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Minho si guardò dritto nello specchio lucente di camera sua. Scosse la testa per sistemare i suoi lunghi capelli neri che gli ricadevano davanti ai suoi occhi scuri ed inespressivi, osservò come la sua pelle bianca facesse contrasto con il colore roseo e acceso delle sue labbra, che non avevano un inclinazione felice, ma nemmeno triste, erano semplicemente inespressive. Osservò come la camicia bianca della divisa scolastica gli mettesse in risalto il suo fisico magro e non eccessivamente muscoloso. Si strinse al collo la cravatta nera, chiudendo bene i bottoni della camicia nascondendo il suo petto pieno di piccole e lievi cicatrici e botte nere. Si sistemò al collo la medaglietta appartenente da generazioni alla sua famiglia, nascondendola sotto la camicia in modo che le persone non la potessero vedere. Mise nelle tasche posteriori dei suoi jeans neri il suo telefono ed indossò le sue Air Force Nere.

Ed eccolo lì ad osservarsi allo specchio; teoricamente è così che ti senti ad essere il figlio del boss della mafia coreana, assomigli di aspetto a tutto il resto degli studenti del mondo intero, vai a scuola come loro e studi le loro stesse materie. L'unica differenza sta nella completa solitudine nella quale vivi, senza amici, ragazze, ragazzi, nulla.

Tutto questo a causa del tuo cognome.

Lee Minho, studente del terzo anno all'università di ingegneria, conosciuto da tutta la scuola fin dal suo primo giorno. Nessuno ha mai tentato di fare amicizia con lui, nessuno gli ha mai rivolto la parole spontaneamente, nemmeno i professori. Ha sempre lavorato da solo ad ogni progetto scolastico, nessuno gli ha mai fatto compagnia a pranzo in mensa e soprattutto nessuno ha mai cercato di essergli amico.

Fin da quando aveva otto anni, suo padre Lee Choi, lo aveva affidato a dei tutori per allenarlo e farlo crescere in mezzo a sangue, violenza e morte. Cercando di farlo diventare una macchina da combattimento senza un minimo di sentimento.

Lee Minho era sempre stato un facile allievo, in grado di apprendere ogni cosa senza troppe difficoltà. Ma Lee Minho era anche nato con una grande intelligenza, che fin da piccolo lo aveva reso sveglio e in grado di guardare oltre le barriere che la sua famiglia gli imponeva.

La sua famiglia era composta da suo padre, che vedeva raramente, sua madre che era costantemente presente nella sua vita, ma si comportava come una bambola di stoffa; un essere che si muoveva a seconda di come volevano gli altri, senza capacità di parlare, pensare o prendere delle decisioni per conto suo. E infine nella sua famiglia c'erano i suoi due fratelli minori, Jinhwan che aveva solo un anno in meno di lui e Ryujin che invece era il più piccolo e aveva dieci anni.

Minho aveva sempre trattato i suoi due fratelli con un fare protettivo e gentile, come primo genito della sua famiglia era stato destinato ad intraprendere la vita che voleva suo padre, poiché una volta morto era già stato deciso alla sua nascita che Minho avrebbe preso il suo posto.
E Minho non si oppose mai a questa scelta, perché in questo modo permetteva ai suoi due fratelli di vivere una vita serena, visto che secondo una tradizione, solo il primo genito era destinato ad una vita all'interno della mafia.

Minho sorrideva solo in presenza dei suoi fratelli, perché trovava felicità solo stando con loro. Quando gli raccontavano dei loro amici e delle loro cotte scolastiche, quando erano tristi per qualche motivo o quando volevano semplicemente rimanere tra le braccia del loro fratello maggiore. Minho cercava sempre di trovare del tempo per loro, tra studio e attività della mafia, se uno dei suoi fratelli stava male, lui era in grado di passare tutto il pomeriggio insieme per farlo stare meglio e studiare durante la notte per non rimanere indietro con gli esami.

Questo era Lee Minho.

Ma alla fine, chi lo conosceva veramente?

Nessuno.

Who is he?   [ Minsung ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora