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Londra, 24 novembre 1926.

Giorno delle nozze

Freddie

Il 24 novembre 1926 è iniziato da poco, e le prime luci dell'alba si innalzano timide sull'oscurità della notte, che ha portato consiglio, riflessione, e anche tanta, tanta insicurezza.
Ho paura per me, per noi.
Temo per il nostro futuro ormai imminente.
E se Roger davvero non mi amasse più?
Perché si è arreso? Perché ha smesso di cercarmi?
Siamo quasi arrivati, mancano circa due orette alla casa di Roger.
Il cuore mi batte forte in petto, quasi sul punto di esplodere e raggiungere la vera persona a cui appartiene.
Ma a quel punto, ecco che scorgo due ombre, sempre più familiari man mano che mi avvicino.

- Ferma la macchina. - ordino poi a Brian, che esegue nel momento in cui nota anch'esso quelle due figure.

Michael

Chiudo gli occhi, ormai rassegnato all'idea di morire per mano di mio figlio.

Ma ad un tratto, una voce, mi permette di tornare alla realtà.

- Ehi! Cosa stai facendo? - apro di scatto gli occhi.

È un ragazzo, più o meno dell'età di Trevor, capelli corvini, occhi tenebrosi.
È lui, Freddie.
Ho una strana reazione appena lo vedo.
Non so nemmeno descriverla.
È come se fossi indispettito dal fatto che fosse di nuovo a zonzo, libero di scorrazzare nelle mie terre, ma anche felice di rivederlo sano e salvo, come se avessi provato una grande pena per lui per tutto il periodo in cui è stato sbattuto in carcere...come se infondo, gli ho sempre voluto bene.
Ha indosso una divisa da poliziotto, ed è stanco, provato, come se avesse affrontato un lungo viaggio.
Ed effettivamente, non mi sto discostando molto dalla realtà dei fatti.

Si avvicina a Trevor, con sguardo minaccioso, ma viene battuto sul tempo da un altro ragazzo, più filiforme, vestito da poliziotto come Freddie, che, armato di un legno massiccio, tira una legnata sulla schiena al mio Trevor, che cade a terra tramortito.
La pistola gli cade dalle mani, e io, prontamente, la raccolgo, esaminandola.
Quel ragazzo misterioso si mette a cavalcioni su mio figlio, gli afferra il mento obbligandolo a guardarlo e con quella libera inizia a colpirlo.
Io fisso la scena a bordocampo immobile, incapace di fare la minima azione.
Sono troppo scombussolato, mi sono fatto prendere dalla successione così rapida degli eventi.

- John...direi che può bastare - mormora una voce misteriosa immersa nell'oscurità.
Il proprietario della voce si fa avanti.
È un ragazzo alto, con il volto incorniciato da soffici riccioli bruni, anche lui, in divisa da poliziotto.

- Io sono Brian, Mr.Taylor. è un piacere fare la sua conoscenza - si presenta, con tono educato.

A quel punto, il ragazzo intento a picchiare mio figlio, si volta verso di me, guardandomi perplesso per pochi istanti.

- Oh, mi scusi, che sbadato, non mi sono nemmeno presentato. Mi chiamo John, e come ha potuto notare, mi faccio prendere sempre dalla foga del momento. Glielo tengo fermo, così può ucciderlo -

A quel punto, il ragazzo che risponde al nome di John tira mio figlio su a sedere verso di me, e lo tiene fermo bloccandolo dalle braccia.

Io stringo i denti, e impugno la pistola in una presa ferrea.

- Papà ti scongiuro, non spararmi! - mi supplica Trevor, con le lacrime agli occhi.

- Sta zitto, idiota - inveisce contro di lui John, mollandogli uno schiaffo.

Sospiro profondamente, riflettendoci su.
Non so che cosa fare.
Non posso sparare a mio figlio, ma non posso nemmeno lasciar correre questo episodio come se niente fosse.
Serro le labbra, titubante.
Mi gratto la testa, impugno di nuovo la pistola, ma poi mi lascio condizionare dal suo sguardo terrorizzato e allora abbasso di nuovo l'arma.

A quel punto, prendo una decisione.
Porto il mio sguardo fermo su Trevor, senza più emozioni.
E in quel momento, lascio cadere a terra l'arma, sotto il disappunto generale.

Guardo tutti i presenti.
Non sono altro che profili di estranei.
Che cosa ne sanno loro, di ciò che mi ha portato a fermarmi.
Non sanno ancora, il posto speciale nel cuore di un papà che un figlio occupa per tutta la sua esistenza.

A quel mio ultimo gesto, Trevor emette un sospiro di sollievo.

- Grazie papà - e io lo fulmino con lo sguardo.

- Sappi che ti ho risparmiato solo in quanto mio figlio. Ma ti comunico di essere profondamente deluso da te. - alle mie parole, Trevor abbassa lo sguardo, triste.

- M-mi d-dispiace...ma vedi...la gelosia nei confronti di Roger...il matrimonio... -

- Non hai scuse, e ora infilati in auto e taci -

- Beh, signore, se mi posso permettere...l'auto è nostra... - balbetta Brian, e io lo squadro con odio.

- E queste sono le mie terre. Tutto ciò che poggia su di esse è mio. Anche voi siete miei volendo, quindi state buoni e zitti, e accompagnate mio figlio in macchina - a quel mio ordine, Brian, John e Trevor si dirigono verso la macchina a capo chino, vergognosi.

Trevor

Salgo in macchina con quei due sbandati, che nemmeno si avvicinano a due poliziotti.
Ci sediamo nei sedili posteriori, e io sono schiacciato nel mezzo.
Sono terrorizzato da quello che possono farmi.

- Posso giurare sulla mia vita che voi non siete dei poliziotti - a quella mia affermazione, Brian e John si scambiano un'occhiata divertita.

- Complimenti, Watson. Questo è un grande passo avanti...altro che elementare...qui siamo oltre - mi canzona Brian, mentre John scoppia a ridere.

Io incrocio le mani al petto, stizzito.

Delinquenti, e pure odiosi.

- E...e allora siete i compagni di cella di Fr-freddie? - azzardo io, esitando non poco.

- Già... - afferma John, giocoso.

- E...p-perché v-vi hanno sbattutto i-in carcere? -

- Di lavoro uccidiamo persone, disco rotto - la fa breve John, mentre nell'abitacolo, nessuno osa più parlare.

Michael

A quel punto, rimaniamo soltanto io e Freddie.
Ci osserviamo, ci studiamo, e ci scrutiamo con attenzione.

- Freddie - lo chiamo ad un certo punto io.

- Sì signor Taylor? - risponde timoroso lui.

- Mi dispiace, per tutto quello che ti ho fatto passare. Non lo meritavi, non l'hai mai meritato. Tu meriti solo una persona da amare, come tutti noi del resto.
E quella persona, è Roger.
Ora che vedo il tuo volto, così provato, il tuo corpo, così martoriato, capisco quanto tieni a mio figlio, e quanto sei disposto a fare per amore. Sono profondamente risentito e amareggiato per tutto quello che hai passato per colpa mia e della mia ignoranza. Ero cieco, perché la mia mente lo era, e i miei occhi, vedevano solamente lo scandalo, il peccato, l'osceno. E spero che un giorno, mi perdonerai - dopo il mio breve discorso, abbasso il capo penitente, per poi rialzarlo nel momento in cui mi ritrovo tra le braccia di Freddie.
A quel punto, le mie lacrime iniziano a scivolare dal mio viso, macchiando la divisa di Freddie.
Lo stringo forte a me, accarezzandogli il capo.

- Tutto perdonato, signore... - riesce a dire Freddie, tra un singhiozzo e l'altro.

Ad un certo punto, sciogliamo quel lungo abbraccio, e ci guardiamo a lungo, sorridendo.
Al termine di quel lungo abbraccio, mi sento più rilassato, è come se mi fossi liberato di un peso che mi portavo a lungo dietro.
In un secondo momento però, le nostre espressioni cambiano, e la perplessità, la confusione e lo sconcerto si appropriano dei nostri volti, illuminati dal sole, ormai sorto.
Come se avessimo dimenticato quacosa e facessimo fatica a ricordarla.

- Quindi...ora che si fa? - azzarda Freddie, ad un certo punto.

- Il matrimonio! - esclamo.

Come Amare Sull'orlo Del Baratro-FrogerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora