Capitolo 9: Giorno

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All my life I've been good
But now I'm thinking, "What the hell"
-What the Hell, Avril Lavigne

RYAN'S POV

Negli anni avevo capito che in quanto tecniche di approccio, rivolte a qualsiasi essere umano mi si fosse mai trovato davanti, non ero mai stato eccellente.

A malapena vicino al sufficiente, qualcuno avrebbe potuto dire.

Un esempio potrebbe essere la mia ristretta cerchia di amici che non riempivano nemmeno il palmo di una mano o le donne con cui ero uscito nella mia vita, tutte sempre sotto scelta di mio padre, mai mia.

Per cui, anche se quella non era una valida giustificazione, mi piaceva credere che potesse almeno dare un senso al modo in cui mi ero comportato con Rula.

Alla cazzata che avevo fatto con lei.

Forse non avevo ucciso nessuno, ma sicuramente avevo ucciso qualsiasi possibile simpatia avrebbe mai potuto provare nei miei confronti con quella richiesta.

Richiesta che sicuramente era suonata più come una minaccia.

Ero rimasto intrigato da Rula in un modo che mi era difficile comprendere, figuriamoci spiegare.

Per giorni era rimasta come un pensiero fisso nella mia mente e l'unico mondo in cui sapevo di poterla allontanare dalla mia testa era averla accanto fisicamente.

La cosa era già difficile di per sé complicata se consideravamo la posizione di capo e dipendente che ricoprivamo, ma di sicuro con le mie azioni non mi ero ritrovato a semplificarla.

Forse era perché per una volta mi era concesso di iniziare ad annusare il profumo di libertà e di poter finalmente essere attratto - mentalemente o fisicamente che fosse - da qualcosa o qualcuno che mi piaceva davvero e non da ciò che mi era imposto dalla mia condizione sociale che ricoprivo nella scacchiera dei miei genitori.

E Rula stessa era una boccata di libertà, non solo perché viveva due vite come se non fosse nulla di spettacolare - cosa che in realtà era - ma perché indossava con orgoglio e al tempo stesso con consapevolezza queste vesti.

Rula non era come tutte le ragazze dell'alta società che mi ero ritrovato a frequentare, lei sapeva come comportarsi in ogni occasione in una maniera che appariva totalmente naturale e non costruita.

Non faceva nulla per apparire o attirare su di sé gli sguardi, si muoveva in un certo modo non per gli altri ma per sé stessa, perché aveva scelto che fosse così.

Si divertiva senza limiti di notte ma la mattina dopo era china sulla sua scrivania ligia al lavoro.

Aveva due lavori al giorno da portare a termine, che per quanto potessero essere una sua passione, a lungo andare ti sfinivano e non ti lasciavano più niente per te.

E allora mi chiesi se non fosse quello il suo obiettivo, lavorare così tanto con la scusa di vivere al massimo quando in realtà era dalla vita stessa che stava scappando.

Avevo scoperto il suo segreto totalmente per caso, ma ringraziavo Dio per quel caso poiché senza esso non l'avrei mai conosciuta e per quanto non mi avesse mai permesso di avvicinarmi un minimo a lei restavo fiducioso.

Forse un giorno mi avrebbe permesso di entrare nel suo mondo e di scoprire cos'altro nascondeva dietro quella facciata.

Ero sicuro nascondesse altro, era evidente, tanto quanto il fatto che sicuramente non sarei stato io quello a cui l'avrebbe rivelato. Ciò nonostante bramavo di sapere di più, di lei, della sua vita, delle sue scelte.

𝑫𝒖𝒑𝒍𝒊𝒄𝒊𝒕𝒚 - il doppio o il nienteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora