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Jimin si guardò attorno: sembrava tutto così vuoto, tutto così triste. Il suo piccolo appartamento era tornato ad essere - ormai da una settimana - ciò che era un tempo, ovvero un piccolo spazio abitabile privo di significato, di importanza. Erano semplicemente quattro mura con una persona che ci abitava dentro.

Si lasciò sfuggire un sospiro che rappresenta benissimo tutto quello che provava in quel momento, tutte le emozioni negative che gli ribollivano nello stomaco e tutti i pensieri grigi che occupavano la sua mente.

"Non è la fine del mondo"

Più volte si era ripetuto questa frase con l'intento di convincersi che era veramente così, che non era solo una sua impressione. Sapeva benissimo però che continuare a rimuginare su quelle poche parole non avrebbe fatto altro che peggiorare il suo umore già a pezzi.

Si era sentito per telefono con Jungkook ogni giorno, con il misero intento di compensare in qualche modo la distanza che li separava.

Il più piccolo gli aveva confessato che di lì a qualche giorno sarebbe impazzito di sicuro. L'agente che lo sorvegliava era un tipo noioso, privo di ogni tipo di interessi e passioni e questo fatto la stava letteralmente facendo morire di noia.

<A stento mi parla! Arriva a casa e prende sonno come un vecchio! Ti prego Jimin vienimi a salvare!> aveva implorato una volta, con un tono che lasciava trapelare tutta la sua sofferenza.

Il biondo in quel momento avrebbe voluto prendere la macchina e guidare fino alla casa del suo collega, tramirtirlo e portare via Jungkook.
Dovette trattenersi dall'impulso di compiere un gesto sconsiderato e rispondere con un semplice "tieni duro" che valeva non solo per il corvino ma anche per se stesso.

Raggiunta la cucina, versò il caffè all'interno della sua solita tazza beige ed iniziò a sorseggiarlo lentamente, mentre lo sguardo vagava perso in un punto non specifico davanti a sé.
Tutta quella situazione gli aveva riportato alla mente un discorso avuto anni prima con suo padre.

Jimin era tornato a casa da scuola, lanciando la cartella sul letto e dirigendosi da sua madre e senza mezzi termini aveva espresso il suo desiderio di diventare un agente della polizia da grande.

Per la donna non c'era stato un evidente problema nell'accettare il sogno del figlio, ma quando il padre lo venne a sapere tutti i suoi piani sfumarono.

Secondo quest'ultimo, infatti, non sarebbe stato un lavoro adatto a Jimin, sia perché lo reputava pericoloso e sia perché aveva in mente altro per il suo futuro.

<Dovresti essere onorato di continuare la nostra attività...e invece cosa sento? Il poliziotto! Tsk> disse l'uomo profondamente deluso.

<Ma papà io non voglio lavorare al ristorante...non è quello il mio posto! Sento di voler acciuffare i cattivi, mandarli in prigione...voglio che il mondo sia un posto migliore>

<Ascoltami bene ragazzo: solo perché ti impegnerai con tutto te stesso non significa che le cose cambieranno>

<Si invece!> aveva risposto Jimin con tutta la caparbietà che un tredicenne poteva possedere.

<No e lo sai benissimo pure tu>

<Ma->

<Fine della discussione> disse suo padre con voce autoritaria e severa che avrebbe fatto paura a chiunque.
Ma non a Jimin. In quel momento sentì solo odio e ciò non fece altro che rafforzare le sue convinzioni per il futuro. Avrebbe fatto l'agente, in un modo o nell'altro.

Solitamente a questo ricordo ne seguiva un altro, più recente, ma della stessa intensità.

L'uomo guardò il figlio vestito in divisa - pronto per andare alla cerimonia di assegnazione del distintivo - con occhi che esprimevano tutta la sua disapprovazione.

Protection || jikookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora