23 - La promessa di Ike

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Attorno al perimetro della tenuta Ivor, formicolarono ogni genere di lamia e repellenti mostruosità vomitate dall'Erebo. Come Yuri era stato attratto dalla musica pervenuta dal castello, così ora quegli incubi ambulanti erano calamitati verso lo stesso punto, attratti dai due semidei.
Asteria non aveva mai ospitato tanti ragazzi irlandesi. Chi avesse potuto vedere tutta quella calca infernale racchiudere in un cerchio la casa di Ike, avrebbe ben compreso il perché. Non è un caso che svaniscono nel nulla ogni giorno un sacco di ragazze e ragazzi da ogni angolo del mondo. L'Isola Verde detiene il triste primato perché costituisce un nido infetto di orribili creature.

Braccia artigliate e armate di qualunque oggetto che prometteva morte, si protesero verso l'unica direzione. Al loro passaggio la terra sussultava e le fronde degli alberi si scuotevano rumorose, come colpite da raffiche di vento impetuoso. Il frastuono non fu percepito dagli umani nel castello, tranne che dai bambini, i quali attratti si precipitarono a ogni finestra alla portata della loro statura. Non poterono distinguere cosa ci fosse là fuori, ma intuirono che non era nulla di buono. Silvina e Patrick intanto, erano troppo rapiti dalla sinfonia per distogliere lo sguardo da Ike e Yuri.

Ma neanche l'apertura improvvisa della finestra principale della sala destò i coniugi dal soggiogamento sinfonico. I semidei invece sì, e sentirono farsi vicine le forze dell'Erebo pronte a cancellare ogni vita, ogni cosa al loro passaggio.

"Yuri! Una musichetta non credo sia sufficiente!" esclamò Ike con lo sguardo rivolto a Yuri, ed egli comprese. Gli si illuminarono gli occhi, poi tutto il corpo, proprio come aveva predetto, e da quella luce scivolò fuori la sagoma del suo spirito. Vedendolo, i maestri di musica, senza interrompere l'esecuzione, chinarono il capo in segno di saluto. Il giovane si guardò attorno. Vide sé stesso, la parte corporea, suonare ancora! Cercò di vincere lo stupore. Poi si avvicinò ad Ike che lo stava fissando impietrito, immaginando già quale scusa propinare ad Apollo per la morte del suo ultimo figlio, tipo: "sa com'è mio signore, a noi giovani semidei capita spesso di lasciarci le penne facilmente..." o qualcosa del genere.

E invece no. Yuri gli sfiorò la spalla e così saltò fuori anche la sua di anima, tutta bella spaesata e fluttuante a mezz'aria.

«Tu stai scherzando! Rimmettimi a posto!» protestò.

«La vogliamo vincere questa battaglia? Allora seguimi!» lo esortò invece l'altro.

Ike decise di fidarsi, sperando per il meglio. Ebbe un solo tentennamento quando scoprì che i bambini stavano fissando lui e Yuri. Il figlio di Apollo li salutò allegro e lui scosse la testa trasparente, poi agganciò il suo braccio e si lasciò trascinare fuori dalla finestra. Scotty rimase col braccino mezzo sollevato, ad accennare un salutino di rimando, la boccuccia spalancata dalla meraviglia.

Tutto intorno al castello parve essere inghiottito da una massa oscura, orripilante, emanante dolore, smarrimento, solitudine, e ogni cupidigia affamata d'infamia. Erano ormai a un passo dal riversarsi nel castello, se non fosse per la musica che, a quanto parve, frenava il loro incedere. Tutte quelle note, dopo l'insolito prodigio, si centuplicarono all'infinito. Le si vedevano più chiaramente. Erano traslucide scie composte di energia e purezza, troppo potenti perché i mostri potessero invadere il maniero.

Ike provò un moto indescrivibile. Era rabbia, ed era tutta riservata a quella orda di mostri che lo aveva costretto ad abbandonare casa. Si sentì caricato di un nuovo potere. Lo percepì tra le scapole, in mezzo alle quali spuntarono due ali immense e colorate con i colori dell'arcobaleno. Tra le mani gli crebbero globi informi variopinti e seppe come servirsene. Seguendo il ritmo vorticoso della sinfonia, si slanciò verso la massa bastarda, e come fosse in preda all'estro più fantasioso, zigzagando, disegnò con quei colori aurore boreali, ondulate come tende, con le quali imprigionò e dissolse a profusione i mostri che ebbero la sfortuna di trovarsi sulla sua strada.

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