CAPITOLO 22

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"Ne sei proprio sicuro?", gli chiedo io.
"Da quello che vedo si. Ci conosciamo tutti da una marea di anni, non potevamo non chiamarla, ma lo sai, Isa, io...", inizia lui ma lo stronco sul nascere.
"No, Cesare, forse non hai capito. A me non interessa un cazzo del perché lei sia qui, è pur sempre la cugina di Nic, ha diritto di stare in questa casa più di me. Mi sembra scontato che debba esserci anche lei a questa festa, fa parte della famiglia.", spiego io velocemente.
"E allora perché sei incazzata? Pensi, tu pensi davvero che, sì insomma, tra noi due ci sia ancora qualcosa?", mi chiede avvicinandosi.
"Io non posso sapere che cosa vi legava, cosa ancora vi lega, non potrei capirlo, è normale.", gli dico abbassando lo sguardo sui miei sandali.
"Tra me e lei è finita da tempo, sarà comunque parte della mia vita, ma la cosa finisce qua. Io non la amo più, le vorrò sempre bene e mi rimarrà per sempre un bel ricordo del periodo che ho passato con lei, ma io amo te. Soltanto te.", mi dice prontamente lui prendendomi il viso tra le mani.
"Cesare, non sono incazzata, sono delusa. Noi due ci diciamo sempre tutto, ci siamo avvicinati proprio per questo, e io mi fido di te, davvero, ma avrei voluto sapere che ci sarebbe stata anche lei. Voglio evitare di sembrare la solita cretina.", gli dico evitando di incrociare il suo sguardo.
"Guardami.", mi dice Cesare ed invece sposto lo sguardo oltre la sua spalla e la presa sulle mie guance si fa più ferma, ma rimane delicata, così mi decido ad incrociare gli occhi con i suoi.
"Isa, ascoltami. Non sapevo come dirtelo, non perché avessi qualcosa da nascondere, ma perché non volevo che ci stessi male. Come si spiega alla propria ragazza che la tua ex, con cui sei anche in buoni rapporti, viene ad una festa, che è praticamente la rimpatriata con gli amici di una vita? E smettila di sminuirti sempre, non paragonarti sempre agli altri, perché tu non te ne accorgi, ma sei una persona fantastica, non avere sempre paura del giudizio degli altri. Non farti le solite paranoie, per favore, tra me e lei non c'è più niente.", continua lui accarezzando con il pollice la guancia.
"È evidente, però, che non volevi presentarti con la nuova ragazza, solo tua sorella sapeva chi fossi tra gli altri. Ma va bene così, Cesare, lo capisco.", gli dico calma.
"Non sono io quello che si vergogna di dire di noi ai propri genitori.", replica risentito, staccandosi.
"Non mettermi in bocca parole che non ho detto, Cesare, lo sai che è più complicata di così la questione.", ribatto velocemente.
"A me invece sembra molto semplice. Cos'è, quando tornerai a casa, dopo questi sei mesi a Bologna, sarò stato la bella storiella da raccontare alle amiche? O forse non va bene il lavoro che faccio?", mi chiede deluso.
"Sai che non è così! Sono stata male per te, ho versato tutte le lacrime che non sapevo neanche di avere in corpo quando ho pensato che non mi volessi, che tu non mi amassi allo stesso modo in cui ti amavo, ti amo io. E quando finalmente mi hai baciata, ci siamo baciati per davvero, e mi hai detto tutte quelle cose il giorno della laurea di Ele, mi sono sentita al settimo cielo, camminavo a un metro da terra perché non avrei mai pensato di incontrare una persona come te nella mia vita. E non dire stronzate, lo sai che non me ne frega un cazzo del lavoro che fai, non mi interessa se non fai il medico o il commercialista, come tutti nella mia famiglia, e l'ho ribadito anche a mia mamma, che non mi interessa minimamente grazie a cosa ti mantieni, purché sia il lavoro che ti rende felice. Andiamo, io voglio andare a scovare delle mummie, non mi sembra così assurdo che ti piaccia fare intrattenimento! Dio, Cesare, come puoi pensare che mi importi così poco di noi due?", replico alzando la voce.
"Non lo penso davvero, ma non posso fare a meno di credere che un po' sia così, a volte penso di non meritarti perché, tu non lo vedi, non lo ammetti a te stessa, non so per quale cazzo di motivo, ma sei stupenda, in tutto quello che fai. Isa, non pensavo che mi avrebbe preceduto e sarebbe arrivata lei a presentarsi prima che potessi dirtelo io.", dice lui calmo, addolcendo i toni.
"Non voglio rovinare la festa a Dario. Chiudiamola qua.", dico allontanandomi da lui, prendendo dal forno la torta e portandola in giardino.
La festa va a gonfie vele, Dario è rimasto piacevolmente sorpreso, non è abituato a festeggiare il suo compleanno con gli amici di Bologna e poi quest'anno c'è anche Matilde; i ragazzi sono stati tutti simpatici e ad un certo punto mi sono ritrovata a parlare anche con Sofia mentre giocavo con Carlotta e Onda, i due cani di Nicolas, con Cesare che ci ha squadrate per tutto il tempo dall'altro lato del giardino, forse con il timore che arrivassimo a scannarci, ma così non è stato, alla fine devo ammettere che è stata più gentile di quanto mi potessi aspettare. Dopo aver tagliato la torta a mezzanotte e aver fatto gli ultimi auguri a Dario, gli altri invitati sono andati via e noi siamo rimasti ancora un po' a «svaccare» sui divanetti in giardino, finché i ragazzi hanno deciso di iniziare a pulire la griglia mentre io e Beatrice ci siamo offerte per riportare il cibo avanzato e le altre cose in cucina; appena abbiamo finito, salutiamo le ragazze rimaste a parlare all'esterno e ci diamo la buonanotte, così mi dirigo nel piccolo bagno di fianco alla camera, dove mi accorgo di non aver portato con me il pigiama, per cui sono costretta a mettere una vecchia maglia di Cesare che ho trovato nel borsone e un paio di culotte.
In silenzio apro la porta della camera da letto e mi accorgo che Cesare è già addormentato, per cui, cercando di fare meno rumore possibile, mi stendo di fianco a lui dandogli le spalle.
"Eri bella stasera. Come sempre.", sussurra lui nel buio e sento le molle del letto che fanno rumore mentre si fa un po' più vicino a me, la sua schiena a sfiorare la mia.
"Scusami.", emetto io in un sussurro appena udibile prima di venire colta dal sonno.

Quando mi sveglio, il posto accanto a me nel letto è vuoto e mi dirigo con passo svogliato in cucina, dove trovo già gli altri che fanno colazione e mi rendo conto essere quasi mezzogiorno, quindi lo definirei più un brunch che una vera e propria colazione, anche perché sul tavolo, tra pezzi di focaccia e salumi, non vedo niente che ci somigli vagamente, come latte, cereali e cornetti, ad eccezione del caffè. Siamo tutti stanchi e assonnati, ancora avvolti nei pigiami, e nessuno ha voglia di fare molto oggi, così ci mettiamo in giardino, qualcuno gioca a volano, qualcuno prende il sole sulle sdraio, anche addormentandosi, alcuni continuano a mangiare e spiluccare gli avanzi di ieri, invece io me ne sto seduta sotto il mio solito albero con la testa di Carlotta poggiata sulle gambe mentre finisco il romanzo che mi ha consigliato qualche settimana fa Beatrice; per tutto il tempo, però, ho sentito addosso lo sguardo di Cesare che stava giocando con Tonno, Nicolas e Nelson e ad un certo punto l'ho intravisto con la coda dell'occhio sedersi quasi vicino a me all'ombra della quercia, senza però disturbarmi nella lettura, giocando di tanto in tanto con Carlotta. È qualcos'altro però che mi distoglie dal libro, una chiamata da un mittente quasi insolito.
"Ciao Vì, a che devo il piacere di questa chiamata? Solitamente stai dormendo a quest'ora del pomeriggio.", chiedo io incuriosita.
"Isa, sta per nascere. Noi stiamo andando tutti lì.", mi informa mio cugino dall'altra parte della cornetta.
"Arrivo appena posso, tienimi aggiornata nel frattempo.", replico io per poi alzarmi di scatto, incurante di Cesare che mi osserva senza capire cosa stia succedendo.
Corro in camera e arraffo la mia roba rimettendola nel borsone e torno velocemente in giardino, dove anche gli altri si sono accorti del mio stato di «allarme».
"Come mai così di fretta?", mi chiede Nelson avvicinandosi con Dario e Cesare, che sembra preoccupato nel vedermi affannata.
"Mi serve un passaggio in stazione, il più velocemente possibile. Mi dispiace lasciarti così il giorno del tuo compleanno, Dario, ma devo scappare.", rispondo io dispiaciuta.
"Isa, va tutto bene, che succede?", mi chiede allora Cesare.
"Ce', devo correre in stazione, mia cugina è entrata in travaglio, devo prendere il primo treno. Per favore.", gli dico allora con tono di supplica.
"Non esiste, andiamo insieme con la macchina, non ti lascio prendere il treno in questo stato.", protesta lui.
"No, Cesare, sei stanco, non puoi guidare così.", replico io decisa poggiandogli una mano sul braccio per bloccarlo.
"Andiamo, ti accompagno in stazione, facciamo in fretta, ma sta' calma.", mi dice lui trascinandomi letteralmente in macchina, arrivandoci nel giro di un quarto d'ora, dove mi dice di aspettarlo in auto mentre lui mi compra il biglietto del treno ed io rispondo ad un'altra telefonata, questa volta di mia mamma.
Quando è di ritorno, esco in fretta dalla macchina e vado spedita verso il binario, bloccandomi davanti alle porte del treno ancora chiuse per salutarlo prima di salire.
"Ti giuro che appena torno mi farò perdonare, per oggi, ma soprattutto per ieri. Scusami, scusami, scusami, per favore.", gli dico lanciandomi tra le sue braccia, che immediatamente mi stringono.
"Muoviti o perdiamo il treno, vengo con te. Ho preso un altro biglietto.", mi dice Cesare prendendomi per mano, guidandomi verso i nostri posti.
"Non ce n'era bisogno, insomma non dovevi venire anche tu.", gli dico sistemandomi sul sedile.
"Si, ce n'è bisogno, devo, ne hai bisogno tu.", ribatte lui fermo, lasciando che mi poggi alla sua spalla, addormentandomi nel giro di pochi minuti.
A causa di un rumore metallico sono costretta ad aprire gli occhi e vedo fuori dal finestrino la stazione vicina, ma soprattutto il cielo che ormai è diventato scuro, infatti saranno passare circa 6 ore da quando mi sono addormentata; Cesare sta guardando distrattamente qualcosa al cellulare mentre tiene ancora il braccio intorno alle mie spalle, che delicatamente sfiora con le dita, e appena si accorge che sono sveglia mi parla.
“Ehi, un’oretta fa ha chiamato tuo cugino, almeno credo lo fosse, gli ho detto a che ora saremmo arrivati, ci è venuto a prendere lui.”, mi dice lasciando che mi stiracchi un po’.
Dopo qualche minuto la solita voce annuncia l’arrivo in stazione e scendiamo dal treno per raggiungere mio cugino, parcheggiato proprio davanti all’ingresso; fatte delle veloci presentazioni, arriviamo in poco tempo in ospedale, dove troviamo un folto gruppo di persone nel corridoio e subito mi avvicino, scorgendo tra gli altri i miei genitori e i miei zii, mentre Cesare resta leggermente indietro.
“Isa, sei arrivata finalmente!”, mi dice mia zia abbracciandomi e lasciandomi salutare anche gli altri.
“È andato tutto bene? Come stanno?”, chiedo io concitata.
“Stanno bene, sono sanissime. È una femmina, Marta, pesa 2 chili e 6, è una pagnottella.”, risponde mia madre.
“Piuttosto, chi è questo bel giovanotto?”, chiede mio zio vedendo Cesare dietro di me.
“Ehm buonasera, sono Cesare, un amico…”, inizia lui timido, ma subito lo interrompo.
“È il mio fidanzato, zio.”, lo correggo io mentre non so se sia più sconvolto mio padre o Cesare nel sentirmi dire quella frase.
“Ora, se volete scusarmi, andiamo a vedere come stanno mia «nipote» e mia cugina.”, finisco io prendendolo per mano e andando verso la loro stanza.

Away from all the fears you left behind. - Cesare CantelliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora