CAPITOLO QUARANTA: Buio

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Parte di lei aveva percepito la presenza di altre persone all’interno del salone.
Lontano, quasi nascosti dal buio, le era parso di sentire addirittura la voce di Kirishima.
Ma non aveva tempo per girarsi a controllare: i Lighting Flair erano esplosi sopra di lei, giusto un secondo prima che Dabi riuscisse a scivolare via, lontano da quella luce esplosiva.
Lei sapeva bene quale fosse il suo limite: a dirla tutta, ne aveva ben due.
Il primo, come sappiamo, è il flebile e precario controllo su quelle fruste incandescenti. Quelle stesse fruste che danzavano in aria, divorando il buio dell’enorme salone, sbattendo contro colonne e mura.
Il secondo, le radiazioni e il calore della luce stellare: per quanto fosse il suo Quirk, anche lei non sarebbe riuscita a sopportare tutto il potere della stella.
Eppure…

Era troppo.
E lei lo sapeva.
Aveva dato tutto di sé, aveva raggiunto il Plus Ultra in un batter d’occhio.
Scaturire la luce non le era mai riuscito cosí facilmente; vedere Keigo in quelle condizioni era bastato.
Eppure non riusciva a fermarsi.
Il vortice intorno alla ragazza continuava ad aumentare a dismisura, divorando tutto quello che trovava davanti a sé.
Chiunque osava avvicinarsi veniva sbalzato via immediatamente ricoperto di ustioni radioattive e sangue.
Sembra che la sala in cui era capitata era il centro dell’edificio, e non le serviva alzare lo guardo per capire la gravità della situazione.
C’erano troppe persone, troppi villain, e troppi pochi eroi. Per di piú si trattava dei suoi stessi compagni di classe.
E per quanto l’essere a conoscenza del pericolo che stava causando ai suoi compagni, non riusciva a trattenersi.

Sapeva benissimo che la sua Unicitá le stava scivolando via dalle mani secondo dopo secondo, ma almeno avrebbe aiutato.
In un modo o nell’altro, no?
L’esplosione di luce ricopriva quasi due terzi del salone, e lei era al centro. La sua pelle incandescente, i Lighting-flare le ballavano intorno, come per proteggerla.
Bruciava.
Stava letteralmente prendendo fuoco, proprio come le ali dell’eroe, accasciato a terra a qualche metro da lei.
Nonostante T/n continuasse a tenere serrati gli occhi lo percepiva, percepiva la luce rimbalzare sul corpo di Keigo: l’unica cosa che riusciva ancora a realizzare.
Lui era lí, e se lei non avesse fatto qualcosa sarebbe morto.
Morto come tutti gli altri all’interno della sala.

Si strinse ancora a sé, mentre lentamente ogni cellula del suo corpo si spezzava sotto la pressione della luce.
Sapeva che non era sola, non poteva semplicemente farsi sopraffare dal Quirk.
L’ultima cosa che aveva percepito prima di scoppiare era stato un grido sofferente di Mina, una delle sue piú care amiche, il che voleva solo significare che erano tutti lá.
Tutta la sua classe.
Kirishima, Ochako, Aizawa, Todoroki.
Tutti.
E lei li avrebbe uccisi.
Lì avrebbe uccisi perché quell’Unicitá era troppo per lei.
Perché Altair, la stella da cui traeva il potere, era troppo per lei. Nonostante fosse distante ben 17 anni luce dalla terra, in quel momento era lí, che scoppiava ed esplodeva, lottando per liberarsi dalla flebile presa della ragazza, che seppur si vedesse scivolare tutto via continuava a lottare, a cercare di trattenere quelle fruste incandescenti che si libravano in aria.
Una leggera presa, che evitava la catastrofe.
Ma quanto sarebbe riuscita a resistere?

Le sua palpebre vibrarono, e quasi fu tentata di aprire gli occhi.
La voce di Aizawa cominciò a risuonarle pesantemente in testa, ancora e ancora.
Ricordava quel momento, quelle parole.
Si trovavano in classe, durante l’ora di scienze, e guarda un pó, stavano proprio parlando delle stelle.
No, non delle stelle.
Dei buchi neri.

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“Il collasso gravitazionale di una stella da cosa è dovuto?” domandó alzando pigramente il sopracciglio: la mano di Momo scattó in aria, ma il professore teneva gli occhi fissi su di me.
Strinsi le labbra e abbassai lo sguardo, avrei dovuto saperlo?
Aizawa sospiró: “Momo?” “Il collasso gravitazionale è dovuto alla fine dell’evoluzione della stella. In pratica quando questa non ha piú energia” spiegó lei abbassando lentamente la mano.
Il professore annuí lentamente: “E a cosa porta?” domandó ancora, tenendo gli occhi arrossati su di me.
Acciuffai una matita e cominciai a rosicchiarla.
Si aspettava sicuramente che fossi un genio sull’argomento; invece – come al solito – non sapevo una beata fava.

WINGS ON FIRE [Hawks x Reader]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora