Again

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Again.

You better run from me
You better hit the road
You better up and leave
Don't get too close
'cause I'm a rolling stone
and I keep rolling on
You better run from me
before I take your soul

Flames - R3hab ft. Zayn


Quando aprì piano i suoi occhi, la prima cosa che Lydia vide fu il viso angelico di Lottie che le toccava il braccio per svegliarla.
Si sentiva ancora frastornata e solo dopo qualche secondo riuscì a sorridere alla bambina, che non aveva smesso di sorridere a sua volta.
Poco dopo si rese conto di dove fosse: era nella stanza del nonno di Louis, sul suo letto, illuminata dalla luce del sole che le dava un piacevole calore. Quando posò il suo sguardo di fronte a sé, sobbalzò nel vedere l'anziano seduto sulla sua solita poltrona, come la prima volta che l'aveva visto.
«Scusa, non volevo spaventarti. Buongiorno.»
Si portò subito seduta. «No, mi scusi lei, ehm... Buongiorno. Io non... non so perché sono qui.»
«Non ricordi nulla, vero?»
Provò a farlo, ma l'ultima cosa che ricordava era lo scontro che avevano avuto Louis e Zayn per strada, tra colpi di pistola e di tubi di ferro. Istintivamente si guardò il corpo, cercando qualche ferita di arma da fuoco, un graffio... ma nulla.
«Non sei stata ferita, tranquilla.» la rassicurò il Guardiano «hai affrontato cose peggiori e ne sei uscita più forte del previsto, e questo non mi sorprende.»
Non riuscì a capire a cosa si riferisse. Per un attimo pensò che parlasse di quando affrontò il demone di Zayn, che era ancora un ricordo vivo in lei, un incubo che riviveva anche nei suoi sogni e che non menzionava mai al suo ragazzo per non ferirlo.
«Non mi riferisco al demone di Zayn.» le disse.
Si sentì avvampare, poi sbiancare. Le leggeva nel pensiero? Si imbarazzò tanto da rimanere immobile seduta sul letto, con Lottie al suo fianco che le toccava la mano e le sorrideva nel suo modo dolce.
«Lottie, perché non vai da Louis e gli riferisci che Lydia si è svegliata?»
La piccola si affrettò a farlo, correndo con la sua coda lunga bionda verso la porta. Sentì i suoi piccoli passi che correvano per tutta la casa.
Restando da sola nella stanza con l'uomo, si sentì a disagio, spiata. Non sapeva cosa dire o fare, preferì rimanere nella sua posizione come per difesa, e per non mancargli di rispetto in qualche modo. Non aveva paura di lui, in realtà, semplicemente era un uomo rispettato, di cui Zayn aveva timore chissà per quale motivo, e Louis parlava sempre di lui come un modello, un esempio da seguire. Ancora, però, non riusciva a credere che senza la vista, nonostante i suoi occhi completamente bianchi e cechi, riuscisse comunque a vedere ogni cosa, e addirittura che leggesse nel pensiero. Forse gliel'aveva raccontato Louis? Probabile, per un secondo si consolò con questo pensiero.
«Lydia,» esordì l'anziano. «tu ancora non ne sei a conoscenza, ma la tua anima è così pura da darti una forza disumana, capace di farti sconfiggere ogni male. Questo potere non sottovalutarlo. Colmalo, rafforzalo.»
Non seppe cosa rispondere, perché in quel momento si sentì stupida per non averlo capito ancora una volta. Era un complimento? Si riferiva a qualcosa? Nessuno le aveva mai detto quelle cose, se non Zayn, ma non con quella intensità. Sembrò quasi farle un avvertimento, con i lineamenti del suo viso duri e rigidi tra le rughe createsi col tempo.
«Non devi capirmi adesso, perché non sai nulla ed è giusto che sia così. Ma voglio che tu ricordi queste mie parole: un giorno dovrai fare una scelta, forse dovrai farla più di una volta, scegli per te, che gioverà comunque per le altre scelte che ti si metteranno davanti.»
Sentì quel consiglio come se gliel'avesse dato suo padre. Si sentì piccola, indifesa, e si sentì in colpa nel non riuscire a cogliere a ciò che si riferisse.
«Mi dispiace non riuscire a capirla.» gli disse, sincera. «Non la deluderò.» come se fosse una promessa.
L'uomo fece un lieve sorriso. «Lo farai.»
Le si strinse lo stomaco e si sentì sbiancare di nuovo, ingoiando il vuoto. Sembrava che ogni cosa che dicesse fosse sbagliata, o che la prevedesse senza che lo sorprendesse almeno un po'. L'aveva vista solo una volta e già sembrava sapere ogni cosa di lei, Lydia sentiva che fosse così.
In quel momento, si aprì la porta ed entrò Louis. «Come ti senti? Non volevo che Lottie ti svegliasse.» le si avvicinò, toccandole poi la fronte.
Lei gli sorrise. «Oh, non preoccuparti, è stata molto dolce.» lo rassicurò. «Sto bene, mi sento solo un po' frastornata ecco.»
«E' normale, tranquilla.»
«Normale per... cosa? Io non ricordo nulla, Louis.» guardò dietro di lui, verso la porta. «Dov'è Zayn?»
Lui sospirò appena. «Vuoi mangiare qualcosa? Devi rimetterti un po'in forze.»
Lei scosse il capo. «No, grazie, sto bene. Dov'è?» ripetè. Sapeva che quando Louis assumeva questo atteggiamento era perché non volesse dirle qualcosa, proprio come Zayn.
Louis, dal canto suo, sapeva che non avrebbe retto per molto, perché conosceva il suo carattere anche per i racconti del suo migliore amico, e un po' aveva avuto modo anche lui di capire come lei era fatta; Lydia non si sarebbe arresa facilmente. Così, le disse che l'avrebbe portata da lui, sotto lo sguardo contrario di suo nonno, contrario come su qualsiasi altra scelta che aveva preso da quando Zayn era diventato il suo migliore amico, ma anche il suo peggior amico.
La fece alzare lentamente dal letto, sentendo il suo sguardo su di lui che però evitava, quando non era colpevole di niente, se non dispiaciuto per tutta quella situazione che si era venuta a creare. La fece appoggiare a sè, per sorreggerla al meglio, e piano si incamminarono verso l'uscita. Lei salutò il Guardiano, che ricambiò a sua volta, ringraziando poi sua madre per "l'ospitalità" che non aveva previsto e di cui non ricordava ancora nulla. Louis pensò che fosse meglio così, anche se Zayn gli aveva dato un compito ben preciso, che lui non avrebbe portato a termine, perché non era suo dovere. E soprattutto, perché riusciva a capire solo adesso quanto tutto questo era difficile da gestire, e vivere, per il suo migliore amico. Lui, forse, non avrebbe avuto tutta quella forza e fermezza.
Entrarono in macchina e la vide prendere il suo cellulare che le fece trovare sul cruscotto; controllò nella sezione dei messaggi, delle chiamate perse... nessuna traccia di Zayn e potè sentire anche il suo disappunto.
«Cosa è successo ieri, Louis? Dov'è Zayn? Perché non vuoi dirmelo? Gli è successo qualcosa?» sentì la sua voce quasi rompersi e si impose di restare calmo, proprio per infonderle quella sicurezza che avrebbe fermato quell'attacco di panico che sentiva sempre più vicino.
«Zayn è alla riserva, ti spiegherà tutto lui. Stai tranquilla.» le disse, sorridendole appena.
Ma non stava tranquilla, la sentiva accanto a se su quel sediolino, eppure non obiettò, sfogò la sua ansia in quella mezz'ora di macchina in completo silenzio torturando delle ciocche dei suoi capelli. Lui preferì non dire nulla.
Quando arrivarono, la accompagnò verso l'appartamento dove Zayn si allenava, e quando aprì la porta il moro lo fulminò già con lo sguardo, ma sentiva che era giusto così.
Fu di poche parole, anzi, non riuscì a dirne nessuna. Sentiva un peso sullo stomaco che non riusciva a spiegarsi nemmeno lui, e lasciò quel luogo solo quando Lydia, confusa e al col tempo spaventata, gli si parò davanti. Una Lydia che in quel momento guardava il suo ragazzo e l'unica cosa di cui sentiva di essersela presa, di esserci rimasta male, era non essersi ritrovata Zayn accanto a sé in una casa che non sapeva nemmeno come esserci arrivata. Lo guardava, nei suoi pantaloni della tuta neri e la maglia grigia a maniche corte, che una volta aveva indossato anche lei per sentire il suo profumo quando era fuori per lavoro, e... non capiva. Si sentiva così confusa.
Si ritrovò a fare un sospiro di sollievo, dove riuscì a pronunciare anche il suo nome come per liberarsi di quel peso negativo che aveva addosso.
Gli si avvicinò. «Credevo ti fosse successo qualc-»
«Ferma!» quasi le urlò Zayn. «Non... non ti avvicinare. Ti prego.»
Lydia si paralizzò sul suo posto, confusa. Lo guardava... e non vedeva quel suo sguardo spaventato da un po'. Le tornò il timore solo guardandolo in viso.
«Zayn... che succede? E' la voce? Ti stai trasformando di nuovo?»
Lui sospirò, passandosi poi le mani tra i capelli, frustrato. Non riusciva a guardala in volto, non riusciva a dirglielo, non di nuovo. Gli sembrava assurdo anche solo pensarci di rivivere tutto ciò.
«Zayn.» lo richiamò lei.
«Non posso più toccarti.» lo disse tutto d'un fiato.
Lydia sentì rompersi qualcosa dentro di sé; il cuore, le ossa... sentiva che potesse scoppiarle anche la testa da un momento all'altro. Credeva di non aver sentito o capito bene. Sperava.
«Cosa?» riuscì a dire.
«Il mio demone... sembra essere più forte come all'inizio. Non... non riesco più a controllarlo. Ho ripreso a rompere tutto ciò che tocco...» la guardò colpevole. «Non posso toccarti.» faceva male anche a lui dirlo.
In quel momento, le crollò il mondo addosso. Si sentì di nuovo come paralizzata sul suo posto per la seconda volta in quella giornata e prima che potesse rendersene conto, i suoi occhi si colmarono di lacrime. Provò a trattenersi, a non far sì che le rigassero il viso, doveva cercare di restare lucida. Voleva capirci di più, essere di conforto, perché vedeva davanti a sé il suo ragazzo scosso quanto lei, anzi, di più.
«No, Zayn... non di nuovo...» ma proprio in quel momento, fallì miseramente, pronunciando quelle parole con una voce rotta, distrutta, in una supplica che spezzò il cuore anche al moro.
Quanto la capiva. Non riusciva a crederci nemmeno lui, non voleva. Aveva passato tutta quella giornata a sfogare la sua rabbia nell'appartamento, urla spezzate, di dolore e frustrazione. Avrebbe voluto spaccare ogni cosa, ma si era trattenuto.
Gli era crollato il mondo addosso nel momento si era recato alla sua macchina, per raggiungere Louis e mostrargli le ferite piene del suo sangue, e non del suo demone. Incredulo, come ancora si sentiva in quel momento davanti alla sua ragazza, aveva continuato a guardare quelle gocce di sangue color rosso, vivo e intenso. Non vedeva il suo sangue da anni. Il colore nero aveva avvolto tutto nella sua vita, la sua vista, il suo sangue, il suo corpo... ogni cosa. Per un attimo aveva trovato sollievo nel vedere quel rosso; lo aveva fatto sentire una persona normale. Non gli era pesato nemmeno essersi sentito stranamente debole. Lui non lo era mai stato, non in quegli anni di convivenza con il suo mostro. Non si era spaventato, si era sentito grato di aver avuto la possibilità di sentirsi ancora così. Si era sentito... felice. Aveva sentito di poter avere una speranza. Aveva pensato a Lydia anche in quel momento. Poi, tutto aveva finito di splendere nella sua mente nel momento in cui, entrando a contatto con la sua auto, questa si era completamente spaccata sotto di sé. Si era allontanato, riuscendo a mantenere una strana calma, che non era di certo da lui. Forse non mi sono controllato abbastanza, aveva pensato. Si era recato in un vicolo, vedendo dei cassonetti in lontananza e si era avvicinato, costringendosi a continuare a stare calmo, perché non era possibile. Aveva avvicinato, piano, la sua mano verso la grande cassa di metallo e con un solo dito, si era completamente ammaccata. Non aveva fatto nessuna pressione eccessiva, anzi, si era trattenuto, ma aveva avuto la stessa conseguenza di qualche mese fa. Aveva realizzato solo dopo qualche secondo, con lo sguardo fermo sulla sua mano e il respiro pesante. Ancora una volta, in quel momento, aveva pensato a lei, alla sua Lydia, e che se avesse potuto, l'avrebbe toccata un po' di più.
Ora le era davanti, quasi sul punto di piangere, e sentiva che non avrebbe avuto la forza necessaria di esserle di conforto, perché ne aveva bisogno anche lui. Perché rivivere quella situazione, ancora una volta, sapendo cosa c'era oltre quel metro di distanza, li faceva sentire di avere una mancanza che non si sarebbe colmata con nulla se non con quel tocco che avevano desiderato per mesi. Riperderlo, li faceva sentire persi a loro volta.
«Mi dispiace...» riuscì a dire.
Lydia non riuscì più a contenersi e lasciò che le lacrime le scendessero sulle guance, ma subito si coprì il volto con le mani nascoste nella felpa, per non farsi vedere e per non far sentire i suoi singhiozzi. Non voleva mostrarsi così debole davanti a lui, non che non lo avesse mai fatto, ma sentiva che avrebbe dovuto essere più forte del solito per potergli essere di supporto, perché sapeva di quanto Zayn ne avesse bisogno. Ma aveva fallito.
Zayn si sentì più impotente che mai. Non poteva neanche abbracciarla come desiderava. «Lydia...»
«Non ne posso più.» confessò lei.
Al moro gli si gelò il sangue nelle vene. Non seppe cosa dire o pensare per qualche secondo, anche se in cuor suo la soluzione la sapeva dal momento in cui l'aveva incontrata.
«Ti lascerò andare.» queste parole gli uscirono dopo un po', senza spiegarsi nemmeno lui con quale coraggio.
A Lydia le vennero i brividi, e peggio, sentì il suo cuore fermarsi. Abbassò lentamente le mani, scoprendo il suo viso e guardando quello di lui. «Tu... vuoi lasciarmi?»
Zayn non le rispose, eppure mantenne il contatto visivo con lei, ingoiando il vuoto.
«No, Zayn, non di nuovo.» disse Lydia.
«Hai detto tu che non ne puoi più. Non posso costringerti a restare con me. Mi sembra l'unica soluzione.» lo disse con una punta di delusione che si sentiva chiaramente nella voce.
«Intendevo che... io non posso più sopportare il fatto che tu viva così. Sapere che sei continuamente circondato e attaccato da pistole, coltelli... mi fa... paura.» riuscì a dire, tra le lacrime e i singhiozzi. Il suo respiro era irregolare, sentiva uno strano formicolio nelle mani. «Vederti mentre rischi la vita... e so che il tuo demone ti permette di essere immortale ma...»
Zayn capì subito cosa stesse accadendo. «Lydia, va tutto bene.»
Ma il suo respiro si faceva sempre più pesante e non riuscì nemmeno più a parlare, la voce di Zayn le arrivava come ovattata. Stava avendo un attacco di panico.
«Lydia, guardami.» quasi le ordinò. «Va tutto bene. Respira piano insieme a me.» la intimò, invitandola ad imitarlo.
Respirò profondamente, come a guidarla, con gli occhi fissi nei suoi. Lydia lo imitò ma non sembrava funzionare molto. Così Zayn la invitò ad abbassarsi, lentamente, per farla sedere sul pavimento, così che non si facesse male se non fosse stata in grado di sorreggersi. Non sapeva neanche dove avesse trovato quella fermezza. Non riusciva a realizzare neanche cosa stesse accadendo in quell'arco della giornata. Troppe cose insieme. Era sempre stata lei a dover calmare lui, la maggior parte delle volte e ora non si sentiva in grado di fare il contrario.
Lydia si sedette sul pavimento, Zayn si abbassò tenendo il peso sulle sue gambe piegate, l'uno di fronte all'altra, distanti, con i loro respiri pesanti che risuonavano nella casa.
Il moro manteneva il contatto visivo, fermo, calmo, andando su e giù con la mano come a volerla guidare maggiormente, e in un primo momento pensò che non stava funzionando, poi la vide calmarsi sul serio, e di conseguenza anche lui.
La vide abbassare il capo, i suoi capelli ondulati ramati le coprirono parte del viso e vide il suo petto abbassarsi più lentamente.
«Lydia...» la chiamò, dolcemente.
Istintivamente, Zayn poggiò una mano sul pavimento, e quel contatto comportò la formazione di una crepa che si estese proprio fino a lei. La vide sobbalzare non appena quelle linee ben definite la raggiunsero, e solo in quel momento riuscì a rivedere il suo viso, adesso un po' più sorpreso e spaventato allo stesso tempo.
Lui era spaventato quasi quanto lei, se non di più, e il dispiacere si potè leggere sia nei suoi occhi che nei lineamenti del suo viso, che si erano addolciti ed intristiti in pochi secondi.
E Lydia lo lesse, quel dispiacere, e sentiva che era anche il suo. Solo in quel momento guardò, realmente, la stanza, rendendosi conto in che condizioni fosse. Quella non era l'unica crepa sul pavimento, ce n'erano altre per tutto l'appartamento, anche sulle pareti; vicino l'anta dell'altra porta, dove teneva i sacchi da boxe, era completamente distrutta, come se fosse passato di lì un carro armato; il tavolo, completamente distrutto, come i sacchi da boxe e parte del soffitto.
Le vennero gli occhi lucidi a realizzare quelle condizioni, ma soprattutto, che Zayn si fosse trovato da solo ad affrontare quel momento di rabbia, mandandola, adesso, addirittura via.
Zayn sembrò rendersi conto a sua volta di quella consapevolezza che le aveva acquisito guardando quella stanza, e l'unica cosa che riuscì a fare fu abbassare il capo, come a sentirsi ancora più colpevole.
Ma lei non lo riteneva colpevole, non lo aveva mai fatto. Zayn non era il suo demone, non lo sarebbe mai stato.
Poggiò lentamente la mano al pavimento, toccando con l'indice la fine di quella crepa che si era fermata ancor prima di arrivare al suo ginocchio. Il pavimento era freddo, ruvido, sentiva che la crepa fosse più profonda di quanto pensasse; quella stessa profondità che sentivano essere stata violata da un colpo ben preciso, come quelle linee imperfette che rispecchiavano quelle che sembravano averli squarciati all'interno.
Era un'ennesima prova che, nonostante il superamento di quelle precedenti, questa sembrava averli... abbattuti entrambi, e non si poteva biasimarli.
I movimenti di Lydia erano stati lenti, silenziosi, eppure Zayn riuscì a sentirla, alzando lentamente il capo verso di lei, che non ricambiò il suo sguardo, nonostante sapesse che la stava guardando: i suoi occhi erano fissi sul suo indice, e solo in quel momento capì. Poggiò a sua volta di nuovo la mano come prima, mettendo le dita nelle stesse posizioni che avevano causato quello spacco, e provò a consolarsi, così come fece lei, di quell'illusione di poter, in qualche modo, sentire la sua mano e il suo calore, perché quella linea, seppure imprecisa ed imperfetta, era come se li collegasse di nuovo, permettendo loro di toccarsi, forse in un altro universo, e ritrovare la serenità e la calma di cui lui aveva bisogno e quel brivido di piacevolezza di cui lei aveva bisogno.
Si consolarono così, ricordando, forse, in quell'istante, attimi di felicità composti da semplici tocchi che adesso gli erano stati negati e chissà per quanto.
«Non è colpa tua.» esordì lei. E questa volta lo guardò.
Sapeva che gliel'avrebbe detto, prima o poi, e questo gli permise di sorridere appena. «Stai bene?»
Lei annuì, sapendo che, ovviamente, non le avrebbe risposto, ma sentiva di essersi tolta un peso dopo averglielo detto. Come sempre, sperava che le credesse, almeno per una volta.
«Mi hai spaventato a morte. Non ero sicuro di riuscire a riprenderti.»
«Tu vuoi davvero lasciarmi?»
Quella frase lo riportò alla realtà e di conseguenza tornò serio. L'aveva detto davvero? Lo pensava davvero? Si sentiva insicuro come quando l'aveva conosciuta, e nonostante tutte quelle avversità superate da entrambi, lui adesso non ci vedeva soluzione. E forse nemmeno Lydia sarebbe stata in grado di fargli cambiare idea.
Non guardandola in viso, si alzò in piedi, rimanendo sempre fermo sulla sua posizione. «Mi sembra la soluzione migliore.»
Lydia si alzò a sua volta, con calma, sentendo la pesantezza della sua testa più del dovuto. «Per te è sempre la soluzione migliore, ma non lo è mai.» obiettò.
Lui sorrise beffardo. «Non lo è mai... ti rendi conto che siamo tornati allo stesso punto iniziale? Guarda!» quasi urlò, aprendo le braccia, come ad indicarle tutto quel casino che li circondava. «Guarda che cazzo sto facendo senza nemmeno sforzarmi!»
«Le so già queste cose, Zayn.»
«Vuoi sapere cosa ti è successo ieri, mh?» il suo tono di voce si era alzato. «Un demone ha cercato di impossessarti di te!»
Lydia credeva di stare seriamente sognando. Forse era la testa che le stava facendo brutti scherzi. Eppure, per quanto assurda la frase le potesse sembrare, il suo corpo rispose diversamente a quello che i suoi pensieri dicevano. Si paralizzò sul posto, iniziò a sentire freddo.
Zayn vide la sua reazione, ma questo non lo fermò a continuare. «Si, hai capito bene. Un cazzo di demone è entrato nel tuo corpo, e tu urlavi dal dolore, proprio come me.» glielo raccontava quasi con... disprezzo. «E ti contorcevi, piangevi... lottavi.» stringeva la sua maglia con la mano, quasi come se rivivesse la sua esperienza e quella della sera prima, sentendo maggiormente dolore. «Le vene nere, gli occhi... ti stavi trasformando proprio come me. Eppure, non so come, non ci è riuscito. Louis lo ha terminato.»
Lydia non parlava. Era ferma, immobile, quasi le risultava difficile ingoiare e respirare. Non era uno scherzo, e anche se Zayn le dava informazioni sulla sera precedente, lei non riusciva a ricordare nulla. Informazioni che le forniva con un tono di odio, disprezzo, rabbia, e sentiva che ce l'avesse non solo con il suo solito demone, ma anche con... lei.
Quel susseguirsi di eventi, e parole, le provocarono altre lacrime che adesso scorrevano di nuovo silenziose sulle guance. Silenziose come lo era lei, mentre Zayn ancora parlava, urlava, delirava. Si sentiva in un'altra fase di shock.
Un demone.
Un demone ha provato ad impossessarsi di me.
«Ed io non ho potuto fare niente per impedirlo. Niente, Lydia. E non potrò fare niente se dovesse risuccedere. Quindi, stai lontana da me. Vai via.»
Ma lei ancora non aveva parlato e ancora sentiva che non sarebbe riuscita a farlo. Forse neanche a camminare. Riusciva, però, a realizzare le parole di Zayn, a come la stessero davvero mandando via, ma questo comunque non le permise di poter ribattere, come il suo cuore stava già facendo.
«Ho detto vattene!» urlò Zayn.
E solo dopo quell'urlo, Lydia ritornò alla realtà e trovò la forza di voltarsi e scappare da quell'appartamento. Una volta fuori, l'impatto con l'aria fredda le permise di prendere un respiro profondo, realizzando solo in quel momento che aveva trattenuto il fiato quasi per buona parte del discorso. Quel ritornare a respirare, però, fu interrotto dai singhiozzi trattenuti, che credeva potessero, adesso che avevano trovato la loro via d'uscita, toglierle quella sensazione di pesantezza che sentiva sul petto. Ma non fu così.
«Lydia.»
Quasi non riuscì a realizzare nemmeno la figura di Louis che ora le era accanto e la stringeva a sè, ma era così scossa che non riusciva nemmeno a ricambiare quell'abbraccio, di cui, alla fine, aveva bisogno. Era ancora paralizzata.
«I-io... io ho bisogno di stare da sola.» riuscì a dire, e Louis si staccò da lei solo dopo aver sentito quelle parole.
«Ti accompagno a casa.» le disse.
«No.» rispose lei, ferma. «Ho bisogno di stare da sola.» ripetè.
Louis non potè far altro che annuire e guardarla camminare sul marciapiede verso quelle strade illuminate dal sole, in contrasto con l'animo suo e del suo migliore amico, che raggiunse poi subito nell'appartamento, non riuscendo a cambiare il suo sguardo severo nei suoi confronti, anche se lo trovò di spalle.
«Va' con lei.» gli disse Zayn.
«Non è una cazzo di bambina, Zayn. Cerca di capirlo.» sbottò. «E cerca di far pace col cervello per una buona volta, perché se un giorno ti manda a fanculo fa pure bene.»
«Che lo facesse.»
«Lascia che sia lei a deciderlo!» disse a sua volta. «E per una volta,» ripetè «invece che fare l'insicuro del cazzo, fa' l'uomo.»
Solo dopo quella frase, Zayn si voltò, con i lineamenti del viso duri e rigidi.
«Si, mi hai capito bene.» gli disse l'amico. «Riprendi in mano la tua cazzo di vita.» glielo disse a mo' di ordine, puntandolo col dito, e senza avere una risposta, uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 10, 2020 ⏰

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