L'acqua risale lenta, facendo ondeggiare leggerissime navicelle invisibili, che incespicano tra una cresta e l'altra ignare della loro piccolezza.

Riempita la vasca di acqua calda, rigenerante e terapeutica, realizzo di aver dimenticato il cambio.

"Ehi" saluto mia sorella, seduta sul letto troppo impegnata a guardare Netflix, mentre le passo davanti per raggiungere l'armadio.

Torno al mio luogo felice ma non appena apro la porta quasi mi scappa un gridolino per lo spavento.

"Tutto bene signorina?" Chiede l'uomo sulla cinquantina, se non sessantina, stante proprio di fronte a me, in bagno, tra me e la vasca.

Per poco non mi cadono i vestiti ben piegati e scelti frettolosamente dalla mani, mentre mi domando chi sia costui o come sia arrivato qui. Quindi mi stringo tra le dita, cercando di trovare almeno un motivo per non gridare di nuovo.

Un delicato profumo floreale proveniente dalle mani dell'uomo rivela la presenza di due bombe da bagno rosa, alquanto invitanti.

"Ho pensato che avrebbe gradito delle bombe da bagno profumate" spiega con voce innocente di chi non capisce cosa stia accadendo, come se avesse il diritto di essere confuso.

Continuo a non proferire parola, fissandolo quasi fosse un insetto velenoso. 

"Chi dovresti essere tu?" Domando spaventata e diffidente.

"Io sono...Abraham" dice con difficoltà e prudenza, come se mi stesse rivelando chissà quale arcano e recondito segreto.

"Abraham! Ma certo" ironizzo per smorzare la tensione. "Abraham, era così ovvio" mi colpisco la fronte sbadatamente. 

L'uomo appare ufficialmente non sentirsi più a suo agio.

"Io...non so che dire. C'è qualcosa che non va?" Chiede non tranquillizzandomi affatto, ma ottenendo invece l'effetto contrario.

"Chi sei?" Chiedo insistentemente.

"Gliel'ho detto, sono Abraham. So che non ci conosciamo ancora, comunque piacere. Lei è?" Lo guardo con occhi fissi e spalancati, senza credere alla mie orecchie.

"C'è qualcosa che non va per caso?" Chiede ancora dubbioso.

"Se c'è qualcosa che non va?" Ripeto la sua domanda con un tono tendente all'isterico.

Sento dei passi dietro di me, poi una voce che mi fa girare di scatto "Che succede?". È Shawn. "Ho sentito delle urla".

Grazie a Dio.

"Nulla giovanotto" si intromette il vecchio "non si preoccupi, stavo solo...".

"Stava solo...cosa?" Chiedo senza preoccuparmi di sembrare pazza.

"Sei...chi diamine sei? Shawn fa qualcosa!" Gli impartisco quasi fosse un ordine.

"Ok, chi cavolo è lui?". Domanda interessante, vorrei saperlo anch'io.

"Sono Abraham" ripete lui per l'ennesima volta, al che mi metto una mano sulla fronte per la disperazione ed esalo un sospiro di disperazione.

"È ABRAHAM" sottolineo con fare disinvolto.

"Volevo solo farmi un bagno e..questo è quello che succede" dico esausta quasi ringhiando.

"Va tutto bene, calma, ora la risolviamo. Di sicuro è opera di Dylan" tenta di rassicurarmi.

Mi calmo subito un po', venendo colta impreparata dalla reazione del riccio, il quale non mi ha nemmeno ripresa per aver alzato la voce ed aver iniziato a dire cose insensate.

Per tutta la vita sono stata abituata ad un padre che minimizzava ogni mio singolo problema, perchè nel caso ci fosse stato davvero un problema, lui non avrebbe assolutamente avuto né la voglia né la capacità di preoccuparsene. Per cui, di prassi mi aspetto dagli altri quello che mi aspetterei da lui: tirate d'orecchie e critiche nei confronti di ogni mio singolo atteggiamento.

"Non capisco" riprende a parlare quasi in un sussurro il tizio "sto solo facendo il mio lavoro. Io e Shawn ci guardiamo come se finalmente stessimo iniziando a schiarirci le idee.

"Lavora qui?" Fa Shawn incitandolo impaziente.

"Sono un maggiordomo" risponde scontato.

I miei occhi si spalancano nuovamente.
"Non potevi rispondermi quando te l'ho chiesto prima? Chi diamine ti ha assunto, si può sapere?" Shawn mi interrompe probabilmente per evitare che inizi a parlare senza tregua, essendosi probabilmente accorto che ho iniziato a dare del tu all'uomo.

Prende il telefono dalla tasca posteriore dei suoi jeans, apre la rubrica cliccando sul nome di Dylan e poi se lo appoggia all'orecchio in attesa di una risposta.

Non sento cosa viene detto dall'altro capo del telefono, sento solo le parole di Shawn.

Lo sento imprecare contro l'amico con frasi come 'ne avevamo già parlato, perchè?, 'te le cerchi proprio' e insulti vari; dopodiché chiude la chiamata e riporta su di me l'attenzione.

"È stato lui" mi comunica con aria ancora irritata per la conversazione appena avuta. Quel dannato ragazzo ha un effetto orribile sulle persone: appena parla con qualcuno, quel qualcuno rimane nervoso per i successivi dieci minuti, come minimo.

"Cosa? Perchè? Ne avevamo già parlato." Mi rendo conto che sto ripetendo le stesse frasi che ha detto Shawn poco fa al telefono "Dio mio, giuro che lo uccido, poteva almeno avvisarci, no?".

"Si lo so, mi dispiace, gli parlerò io." Dice lui.

"Nono, se la vede anche con me, sta volta non la passerà liscia quel..." cerco di finire le frasi più compromettenti solo nella mia testa per non dire cose di cui potrei pentirmi, anche se dubito fortemente che potrei farlo.

"E poi sto maggiordomo ha dei problemi, non sa rispondere ad una semplice domanda..ma poi che cazzo di nome è Abraham??!" Sbotto senza più pazienza per contenermi anche solo un minimo.

"Shhh" cerca di trattenersi, ma mi prendere delicatamente per un braccio per allontanarsi un po' dal vecchio e scoppia a ridere lasciandomi spiazzata, ho appena fatto una sfuriata e lui ride. In men che non si dica contagia anche me, inevitabilmente. L'assurdità della situazione è irritante e divertente allo stesso tempo.

Continua a tenermi il polso e la sua pelle sulla mia è molto calda, il contatto è quasi piacevole.

"Sai" dice mentre cerca di parlare senza ridere "penso proprio ti abbia sentito" torniamo a ridere per la figura che ho appena a fatto, ben poco studiata.

Sto già iniziando a rilassarmi, pur essendo in mezzo ad un corridoio a ridere con uno sconosciuto alle spalle di un altro sconosciuto, per giunta in accappatoio.

In effetti è un po' scomoda come situazione, ma ciò che più mi irrita è Arnold...o Abraham come cacchio si chiama. Credo che penserò ad una piccola vendetta per Dylan,  non sono una persona infantile, ma credo di aver capito che tipo è lui e so che questo è l'unico modo per fargli capire realmente le cose.

"Sai una cosa"

"Cosa" gli chiedo guardandolo a malapena, per tenere d'occhio il maggiordomo dietro di lui.

"Dovremmo mandarlo via" dice come se non ci stessi già pensando da quando l'ho visto in bagno.

"Oh ma sei un genio" commento prendendolo in giro e lui abbozza un sorrisetto per poi mollare lentamente la presa sul mio polso e dirigersi verso il maggiordomo.

Il corridoio al secondo piano sembra infinito, questa casa è infinita, potrei seriamente perdermi. Mea culpa, non sono abituata come Dylan a vivere con così tante camere, bagni e addirittura un giardino con piscina. Non so come farò una volta tornata negli Utah, dopo aver vissuto per sei mesi nel lusso più totale; voglio certamente riposarmi, ma senza esagerare con la pigrizia, altrimenti tornerò a casa più viziata che mai e incapace di riprendere una vita da comune mortale.

"Io vado a rivestirmi" comunico a Shawn mentre raggiungo la mia camera "mi è passata la voglia di farmi il bagno".

"Si, dopo raggiungimi di sotto" dice ed io mi limito ad annuire non conoscendo il motivo della sua richiesta.

Dreamtime's overDove le storie prendono vita. Scoprilo ora