Capitolo 25

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Erano rimaste solo Dyana e Isabel.

Dyana prese il microfono e iniziò a farsi strada tra tutta quella folla di adolescenti sudati e ubriachi –La festa è finita, andate a casa, o chiamo mio zio e vi faccio arrestare tutti. Sparite—

Scese dal tavolo da cui era salita e si sistemò le pieghe del vestito, tornò in casa e si chiuse dentro con Isabel.

-Non ti aiuterò a mettere a posto- le fece presente quella –Hai avuto quello che volevi? Li hai mossi come delle pedine. Baciare Ashton? Veramente una mossa di merda.-

-Non sei la persona più indicata per giudicare chi bacio o meno- rispose ironicamente Dyana –Di' un po', come facevi a sapere cosa stava facendo il professore?- non aveva finito di scoprire le piaghe pulsanti di tutti.

–È sotto la luna che faccio le cose migliori- rispose. Era quello che voleva si venisse a sapere di lei. L'esteriorità della sua vita sessuale confusa, il modo in cui assaggiava tutto ciò che le mettevano sotto il naso, senza nessuna inibizione. Voleva che le persone percepissero sfrontatezza, non insicurezza.

Dyana non riusciva ad avere la minima empatia per quella ragazza. Non le interessava cosa provava, non si sentiva colpita da quello che celava, ma lo capiva benissimo. Era questo a renderla superiore. Capire senza importarsene.

-Smettila di parlare così. Ti ho vista piangere negli spogliatoi. Sei poco credibile- le sussurrò. Accarezzò la sua guancia pallida con due dita, mentre l'altra spalancò gli occhi –Sei arrabbiata con lui? Lo so che è così. Allora facciamo qualcosa per fargliela pagare. Pensi che l'abbia fatto venire qui senza uno scopo?-

-Non lo minaccerò, se è questo che intendi. Io volevo stare con lui- la fermò prima del tempo.

-E chi parla di minacciarlo?- Dyana andò ad aprire la porta di casa –Se non vuoi rimanere qui per la notte, mi sa che devi andartene. Ci vediamo domani in caffetteria- indicò fuori –O rimani?- inclinò la testa e le sorrise dolcemente. Isabel afferrò la sua borsa e uscì di fretta, senza dire nient'altro.

Mentre le due ragazze parlavano, Ashton si era lanciato in strada per raggiungere Phoenix. Non poteva credere a ciò che aveva sentito e voleva delle spiegazioni. Nella sua mente si iniziava ad affacciare la possibilità di aver vissuto una menzogna fino a quel momento. Gli montò dentro una rabbia furiosa verso se stesso, avrebbe affondato quel coltello che aveva usato contro il ragazzo nel suo braccio, come era solito fare nei momenti di disperazione. Quell'autolesionismo abitudinario a cui ormai si sottoponeva senza darci più peso.

Lo vide salire nella sua macchina e si lanciò verso lo sportello, che aprì di scatto –Vattene, torna dentro. Io vado a casa- ordinò frettolosamente Phoenix.

-È vero?- domandò con il fiato corto per la corsa in cui si era lanciato per raggiungerlo –Se è vero, perché non me l'hai mai detto?-

-Ho sempre cercato di proteggerti. Tutto quello che ho detto e fatto era per proteggere te. Se ho avuto dei ripensamenti è stato per te. E preferisco che tu mi odi, piuttosto che rovinarti la vita- era la prima volta che si parlavano veramente dal giorno in cui Phoenix era stato arrestato. Ashton aveva ancora il respiro accelerato, e non per la corsa. Le lancette dell'orologio avanzavano, ormai era notte fonda.

Il muro d'odio di Ashton si sbriciolò sotto i fiori dell'amore che provava per quel ragazzo. Iniziò a piangere, i suoi occhi chiari si sciolsero nell'insicurezza mascherata dall'odio. Phoenix gli prese la mano che stava stringendo in modo convulso la maniglia della macchina. Lo avvicinò con dolcezza e gli mise le dita sulla guancia, accarezzando le lacrime agli angoli del suo viso. Quel ragazzo che lo aveva accoltellato giorni prima, ora piangeva invulnerabile, alla ricerca di un appiglio per non sprofondare.

-Ero scappato con l'intenzione di tornare, ti avrei portato con me, ovunque- lo spinse contro il suo petto e scese dalla macchina, per poter abbracciare interamente il suo corpo.

Ashton diruppe in un pianto rumorosissimo, le spalle gli si alzavano e abbassavano come un passerotto che soffre per un'ala spezzata. Si era mostrato così solo davanti a due persone: Andrew e Phoenix.

Tutti i piani di Phoenix comportavano la presenza di Ashton, non voleva immaginare una vita senza di lui. Ogni parte di Phoenix amava ogni parte di Ashton, e viceversa. Anche le parti più crudeli, subdole, false, meschine.

Le loro fronti aderirono l'una all'altra, Phoenix gli strinse il viso, Ashton posò le mani sulle sue, aumentando di più la presa –Guardami, qualunque cosa succeda, noi saremo sempre noi. Non c'è niente in grado di rompere il nostro legame. Io te lo giuro, non c'è niente che tu possa fare che mi allontanerà mai da te. Io ti amo, e questo non lo può capire Dyana, né nessun'altro. Sei come un fratello.-

Ashton lo ascoltò e avvolse le braccia sottili attorno al suo collo. Lentamente il suo pianto si calmò, ma era solo un risultato della sua delusione.

La mattina dopo, come promesso, Dyana era seduta a uno dei tavoli della caffetteria, con il suo computer. Isabel entrò nel locale e si sedette vicino alla ragazza –Puoi essere breve? Ho in sospeso una sessione di shopping.-

-Non fare la stupida. Questo ti interesserà molto di più dello shopping- voltò il computer verso di lei. Sulla schermata c'era la foto di Ryan Daves, con dei dati allegati –Incredibile cosa si trova in rete, no? A quanto mi risulta, questo è il primo anno di insegnamento del signor Daves. Su di lui non compare uno straccio di curriculum, è diventato professore dall'oggi al domani. Cercando in modo puramente casuale tra gli archivi della città, registrati nel computer di mio zio, ho trovato qualcosa di più. Pare che il nostro amico in passato abbia collaborato come investigatore privato accanto alla polizia di Chicago, per un caso di presunta sparizione. Le notizie sono molto vaghe, si parla di una ragazza ritrovata, dopo che era stata utilizzata come corriere della droga su un volo diretto a Berlino. Qui si fermano le notizie che sono riuscita a ricavare. Non so te, ma trovo abbastanza strano che una specie di detective si sia rinnovato in professore.-

Isabel rimase con gli occhi puntati sullo schermo –Ogni settimana va fuori città. Non so cosa faccia. Non so niente di lui, per quanto ti possa sembrare strano.-

-Quello che mi sembra strano è che un uomo piuttosto ambiguo si sia trasferito in questa cittadina spersa nel mondo, in seguito all'omicidio di Bred Lee. Parlane con lui, magari riuscite a capirvi bene come una volta- Dyana chiuse il computer, lo ripose nella sua custodia e, dopo aver lasciato il conto sul tavolo, uscì dalla caffetteria.

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