Capitolo 15

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Phoenix rimase disteso sull'asfalto di quel vicolo per un tempo imprecisato. Non se ne rese neppure conto. Aveva rinunciato ad alzarsi per la spalla e il braccio ferito. Il dolore fisico si irradiava fino all'animo, cementificandolo con un ulteriore strato di insensibilità, la stessa che aveva ostentato quando Ashton lo aveva ferito.

Si chiedeva se il ragazzo sapesse chi fosse realmente suo padre, se tutta quella rabbia derivava da quell'omicidio, o fosse stata solo la miccia che aveva acceso l'incendio. Ashton era davvero all'oscuro della verità, di ciò che accadeva in quella casa maledetta che era stata ridotta in cenere dalle fiamme?

E come poteva fargli quello? Godere nel vederlo distrutto, calpestare i i fiori già appassiti del suo cuore. Cercava di estirpare le radici di un amore sbagliato.

Il sole stava calando, i suoi raggi tagliavano il cielo dipinto di sangue. Una voce lo richiamò dal sonno pacifico, un braccio avvolse la sua vita e venne tirato in piedi. Provò a fare forza sulle gambe, ma era un peso morto.

Alzò il viso e riconobbe Andrew, che lo sorresse fino a quando non riuscì ad appoggiarlo sui sediolini posteriori di una macchina. Si mise alla guida e partì.

Andrew aveva saputo direttamente da Ashton cos'era successo a Phoenix. Il ragazzo non si era presentato a scuola e con lui tutta la squadra. Lo chiamò ripetutamente, senza ricevere nessuna risposta. Si presentò anche fuori casa sua e ad accoglierlo ci fu la madre, la signora Lee.

La donna lo fece entrare, senza voler sentire repliche. Andrew si trovava sempre a disagio ad avere a che fare con la famiglia di Ashton, particolarmente con lei: Ellen. Una donna dai capelli biondi, sollevati da uno chignon perfetto che lasciava esposto il collo sottile e bianco, lo stesso incarnato del figlio. Era sempre in tenuta professionale, anche a casa. Camicia e gonna nera fino al ginocchio, orecchini e collana di perle e scarpe rosse con tacco. Era una donna precisa e severa. Con l'età i lati più intransigenti del suo carattere si erano acuiti.

Andrew si sedette sul divano in soggiorno, vedeva la madre di Ashton svolazzare davanti alla cucina. Stava preparando qualcosa da mangiare? Insolito per una come lei, che non era abituata a toccare nemmeno una pentola. Era tutta una messa in scena. In quella casa si mentiva da sempre.

-Abbi pazienza, Ashton si diverte a fare il latitante, ma alla fine torna sempre- gli disse con voce amorevole e infatti, pochi secondi dopo, la porta di casa si aprì.

Ne entrò un Ashton sconvolto, con la maglia sporca di sangue, le mani coperte dalla ruggine, gli occhi spiritati. Ellen posò lo sguardo su di lui e, come se niente fosse, gli sorrise –Amore, c'è qui Andrew. Perché non vai a cambiarti e ti rendi presentabile?-

Ashton si diresse verso le scale, senza nemmeno salutare Andrew. Gli aveva levato la parola da quando si erano baciati. Quei due ragazzi lo stavano facendo impazzire.

Andrew lo seguì, scioccato, tirandogli la manica della maglia sporca una volta che furono al piano di sopra –Mi spieghi cosa sta succedendo? Che hai fatto?!-

-Abbassa la voce. Non voglio che mia madre ci senta-

-Come se cambiasse qualcosa. Dove sei stato? Ho provato a chiamarti, non rispondevi e ora sei ridotto in questo stato- per Andrew era difficile mantenere la calma, soprattutto con un Ashton che entrava in bagno con nonchalance, si levava la maglia macchiata e si sciacquava la faccia con apparente rilassatezza. Non gli rispose, prese l'asciugamano per tamponarsi il viso bagnato, che Andrew gli afferrò con forza con una mano, obbligandolo a girare il collo con violenza.

-Smettila- gli mise una mano sul polso  –Sono stato da Phoenix, gli ho dato quello che meritava. A te quello che faccio non deve più interessare, mi hai capito?-

-Ah no? E perché? Perché dopo anni ci siamo scambiati un bacio? Davvero eccezionale, non me lo sarei mai aspettato- lo lasciò, spingendolo indietro –Sei patetico, ti basta così poco per farti crollare. Lui dov'è?-

Ashton era già crollato. Gli disse tutto.

Andrew guidava, guardava dallo specchietto Phoenix accasciato nei sedili posteriori. Vedeva una prova fisica di cosa era capace di fare. Non sapeva dove portare il ragazzo, da lui non era mai entrato nessuno e non aveva intenzione di aprire le porte proprio in quel momento. In quella casa si celavano dei segreti che avrebbe nascosto a tutti i costi. All'ospedale ci sarebbero state delle complicazioni e avrebbero chiamato la polizia, l'ultima cosa di cui avevano bisogno.

-Portami da Dyana- disse Phoenix. Si accorse che in quel momento non voleva andare da nessun'altra parte.

-Dallo sceriffo?-

-Chiamala, chiedi se Frank è in casa- gli passò il telefono

Dyana era stesa sul divano, con un libro tra le mani. Cercava di leggere, ma la noia di quelle pagine la stava trafiggendo lentamente. Quella telefonata la liberò. Rispose velocemente nel vedere che fosse Phoenix a chiamarla, ma la voce dall'altro capo non apparteneva al ragazzo. Andrew le chiese se fosse sola, lei rispose di sì, che Frank l'aveva avvisata che per quella sera non ci sarebbe stato. Non ebbe risposta, lui riagganciò e si presentò nel giro di dieci minuti fuori la porta di casa.

Nel vedere Phoenix in quelle condizioni si allarmò immediatamente, Andrew entrò sorreggendolo, mentre lui si teneva in piedi a stento.

-Ha bisogno di garze e disinfettante- disse Andrew

-E di una dose di antidolorifici- aggiunse Phoenix, mentre si sedeva sul telo che Dyana aveva steso sul divano, per evitare che si macchiasse. Persino in quella situazione non avrebbe perso il suo controllo.

Sparì in bagno e tornò dopo poco con tutto il necessario.

-Cosa è successo?- chiese Dyana, mentre si sedeva sulla poltrona affianco

-Puoi immaginarlo- rispose Phoenix, mentre stringeva i denti quando la pelle scorticata entrava in contatto con il disinfettante.

Dyana accavallò le gambe, fissando il corpo del ragazzo martoriato flettersi silenziosamente dal dolore –Ti sei convinto, ora? Sai che hai bisogno di aiuto?- prese la lima per le unghie dal tavolino.

-Cos'hai in mente? Riaprire un caso che tuo zio ha sepolto non appena si è seduto nel suo nuovo ufficio? In ogni caso non mi crederebbe nessuno, anche se riuscissi a provare la mia innocenza- guardò Andrew negli occhi.

-Io ti crederei. Ti credo già- ammise, fermando la garza

-Ah, gli credi?- Dyana alzò la voce –E lasci che il tuo amichetto riversi la sua frustrazione su di lui? Perché non provi a renderlo normale, si vede da lontano un miglio che ha qualcosa che non va. Solo un pazzo potrebbe preparare una tomba del giardino della scuola.-

-Ashton è sempre stato così- la fermò Phoenix –Ha bisogno di incolpare qualcuno per tutto il suo dolore.-

I tre ragazzi trascorsero gran parte della serata insieme, in assenza di Frank.

Quest'ultimo proprio in quel momento suonò il campanello di casa Lee. Gli venne ad aprire Ellen, in un tubino nero elegante e un sorriso dolce stampato in faccia. Cenarono nel salone, con gli occhi di Ashton, nascosto dietro la porta, puntati su di loro.

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