CAPITOLO TRENTASETTE: Niente puntura, grazie

2.7K 204 154
                                    


Quei corridoi erano tutti uguali.
Sinceramente, non sarei mai riuscita a trovare la via strada giusta per arrivare al laboratorio da sola. Ogni parete era riempita da luccicanti piastrelle sull’azzurrino chiaro, le stesse che ricoprivano il pavimento, mentre sul soffitto correvano due tubi paralleli.
In ogni dannato corridoio.

Io mi ero giá persa. Mi limitava a seguire Dabi, davanti a me, che senza pensarci troppo svoltava a destra e a sinistra, senza fermarsi un solo secondo a riflettere dove ci stessimo trovando.
Alle mie spalle c’era Keigo.
Proprio cosí.
Non sapevo davvero se esserne felice o meno.
Dall’ultima discussione, avvenuta ben tre giorni fa, non avevamo spiccicato parola l’uno con l’altra, ma come mi aveva promesso non mi aveva lasciata sola un solo secondo, e dalle profonde occhiaie che segnavano il suo volto potevo pure credere che rimanesse alzato la notte.
A fare cosa lo sa solo lui.
Storsi le labbra e lanciai un occhiata alla schiena di Dabi, a pochi passi da me.
Nemmeno con lui avevo parlato piú di tanto, meglio cosí.
Tra pochi giorni ci sarebbe stato l’attacco, Aizawa sarebbe finalmente venuto a prendermi, e tutto sto casino sarebbe finito una volta per tutte.

Abbassai lo sguardo e svoltai per l’ennesima volta a destra.
Certo, avevo sperato fino all’ultimo che non cominciassero con quei dannati esperimenti, ma come ogni volta il destino aveva preso a remarmi contro.
“Vai in quella stanza e cambiati” sibiló Dabi, indicando con l’indice destro una porticina scura, con una lampadina che emanava una flebile lucina verde al di sopra: “Dentro c’è un’altra porta. Quando hai finito vai avanti”
Davvero, non capivo sul serio perché avesse ripreso ad utilizzare quel tono freddo e distaccato.
Forse perché c’era Hawks?
Feci spallucce e abbandonai l’argomento. Non avevo tempo per preoccuparmi anche di Dabi, diciamocelo.
Serrai le dita della destra sulla maniglia, pronta ad attraversare la soglia, ma mi bloccai.
Rimasi a fissare impietrita la mia mano, incapace di muoversi, e il mio cuore prese a rimbombare nella mia scatola cranica.
Che cosa mi aspettava al di lá di quelle porte?
“E voi?” domandai improvvisamente, con le iridi ancora bloccate sulle nocche della mia mano, che pian piano cominciavano a schiarirsi. Neanche me ne resi conto, ma stavo stritolando la maniglia.
“Voi dove andate?” domandai ancora, anche se non m'importava un fico secco di cosa facesse Dabi: “In un'altra stanza. Guarderemo da lí” spiegó frettolosamente lui, alzando un sopracciglio e squadrandomi.

Aspettai ancora.
Non volevo che mi rispondesse Dabi.
Volevo sentire la risposta di Keigo. La sua voce.
Volevo che mi rivolgesse la parola, anche solo per urlarmi dietro.
Insomma, di solito ci riesce davvero bene.
“E tu?” “Vengo con te” rispose subito, sciogliendo le braccia e lasciandole dondolare sui fianchi.
Chiusi gli occhi e riempii i polmoni.
“… se vuoi” aggiunse subito, abbassando pesantemente la voce.
Una parte del mio cervello registró i passi di Dabi allontanarsi, finalmente.
“Va bene” e trovai la forza di abbassare la maniglia.

Spalancai la porta ed entrai nella stanzetta.
Nulla di speciale, come il resto dell’edificio: a destra c’era una panca, di quelle che si trovano negli spogliatoi delle palestre, e a sinistra c’era un appendi abiti, con un camice bianco.
Saranno stati si e no neanche cinque metri quadrati.
In due ci stavamo benissimo, eppure… “Aspetto fuori. Quando hai finito apri?” spiegó lui afferrando la porta e cominciando a chiudermela lentamente alle spalle.
Giusto
Non poteva mica stare lí mentre mi cambiavo.
Chissá cosa avrebbe pensato lei.
Abbassai le spalle e inevitabilmente la morsa al cuore riprese a stritolarmi, e mentre la mia ragione andava a farsi fottere, aprii bocca: “Perché?” domandai piano, quasi indifferente.
Lui corrugó la fronte e si bloccó, con la porta ancora semi aperta: “Huh?” “Insomma… non mi spoglio del tutto. Devo solo levarmi pantaloni e maglietta e indossare il camice…” spiegai a bassa voce: “…nulla che tu non abbia giá visto, oh?”
Come giá detto, la mia ragione era andata a farsi fottere.
Non capivo davvero neanch’io perché stessi dicendo quelle cose.
Per guadagnarci qualcosa? Per provare a riprendermelo?

WINGS ON FIRE [Hawks x Reader]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora