Capitolo 28

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A quella domanda Isabel aveva voltato le spalle e si era posata le mani sul viso. Ryan la ripeté, mentre Dyana, Phoenix e Ashton erano immobili.

-Non l'ho ucciso io- si voltò e guardò Phoenix negli occhi –So a cosa stai pensando, e non è così.-

-Allora dimmi com'è- rispose il ragazzo.

-Non sono sicura che tutti i presenti vogliano ascoltare- disse riferendosi ad Ashton.

-Parla e basta!- gridò Ashton.

-Quella notte ero da Bred, poco prima che scoppiasse l'incendio.-

-Cosa ci facevi?- domandò Dyana.

-Ci lavorava- rispose Phoenix.

-Non volevo più. Erano mesi che pregavo Bred di lasciarmi in pace. Era iniziato tutto come un gioco. Mi propose di tenere compagnia a qualche suo amico, senza nessun impegno. Mi avrebbe pagato profumatamente per qualche sorriso e qualche bacio senza alcuna importanza. Come ogni cosa, mi sono lasciata prendere la mano, e non sono riuscita più a fermarmi... sono andata oltre. Iniziò a ricattarmi. Se mi fossi ribellata, avrebbe raccontato a tutti cosa avevo fatto. Aveva in mano certe mie foto. Non potevo lasciarmi rovinare la vita. Aveva un'ossessione per me, ni voleva sempre, e se non riusciva ad ottenermi....-

-E quindi? Lo hai ucciso?- domandò Ryan, a voce alta.

-No! Ma quella sera fui vicino tanto così!- urlò la ragazza –Andai da lui, gli dissi che avrebbe dovuto lasciarmi in pace, che non poteva perseguitarmi. Ma ogni volta che mi ribellavo mi metteva le mani addosso- puntò gli occhi su Ashton –Mi afferrava e mi bloccava. Mi apriva le gambe e non mi lasciava neppure la bocca libera per piangere- tremava, ma non piangeva, orgogliosa –Quella volta non volli quel porco dentro di me. Ero stanca- sussurrò, mentre continuava ad avvicinarsi ad Ashton –Così disgustata anche da suo figlio, viziato stronzo di papà- era piena di disprezzo –Scappai in cucina. Mi immobilizzò contro il frigorifero. Iniziò a toccarmi come d'abitudine. C'era un coltello sul piano cottura, non ci pensai due volte a prenderlo. Intanto mi aveva afferrato i capelli, mi spingeva la faccia contro di lui, voleva che glielo prendessi in bocca anche se mi agitavo come un'ossessa. Gli piantai la lama nella pancia e riuscii a scappare. Ma non sono stata io! Non so che cosa sia successo dopo essere scappata da lì!- urlò, ormai le lacrime la stavano soffocando.

Rimasero tutti paralizzati, la guardarono cadere a pezzi sul pavimento, inginocchiarsi tagliata in due dal dolore. Ryan si alzò silenziosamente, si accovacciò alla sua altezza e le e avvolse le braccia attorno al corpo. Posò le labbra sulla sua tempia e la cullò dolcemente. Nessuno l'aveva mai abbracciata in quel modo, Isabel si ruppe ancora di più nel pianto. Si nascose nei vestiti di quell'uomo e per la prima volta si sentì realmente protetta.

-Ti credo- disse d'un tratto Ashton –E se lo avessi ucciso non ce l'avrei con te. Anche io lo avrei fatto. Lo odiavo.-

-Allora perché tormentavi Phoenix?- chiese Dyana.

-Perché quando soffri hai bisogno di un colpevole- Phoenix rispose al posto di Ashton, bloccando ogni discussione.

-Ci sono altre donne a cui Bred faceva quello che dovevi sopportare tu?- chiese Dyana ad Isabel, che intanto si era rialzata.

-Sì, alcune lavorano ancora. A volte sei disposta a fare di tutto per comprarti da mangiare. So anche dove trovarle.-

In quel momento ad Ashton arrivò una telefonata. Era Andrew. Rispose frettolosamente, memore della discussione che avevano avuto.

-Pronto?- dall'altra parte non sentiva niente –Pronto? Andrew? Dove sei?- dal capo opposto il ragazzo stava cercando di non piangere. Agganciò la telefonata e guardò di nuovo in basso. Aveva le vertigini, le rotaie del treno, ormai immerse nel buio, sembravano alzarsi e abbassarsi, lo invitavano a mettere un piede nel vuoto, il salto sarebbe stato piccolo e innocuo, sarebbe sceso da lì senza farsi niente. Era così vicino al suicidio. Avrebbe voluto scrivere qualcosa prima di andarsene, aveva alcune richieste prima di passare al vuoto.

Voleva scegliere la foto della sua tomba, la frase sotto le date del suo inizio e della sua fine. Avrebbe chiesto ad ogni suo amico di gettare un po' di pane sulla sua lapide, così che gli uccelli per mangiarlo non lo avrebbero mai lasciato solo. Era la solitudine a tormentarlo. Voleva cadere e uccidersi. Non avrebbe chiesto scusa a nessuno, sarebbe finito tutto quel rumore, la vertigine della vita si sarebbe finalmente annullata.

Si aggrappò alle transenne in metallo e provò ad alzarsi. Dovette chiudere gli occhi, i colori degli oggetti attorno gli colpivano la retina come se qualcuno gli stesse gettando della pittura in faccia. Il rumore del vento era così amplificato da ficcarsi nelle sue orecchie come mille spilli.

-Andrew, ti prego, non ti muovere- il vento aveva assunto la voce di Ashton. Era esattamente l'ultima cosa che avrebbe voluto sentire prima di morire. Voleva fingere di essere stato amato per davvero.

-Ora vengo lì da te, non ti muovere- aprì gli occhi e i colori di Ashton lo ferirono. Azzurro, giallo, bianco.

Quanto tempo era passato dalla telefonata? Un secondo? Un'ora? Non riusciva a quantificarlo.

Ashton si arrampicò, mise i piedi sull'orlo di strada su cui si trovava Andrew. Vide la siringa, il ditale e l'accendino al suo fianco –Che hai fatto?- chiese senza poter credere ai lividi sulle braccia del ragazzo, che teneva sempre coperte dai bracciali.

Sapeva che fosse andato lì: era quello il posto in cui la sera bevevano e guardavano il treno passare.

-Che ho fatto?- domandò istupidito Andrew –Che ho fatto?- chiese di nuovo, mentre piangeva senza alcun rumore, con lo sguardo perso nel vuoto. Ashton si sedette al suo fianco e gli prese la mano, dondolò i piedi nel vuoto e si mise a guardare i binari della ferrovia.

-Non hai fatto niente, ora riposati. Ci sono io qui con te- fu solo in quel momento che Ashton comprese.

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