È tre giorni che sono rinchiusa in camera: non vado in università, non vado in società e non parlo con nessuno.
Non ascolto più nemmeno i miei amati OneRepublic che con la loro musica mi sono sempre stati vicini. Luke mi ha portato via le parole, così ora ascolto solo i pianisti. Ormai per me le parole hanno perso significato, sono solo dei segni grafici a cui non do più importanza.
Affogo nel mio stesso dolore per impedire che i ricordi di lui svaniscano. Ad ogni nota, ad ogni tasto di piano premuto nella mia mente compare una sua immagine, un suo sorriso, il ricordo della sua voce.
Il mio dolore mi fa stare bene: crea intorno a me una bolla che mi porta indietro nel tempo, a quando Luke era mio e non mi era ancora stato portato via da lei.
Lei. Lei sì che si è giocata bene le sue carte ed ora sta con lui.
Io ci credevo profondamente nella nostra storia ed ora mi sento una stupida ad aver dato retta alle parole di un diciassettenne, per di più a un cantante famoso.
Poteva aver tutto, può aver tutto, perché diavolo si era fissato con me se poi dopo quattro mesi buttava tutto all’aria?
Io sono un’illusa, ecco cosa sono. Un’illusa che in due mesi ha dato tutto quello che aveva a qualcuno che forse mi ha sempre mentito dall’inizio, perché certe cose non si fanno e non si dicono se non si provano veri sentimenti. Mi sono semplicemente illusa di essere davvero la sua unica ragione.
Pur sentendomi uno schifo non ho ancora tolto il suo ciondolo, il suo cuore. Non riesco a toglierlo, io avevo promesso che l’avrei custodito e, anche se ormai quel cuore non mi apparteneva più, ho deciso che lo custodirò ugualmente, ovunque sarei andata.
-Cry? –chiede Rebecca da fuori la porta riportandomi alla realtà.
Come sempre non rispondo.
-Ti abbiamo portato il pranzo. –continua Elisabetta.
Silenzio. Tutti i giorni la stessa scena: loro che a turno mi portano da mangiare nella speranza che apra la porta e gli parli, ma io gli ignoro.
Lasciano sempre il vassoio davanti alla mia porta e quando se ne vanno io prendo solo la bottiglietta d’acqua.
Un colpo forte sulla porta.
-Dannazione, Cry! Che cazzo stai facendo? Sai una cosa?!? Puoi arrangiarti! Non tenti nemmeno di reagire, perciò non ho intenzione di sprecare altro fiato e tempo con te! –esclama arrabbiato Steve.
Se avessi avuto ancora delle lacrime da versare in questo momento avrebbero sicuramente rigato il mio viso, ma invece nulla: sono… cosa sono diventata?
Non provo più nessuna emozione: mi dispiace per quello che ha appena detto Steve, ma il mio dolore soffoca quel dispiacere e nuovamente mi fa sentire sola.
Sento che scendono le scale.
Luke. Dannazione! Sto mandando a rotoli la mia vita per lui! A che scopo? Non c’è più nulla per cui lottare, non sono più niente per lui.
Urlo. Poi urlo ancora.
-Cry?! Che succede?! –chiede Elisabetta battendo freneticamente sulla porta.
-Apri! –esclama Rebecca con il fiatone.
Non rispondo. Mi vesto con un paio di leggins e una maglia termica, poi giro la chiave nella toppa.
-Finalm… -non conclude Elisabetta guardandomi con punto interrogativo.
-Dove…? –chiede Rebecca.
-Vado a correre. –le mie prime tre parole dopo tre giorni. Non do altre spiegazioni ed esco di casa.Corro, corro fino allo sfinimento. I miei polmoni chiedono pietà, i miei muscoli bruciano, ma sto bene perché il dolore fisico mi tiene la mente occupata.
Torno a casa solo quando i crampi iniziano ad attaccare il mio tessuto muscolare.
Mi trascino per la via e non guardo nemmeno quella casa all’angolo che amavo così tanto, vado dritta come un treno.
Ecco cosa sarei stata da oggi in poi: un treno.
Sarei tornata ad essere la ragazza di prima, quella che teneva al primo posto i suoi obiettivi: più nessuno si sarebbe messo tra me e loro.-Sono passate due ore! –esclama Rebecca una volta rientrata.
-Ci stavamo preoccupando. –continua Elisabetta.
Steve è seduto sul divano, fa finta di guardare la TV, ma vedo che è distratto e che sta stringendo forte il telecomando.
-Scusate. Prometto che non mi vedrete più in quello stato. La corsa mi ha aiutata a schiarirmi le idee, grazie per tutto quello che avete fatto. –dico lentamente.
Rebecca ed Elisabetta mi abbracciano e il fatto che io sia sudata sembra non gli dia fastidio.
Si staccano sorridendomi, poi io vado da Steve, rimanendo dietro di lui mi abbasso e mi avvicino al suo orecchio.
-Grazie, le tue parole mi hanno risvegliata. –gli sussurro e poi gli sciocco un bacio sulla guancia.
Si volta lentamente. –Mi ero stufato di non avere più tra i piedi la mia piccola Cry. –dice sorridendomi. –Ora vai e farti una doccia, se no ti rinchiudo io in camera per la puzza. –aggiunge in tono ironico.
Gli sorrido timidamente. Per le risate ci sarebbe stato tempo, un passo alla volta.
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Ovunque andrai
أدب الهواةCristina è una ragazza italiana che già all'età di sedici anni sa quello che vuol fare nella vita: viaggiare. Grazie ad un'amica di famiglia ha la possibilità di partecipare al concorso di una società americana; così Cristina mette in gioco il propr...