccisi a vicenda. Inoltre non sopportava più di stare seduto affianco a Phoenix.

Andrew lo raggiunse e si sedette al suo fianco sugli scalini della villa.

-Un giorno ce ne andremo via di qui, questo sarà solo un brutto ricordo. Vivremo da soli, io e te. Magari ci sarà anche Phoenix con le sue pazzie. E saremo felici. Senza nessun problema, senza pensare a cadere dal quinto piano in ogni momento, senza avere le vertigini. Un giorno andremo via e sarà bello esistere- sussurrò il ragazzo, con le mani giunte, mentre guardava la strada davanti a sé e premeva la gamba contro quella di Ashton, per sentirlo più vicino.

Stava mentendo, diceva ciò che era giusto dire, ma quella non gli sembrava la fine.

Solo l'inizio di una nuova, interminabile serie di guai.

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