Capitolo 13: Notte

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You, you love it how I move you
You love it how I touch you
My one, when all is said and done
You'll believe God is a woman
-God is a woman, Ariana Grande

RYAN'S POV

Non avevo amici.

Quello non era solo un pensiero ricorrente in quelli che erano stati praticamente tutti gli anni della mia vita, ma un dato di fatto.

Quando ero più piccolo i miei genitori non erano molto presenti e io trascorrevo il tempo con mia sorella maggiore o le babysitter.

Non ci era permesso uscire senza supervisione e con il passare del tempo avevo iniziato semplicemente a farci l'abitudine e qualsiasi desiderio di divertimento al di fuori delle mura di casa era svanito dai miei pensieri, a differenza di mia sorella.

Mentre lei era uno spirito libero e trovava ogni modo per sfuggire alle grinfie dei nostri genitori, io invece mi ero rassegnato subito a quella vita e avevo iniziato a trovare conforto nel mio tempo da solo, perché infondo quando sei solo non ti annoi a meno che la sensazione di solitudine non venga da dentro te stesso.

Le scuole che avevo frequentato, oltre ad essere state tutte scelte da mio padre affinché rispettassero i suoi canoni, erano ovviamente tutte di un certo livello e le amicizie che avevo stretto lì erano maggiormente dettate dai rapporti familiari o commerciali tra i nostri genitori o, in rari casi, nate come conseguenza dal tempo che ci ritrovavamo a passare insieme durante i corsi extra che frequentavamo per ambire ai migliori college del Paese.

Non negavo che alcuni di quei rapporti non erano stati poi così male, con molti avevo trovato il punto comune di dover vivere secondo regole altrui e di sentire di non essere mai padroni della propria vita, altri invece erano solo arroganti e viziati figli di papà che si divertivano a rendere la vita altrui più difficile solo perché avevano soldi e potere.

Era stato poi al college che avevo trovato il mio primo vero amico, Richard, con cui mantenevo i legami ancora oggi e che guarda caso mi aveva appena scritto in quel momento.

Il suo messaggio diceva solo di chiamarlo il prima possibile perché voleva avere novità sulla mia nuova vita a Chicago.

Ci sentivamo tutti i giorni, forse ancora più di prima adesso che mi ero trasferito e adoravo quella parte del nostro rapporto, il fatto che fossimo rimasti, che non ci fossimo limitati a un'amicizia scolastica ma che fosse diventata col tempo qualcosa di più grande.

Sbloccai il telefono e feci partire la chiamata in vivavoce mentre cercavo in cucina qualche ingrediente con cui condire il risotto che avevo intenzione di preparare per cena.

"Ehi! Finalmente ti fai sentire" rispose subito il mio amico con fare melodrammatico.

"Immagino che il tuo telefono debba essere cambiato se non ti segnala che l'orario della nostra ultima chiacchierata è di poche ore fa" alzai gli occhi al cielo mentre mettevo iniziavo a tirare fuori le pentole che mi servivano.

"Così mi fai sentire indesiderato" replicò con un sospiro. Esagerava sempre e lo amavo anche per questo.

Misi a bollire l'acqua per il brodo e poi dissi: "Sai che non ho mai desiderato nessuno più di te" e sorrisi.

Scherzare in leggerezza con lui era sempre stata una delle parti migliori della giornata, se non la migliore, era come se fosse in grado di togliermi quei pesi dalle spalle con la sua solarità.

"Ecco così mi piaci, sei falso ma prendo comunque il complimento e lo porto a casa"

Subito dopo sentii dei rumori dall'altra parte del telefono, segno che si era appena seduto, o meglio sdraiato in malo modo conoscendolo, sul divano di casa.

𝑫𝒖𝒑𝒍𝒊𝒄𝒊𝒕𝒚 - il doppio o il nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora