Sono rimasta in bagno per indecifrabili minuti che, considerando la mia concezione del tempo sfasato, influenzata dal mio stato d'animo, potrebbero essere stati due come trenta.

Dopo essermi assicurata che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, sono tornata in stanza intenta a riposarmi, ma sapevo già che non avrei dormito molto.

Mi sono addormentata tardi col viso ancora leggermente umido per le lacrime e cercando un modo per giustificare il meschino atteggiamento di mio padre, ma non trovando nessuna ragione valida, come sempre. Non riesco a comprendere come un padre possa non amare i suoi figli e soprattutto, come possa giudicarli con tale cattiveria senza essere mai realmente presente per loro.

Mi porto dietro il dolore come fosse parte di me, come un eco che però non si espande mai fino ad estinguersi del tutto, continua a rimbombare all'infinito.

È mattina e non sono affatto sicura di volermi alzare, non sono sicura di voler affrontare la giornata dopo ciò che è successo ieri, dopo la figuraccia che ho fatto di fronte a tutti. Ora sono vulnerabile agli occhi degli altri. Sanno qualcosa che non avrebbero dovuto sapere, o perlomeno non in quel modo.

Prima andava tutto bene, nessuno sapeva quasi nulla su di me, oltre la mia passione per il caffè e le tisane, la felicità che provo tornando bambina mentre salto la corda o lancio sassolini nell'acqua e l'odio che provo verso i brontoloni come Dylan. Stavo bene racchiusa nella mia bolla, quando facevo vedere agli altri solo ciò che volevo, nessuno poteva immaginare nulla su di me perchè ero io a potermi creare un'identità a piacimento.

Riuscivo a nascondere quel lato di me che vorrei non esistesse o che fosse nettamente migliore, mascheravo le mie insicurezza con un velo di vaghezza ed innocente neutralità.

Le persone che conoscono dettagli della tua vita,  giudicano senza sapere tutta la verità, ti si avvicinano e poco dopo ti voltano le spalle, oppure ti stanno alla larga dal principio e cominciano a diffondere strane voci sul tuo conto. A nessuno piacciono le persone con dei problemi, qualsiasi essi siano.

Decido controvoglia di alzarmi senza nemmeno preoccuparmi di guardare l'ora, non mi interessa. Velocemente mi cambio indossando degli shorts di tuta grigi, una maglia a maniche corte e una leggera felpa con la zip.

Scendo le scale ed arrivo in salotto scoprendo di essere l'unica sveglia, così mi siedo sul divano appallottolandomi con le ginocchia al petto.

C'è un silenzio rilassante e appagante per le mie orecchie, stanche di sentire frasi accusatorie ed ingiuste imposizioni.

"Ehi" mi saluta Tyler ed io mi giro di colpo non aspettandomi di vedere qualcuno.

Lo saluto con un cenno del capo riportano poi lo sguardo a terra su un punto fisso. Per fortuna si dirige al bagno senza farmi alcuna domanda a cui non avrei voglia di rispondere.

Nel giro di mezz'ora siamo tutti seduti al tavolo da pranzo a fare colazione. 

Ora che ci penso, perchè l'hanno chiamata sala da pranzo? Viene utilizzata per tutti i pasti, quindi perchè è stato scelto proprio il pranzo per dare il nome alla stanza? Il mio cervello sta iniziando a fare ragionamenti contorti e insensati, come fa sempre in momenti imbarazzanti come questo.

Siamo tutti seduti in silenzio a mangiare, nessuno dice nulla ma è come se sapessi esattamente a cosa stanno pensando tutti. Mi sento al centro dell'attenzione anche senza che nessuno apra bocca e l'imbarazzo inizia a palesarsi.

"Taylor" mi sento chiamare ad un certo punto dal riccio, alzo sorpresa la testa e incontro subito il suo sguardo, proveniente dal lato opposto del tavolo rispetto a me.

"Si?" Chiedo stranita senza nemmeno alzare la testa.

"Va tutto bene?" Chiede mentre tutti ci osservano non aspettandosi forse che lui si facesse avanti.

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