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Dopo una giornata passata davanti al monitor, Jimin si stropicciò gli occhi con le dita della mano. Sentiva una grande pressione comprimergli la testa a causa della stanchezza e dal troppo lavoro.

Era stato da poco trasferito in un nuovo distretto di polizia, non conosceva ancora bene i colleghi perciò se ne stava da solo alla sua scrivania, senza proferire parola con nessuno. Molti agenti tornavano a casa assieme, oppure si fermavano a bere e a mangiare qualcosa. Lui no. Andava a tornava da solo. Ogni giorno, tutti i giorni.

Il giovane iniziò a pensare al suo lavoro e un miscuglio di sentimenti contrastanti comparve con un'esplosione nel suo petto. Il suo primo impiego era stato come agente investigatore: sin da piccolo il mistero gli era piaciuto molto. Passava le giornate nelle strade del suo quartiere a seguire traccie lasciate da animaletti, ramoscelli spezzati e cercando i proprietari di giochi abbandonati negli angoli più nascosti.
Quella era la sua vita.

Eppure, eccolo lì, un poliziotto. Sapeva benissimo perché non faceva più il lavoro dei suoi sogni e ciò gli procurava una stretta al cuore ogni volta che ci pensava. Odiava quei pensieri che con insistenza si presentavano spesso nella sua mente. Ogni volta che ciò succedeva, cercava di respingerli con tutte le sue forze, il più delle volte senza successo.

Jimin ritornò alla realtà, scuotendo il capo per scacciare le preoccupazioni. Alzò lentamente il capo e guardò l'orologio grigio appeso sulla parete altrettanto deprimente della centrale: segnava le 21:10. Era tardi.

Il giovane si alzo dalla sedia girevole con un balzo, per poi avviarsi verso la stanza degli armadietti, dove si cambiò e depositò la divisa, togliendo dalla stampella il suo cappotto lungo color cammello.

Si avvicinò alla porta e, prima di spingerla, si girò verso i colleghi del turno di notte e con un cenno del capo li congedò. Questi ricambiarono un po' esitanti, non abituati ad essere presi in considerazione dal loro nuovo collega.

L'aria fresca di Seoul accarezzò le guance del giovane, tingendole di un tenue rosso.

Chi lo avesse visto da fuori avrebbe potuto dire che lui fosse tutto tranne che un poliziotto: la sua camminata era stanca e abbastanza vacillante, poco autoritaria; i vestiti alla moda e il suo viso a dir poco perfetto, incorniciato da capelli biondi nelle punte e più scuri alla radice, lo facevano apparire come un giovane modello dall'aspetto carismatico.

Sul suo volto tuttavia, uno sguardo profondo e spento, non adeguato alla sua età, non lo abbandonava mai. Era come una cicatrice indelebile.

Jimin si accorse di camminare velocemente, così rallentò il passo perché "infondo non c'è nessuno che mi aspetta a casa, dove sto correndo?", pensò con una nota di rammarico.

Gli sarebbe piaciuto avere qualcuno con cui condividere la sua giornata, ciò che gli era successo e, magari, anche le sue emozioni e i suoi segreti. Pensandoci però, questo non era possibile. Non si sarebbe mai aperto così tanto con qualcuno, o almeno, non lo sapeva ancora.

Continuò a camminare, mettendo un piede davanti l'altro, senza prestare attenzione alla città che si espandeva intorno a lui.

Ad un certo punto successe qualcosa di inaspettato: un ragazzo si scontrò con Jimin. A causa della sua instabilità precaria, quest'ultimo perse per qualche istante l'equilibrio, ritrovandosi a barcollare all'indietro.

Una volta recuperato, alzò lo sguardo verso lo sconosciuto: un ciuffo scuro accarezzava il volto pallido segnato da due occhi grandi e vispi, incorniciato da un cappuccio di una felpa nera, nera come i pantaloni da ginnastica.

Il ragazzo guardò il biondo e, dopo pochi istanti, aprì la bocca cercando di racimolare nella sua testa le parole giuste da mettere in ordine nella sua frase di scuse. Non trovandole, si limitò a dire

<ehm...scusa, ero sovrappensiero>

Alla frase seguì un inchino non troppo profondo e pressoché frettoloso.

<Non...non preoccuparti> disse Jimin, accennando un sorriso che il moro ricambiò.

Detto ciò, i due ripresero le rispettive strade con la convinzione di non incontrarsi mai più, entrambi ignari del legame che ben presto li avrebbe uniti.

Un po' di metri più avanti Jimin si girò indietro, sperando di intravvedere la sagoma del ragazzo. Non sapeva bene perché, ma sentiva di doverlo guardare un'ultima volta. Lo vide fermo alla fermata dell'autobus, accorgendosi solo ora che portava una valigetta in mano.

"Forse è uno studente universitario. Potrebbe avere qualche hanno in meno di me. Starà di sicuro tornando a casa o forse-"

Si fermò con le sue ipotesi. Perché stava reagendo così? Quel ragazzo era un perfetto sconosciuto...allora perché? C'era qualcosa in lui che lo aveva attratto...

Jimin, ancora fermo sul marciapiede, continuava ad osservare lo sconosciuto. Intorno a lui molte persone si erano fermate per attendere il mezzo di trasporto.

Successe tutto in un frangente di tempo brevissimo. Il cuore dell'agente perse un battito, il fiato all'improvviso gli mancò, come se tutto l'ossigeno gli fosse uscito dai polmoni. I piedi si mossero da soli, come avevano fatto uscendo dalla centrale, ma con un'energia del tutto diversa.
In pochi istanti il biondo percorse i metri che separavano lui dal estraneo che, da quel preciso momento, non si sarebbe più potuto chiamare tale.

Jimin, con il cuore in gola, si fece spazio tra la folla che inizialmente era ferma ad aspettare il bus, mentre ora assisteva senza parole a quanto appena accaduto.

Il biondo si inginocchiò accanto al corpo del ragazzo, steso in mezzo alla strada e, con le mani tremolanti, gli sentì il polso per controllare se ci fosse battito.

Protection || jikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora