32 - Gita fuori corpo

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«Oh, andiamo! Di nuovo il buio! Io odio il buio!» protestò Yuri, un secondo dopo essere stato avvolto dall'oscurità sprigionata dalla strana freccia di Moema Danielson. «Che cosa mi ha fatto quella peste dagli occhi d'oro?!» sbuffò. «Dafny sarà in preda al terrore!» mosse pochi passi avanti e intravide qualcosa oltre il cono d'ombra: una strada vecchia e polverosa il cui asfalto era tutto crepato e grigio. Avanzò ancora e uscì dalla nube nera che poi disparve totalmente. Sentì aria frizzante di primavera, mista all'odore di frittura proveniente dalle finestre dei condomini fatiscenti che si stagliavano lungo i lati della strada. Era un vicolo storico di chissà quale parte del mondo. Ogni finestra ne aveva difronte un'altra, vicina al punto che due allegri abitanti dirimpettai si affacciarono e si scambiarono dei vassoi pieni di cibo. Non dovettero nemmeno sporgersi troppo. Yuri li osservò. Sbirciò pure dentro alcune case, filtrando lo sguardo attraverso alcune finestre basse posizionate quasi tutte vicine.

«Eh, scusatemi gente! Sapete dove siamo?» domandò alla coppia che si scambiava le cibarie, ma essi non lo degnarono di attenzione, come se non fosse lì. Insistette ancora un paio di volte prima di comprendere che c'era qualcosa che non andava. Sbuffò. Si girò in cerca della nebulosità oscura, pensando che fosse la via d'uscita per tornare a scuola, ma al posto di quella cosa vide un uomo. Era imponente, alto, il volto regale, anche se le rughe marcate, come scolpite nel legno, svelavano la vetustà dei suoi anni. Un particolare in più lo colpì, oltre al fatto che lo stava fissando dritto negli occhi, era la raggiera di lunghe piume di aquila sulla testa.

«Ehi, scusa!» lo chiamò, ma l'uomo imponente si voltò e andò via a passo svelto. Lo seguì. Percorse tutta la lunghezza del vicolo stretto fino a raggiungere un cortile dove alcune case, tutte costruite una attaccata all'altra, erano in piano rialzato con alti gradini posti alla loro entrata. In quel punto notò delle lenzuola stese ad asciugare su funicelle legate da balcone a balcone, e quando alzò lo sguardo si lasciò sfuggire un sorriso.

«Pallaaaa!» sentì dei bambini gridare subito dopo essere sbucati da un'altra via comunicante col cortile. Avevano perso il controllo di un pallone durante il gioco. Lo fermò di petto e lo bloccò con un piede. Vide uno di quei bimbi avvicinarsi e recuperare la sfera di gomma senza nemmeno lottare contro la forza esercitata per trattenerlo. Chiamò anche quel piccolino, ma come gli adulti poco prima pareva proprio non vederlo, come se non esistesse.

«Ma che posto è mai questo?» si spazientì guardandosi attorno ancora una volta. Una scia di fumo lo attirò, proveniva dall'uomo dalla raggiera piumata. «Ehi! Tu! Tu puoi vedermi! L'ho capito sai!» disse andandogli in contro. «Puoi dirmi dove mi trovo e soprattutto come se ne esce?» quello gli puntò lo sguardo addosso ancora. In mano aveva uno strano oggetto, sembrava una pipa fumante dalla quale aspirava con gusto. Piegò un lato della bocca.

«Mi prendi in giro!» sbottò Yuri, e in un istante lo raggiunse, ma a una certa distanza si bloccò. Il passo appesantito di colpo. Seguì con lo sguardo quell'individuo salire una scalinata infinita. Era una salita a gradoni, divisa in due corsie da un passamano di ferro battuto. I muri di altre minuscole case attaccate tra loro erano bianchi di calce. La salita era intervallata da pianerottoli di comodo a cielo aperto, dove alcuni anziani signori e signore erano seduti su vecchie sedie imbottite di cuscini fatti a mano a prendere sole e aria fresca. E pure quelle persone, vestite con abiti semplici e variopinti, non s'accorsero della presenza di Yuri, erano piuttosto prese dal chiacchierare amichevolmente di chissà cosa in uno strano gergo.

Il vecchio fumoso era già in cima alla gradinata. Lo vedeva. Ogni tanto si era voltato, ma senza trasmettere alcunché. Yuri fece una fatica inaspettata, perciò decise di usare un po' delle capacità di Ermes, ma la cosa non funzionò.
«E va bene! Vediamo fin dove riesco ad arrivare...» non si scompose. Arrancando lentamente, ne approfittò per inquadrare bene ciò che lo circondava. Le casette erano davvero minute, e avevano altrettante finestrelle dove vasetti di gerani, rosmarino e basilico abbellivano con un po' di colore qua e là la passeggiata. I tetti soprattutto erano particolari. Erano a forma conica. Quando poi riuscì a conquistare la vetta della gradinata, si trovò di fronte all'ennesima casetta quasi circolare, e col solito tetto conico, anzi, quella ne aveva tre: uno centrale più grande e due ai lati più modesti. Lesse sopra il portone d'entrata qualcosa che lo sorprese: Trullo di Apollo! La scritta era in greco fatta con la luce del sole, e siccome vide una famigliola abitare il suo interno, intuì che probabilmente era una insegna destinata a essere letta solo da lui. "Sarà! Ma qui paparino proprio non c'è!" inarcò un sopracciglio sgamando il puerile inganno. Un particolare soltanto valutò veritiero: la enorme montagna nera che si muoveva sullo sfondo rurale oltre il caseggiato alle spalle di quella casetta. "Non è una cosa buona... le montagne si muovono, è vero, l'ho letto su un trattato di geologia mi sembra, ma non camminano in modo così evidente! Devo vederci più chiaramente" pensò distratto, e non s'accorse di una bambina con una treccia di capelli neri al vento e un neo sotto l'occhio destro che gli correva incontro e oltrepassò il suo corpo lasciandogli una strana sensazione.
«Diana, non correre!» sentì raccomandare la donna di quella casetta a tre tetti conici. Scosse la testa decidendo di attivarsi per andar via da quel posto pittoresco.

Il Meccanismo IncantatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora