Capitolo 5

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Una volta uscita dagli spogliatoi Dyana non si era ancora calmata.

Il pareggio non era una vittoria, ma una doppia sconfitta.

Aveva deciso di sedersi sugli spalti del campo vuoto, aspettando la fine dell'ora, magari con un libro tra le mani che aveva sottratto dalla scombinata libreria di Frank.

Mentre saliva le scale per sedersi sui gradini, vide che Phoenix era proprio lì, con il telefono tra le mani.

-Cosa fai, mi segui?- chiese lei, mettendosi al suo fianco.

-Mi hai detto tu di venire a vederti alle audizioni-

-Non ti ho mica detto di rimanere nascosto-

-Provaci tu a sederti tra gente che ti vorrebbe tagliare la gola in ogni momento. Dovresti evitarmi-

-Non dirmi quello che devo fare-

-Lo dico solo per il tuo bene. Gli assassini non piacciono alla gente- si sporse verso di lei, con un sorriso furbo.

Dyana guardò le sue labbra, la sua pelle color rame splendente, quei grandi occhi verdi espressivi. Prese tra la punta delle dita l'orecchino che gli pendeva dal lobo destro e glielo tirò –Ti interessa il mio bene, sei premuroso. Questo non si addice a un assassino-

Phoenix si mise a ridere, ma in realtà nascondeva la sua incredulità difronte al fatto che Dyana gli stesse parlando normalmente.

Fin da piccolo era abituato ad essere trattato con sufficienza.
Non veniva da una famiglia facoltosa, il colore della sua pelle lo differenziava a vista d'occhio, i pettegolezzi sulla vita travagliata che conduceva lo precedevano. I suoi unici amici se ne erano andati.

Ashton e Andrew gli si erano avvicinati quando erano solo dei bambini, alle scuole elementari.

Phoenix sedeva da solo senza la valigetta del pranzo, non aveva mai un gioco con sé e portava la divisa macchiata e sdrucita.

A quell'età i bambini riflettono le idee e i comportamenti dei propri genitori, ma Ashton, che veniva emarginato per ben altri motivi, si avvicinò silenziosamente a Phoenix, instaurando un rapporto d'amicizia basato su poche parole e molti gesti, che sarebbe stato destinato a durare fino a quella tragica estate.

A volte le persone che ci sembrano cattive hanno solo bisogno di una carezza.

Dyana era incuriosita. Lei non aveva pregiudizi, anche se i suoi comportamenti e le sue parole lasciavano intendere l'opposto –Cosa ci facevi nel bosco?-

-Nulla. Avevo solo bisogno di staccare la spina. Vado spesso lì-

-Allora torna anche oggi a staccare la spina- Dyana si alzò-Alle 17:00. Ci vediamo, credo che tu non abbia niente di meglio da fare- gli voltò le spalle e tornò alle lezioni.

In quei modi di fare sfacciati Phoenix si vedeva riflesso.

Una volta tornata a casa, Frank la chiamò per pranzare –Allora, come è andato il secondo giorno?-

-Peggio del primo. Quella scuola puzza, ci vorrebbe una disinfestazione-

Frank si strinse nelle spalle. La saccenza di Dyana gli ricordava quella di Yvonne, sua sorella –Quegli sfigati saranno i tuoi compagni per un anno intero, ti conviene farteli piacere- non aveva mai risposto in modo così serio.

Di solito le sue parole erano buffe e inciampava in quello che diceva –Mi ha chiamato il compagno della madre di Isabel, siamo molto amici. Mi ha detto che quest'anno sarete entrambe capitani delle cheerleader-

-Purtroppo. Come girano le voci-

-Non immagini quanto, Dyana. L'unica cosa che ti consiglio è di farti gli amici giusti. Non so se capisci cosa intendo- aggiunse perentorio. Questa volta i suoi occhi verdi e ridenti si incupirono, la bocca si tese in una linea dura e il viso gli si atteggiò in un'espressione nervosa

Dyana finì di mangiare il suo pane e si alzò da tavola –Tranquillo, zio. So quali sono le persone migliori con cui fare amicizia, non crederai che voglio rimanere al margine?- mentì, mostrando la sua solita superficialità come scusa –Vado a studiare. Oggi esco con delle ragazze della squadra-

A nessuno importava cosa fosse giusto o sbagliato, ma ciò che li avrebbe fatti apparire puliti davanti agli altri.

Alle 17:00 uscì di casa.
Si inoltrò nel bosco come aveva già fatto e arrivò alla parete di foglie dietro cui aveva trovato Phoenix.
Raggiunse lo spazio vuoto e circolare: a quell'ora del pomeriggio il sole lo inondava tenuemente.
Lui era lì, seduto per terra a gambe incrociate.

-Sei davvero venuta qui in mezzo con un vestito? Tu non hai delle tute?-

Dyana aveva indosso un vestitino nero con la gonna a campana e un paio di scarpe da ginnastica col rialzo –Ascolta, carino, la classe si vede proprio in queste occasioni. Sono comoda ed elegante- dal suo zaino prese un telo che posò per terra, così da sedersi al fianco di Phoenix.

Lui non parlava più, aveva le mani incrociate sul grembo e guardava per terra, in un silenzio che durò circa un minuto.

Si girò verso di lei, le mise una mano sulla guancia e la baciò. Si avvicinò in modo lento, con gli occhi chiusi, le palpebre e le labbra tremavano, la sua grande mano fredda accolse tutta la guancia di Dyana.

Lei aprì gli occhi sorpresa, ricambiò in un primo momento, ma quando sentì la mano libera di Phoenix posarsi sul suo seno, lo distanziò.

-Ma che cazzo fai?- chiese, aprendo la fotocamera interna del telefono per aggiustarsi il rossetto

-Quello che vuoi tu, no?- chiese perplesso –Una ragazza ricca, appena arrivata, mi chiede di vederci nel bosco. Cos'altro potresti volere?- parlava in modo assolutamente naturale, come se non ci fosse alcuna stranezza in ciò che stava dicendo. Come se gli fosse capitato già altre volte.

-Okay- Dyana si alzò –Ammetto che sia leggermente strano, ma non volevo niente del genere-

-No? Allora per quale altro motivo hai invitato un ex sospettato di omicidio in un posto così nascosto?-

-Io- si fermò, tendendo le labbra in un'espressione perplessa –Volevo conoscerti? Con la mia lingua nella mia bocca. Se vuoi fare sesso credo che hai sbagliato persona-

-Io non voglio fare sesso, pensavo che lo volessi tu- le tese la mano –Siediti, per favore. Ricominciamo daccapo-

Dyana si risedette al suo fianco –Allora, ti capita spesso che le ragazze ti invitino in luoghi nascosti per fare sesso?- chiese ridendo, mentre lui annuì senza battere ciglio

-Ma tu lo sai chi sono io?-

-No, non lo so. Illuminami- Dyana mise il mento sul palmo delle mani aperte, aspettando che parlasse.

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