Capitolo 14

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"Da quanto tempo lavora a questa ricerca?".

"Da qualche giorno".

Avevo ragione.

"Io le servo" mugugnai portandomi le braccia strette al petto.

"Cosa?" si voltò a guardarmi serio.

"Lei mi ha portata qui per analizzarmi" feci qualche passo indietro.

L'espressione dell'uomo la diceva lunga.

"Castelli, se le avessi detto di questa ricerca mi avrebbe mai aiutato?".

Scossi la testa.

"Ecco, appunto. Avevo questa idea già da un po' ma non ero motivato, poi ho conosciuto lei...dopo la scoperta che suo padre era morto sono andato a leggere il suo fascicolo. Ho letto che i suoi genitori sono morti in un incidente stradale e che non è potuta essere affidata ai nonni per via della loro età. Così ho pensato che sarebbe stata perfetta per questa ricerca" ammise appoggiandosi alla cattedra.

Come si era permesso?

Voleva soltanto usarmi.

Come fossi uno stupido topo da laboratorio.

Ecco spiegato tutto il suo interesse nei miei confronti.

Non avrei pianto davanti a lui.

Anche se le lacrime premevano insistenti.

Volevo scappare.

"Non è stato molto professionale" dissi fissando un punto indefinito dietro di lui.

"Me ne rendo conto".

"Io voglio aiutare i miei studenti...bella bugia, è stato tutto falso" infilai lo zaino.

"Castelli, aspetta".

"Devo andare" afferrai la maniglia della porta.

"Ero sincero lì sul molo, davvero, non sono mai stato bene con qualcuno come quella sera..." ammise avvicinandosi di qualche passo.

"Non m'interessa".

Fuggii letteralmente da quell'aula.

Da quel piano.

Da quell'edificio.

Mi diressi verso la stazione.

Con il cuore in tumulto.

La testa leggera.

Come se dovessi svenire da un momento all'altro.

Dovevo tornare a casa.

Chiudermi in me stessa.

Cercare di ricacciare indietro tutti quei ricordi dolorosi.

Non avevo più permesso a nessuno di parlare dei miei genitori.

Della mia situazione.

Presi il bus.

Infilai le cuffiette.

E premetti play.

Non avevo voglia di pensare.

Anche se era molto difficile.

Giulio Conti era uno stronzo.

Un bugiardo.

Il classico arrampicatore sociale.

Che per ottenere qualcosa butta nel fango chi lo circonda.

Soltanto che questa volta la malcapitata ero io.

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