𝐗

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𝑾𝒐𝒐𝒚𝒐𝒖𝒏𝒈

Le mie scarpe scricchiolavano sullo sterrato del parcheggio dove San aveva parcheggiato l'auto. Tutta quella situazione era risultata rilassante e piacevole, ma avevo ben inteso le intenzioni romantiche del ragazzo, ed io non ero ancora pronto a ricambiare, non ero neppure sicuro di provare dei veri sentimenti verso di lui. Camminavo ormai accanto alla macchina, mandando un ultimo sguardo al paesaggio della città, colorato dal cielo pitturato di colori vivaci, accompagnato dall'ultimo vento caldo della giornata. Ormai aprile stava giungendo al termine. Avevo domandato al ragazzo di tornare in città per paura che la situazione diventasse troppo profonda, mi ero sentito a disagio alle sue parole dolci e sul perché avesse scelto quel posto, mi dispiaceva pensare e provare tutt'altra cosa. 
«Dove vuoi andare?», alla domanda del ragazzo non risposi subito, mi sarebbe andato benissimo qualunque posto lontano da lì, senza che lo scegliessi io. Rimasi in silenzio finché non ci sedemmo in auto, fino a poco prima che San accendesse la macchina per uscire ed allontanarsi da quel luogo troppo carico di sensazioni.
«Onestamente non lo so, avevo voglia di camminare»,
«Allora faremo un giro per il centro», annui con il capo sorridendogli gentilmente e lasciando sfuggire dalle mie labbra un sussurrato ringraziamento.
Il viaggio di ritorno fu come l'andata, ossia immerso nella musica mentre il vento invadeva la macchina e ci avvolgeva nel paesaggio ormai scuro, in cui l'unica presenza consistente era la città, illuminata a giorno lungo le strade e sui palazzi slanciati verso il cielo.

Parcheggiammo esattamente sotto uno di essi, vicino alla via principale in cui si vedeva una sola testa, e l'estate doveva ancora arrivare.
«C'è n'è di gente questa sera», San commentò poco dopo la folla, dando voce ai miei pensieri e non potei che sorridere quel piccolo dettaglio
«Si, ma possiamo camminare anche su questa secondaria, ci sono posti carini. Ti va di bere qualcosa?» azzardai a dire, volendo rimanere ugualmente isolato dalla folla.
San ci mise qualche istante a rispondere alla mia domanda, probabilmente per pensare se poteva lasciare lì l'auto, per una notte, indisturbato.
«Certo», fu la sua risposta poco dopo. Ne fui sollevato da una parte, per non averlo messo in imbarazzo o in una situazione a lui sgradevole, ma non si rivelò così. Passammo un paio d'ore in un bar a bere e chiacchierare finendo entrambi alticci. Potei notare come San avesse una bassa sopportazione dell'alcol, al contrario mio che mi ci volevano una serie di drink per iniziare a sentire qualcosa.  
Dopo il bar finimmo in un parco giochi pubblico, in mezzo ad un quartiere mezzo disabitato e vuoto dai giovani che si radunavano spesso in quei luoghi.
«Che vuoi fare?» mi chiese il ragazzo al mio fianco, dandomi una lieve spinta su un braccio che mi fece ridere assieme alla sua espressione serena in viso.
Alzai le spalle, scrollai il capo e lo fermai solamente quando i miei occhi videro un tavolo da ping pong in fondo al prato.
«Ping Pong!» esclamai con un tono forse troppo alto, pronto a trascinare San con me.
«E con cosa giochiamo?» domandò il ragazzo moro scoppiando in una fragorosa risata per il mio entusiasmo. Senza rispondere, semplicemente, mi tolsi una scarpa, saltellando su un piede, e la alzai in aria per mostrargli le nostre palette.
Era una cosa scema ma San mi seguì a ruota ridendo entusiasta.
Giocammo per quasi un paio di ore buone con una pallina improvvisata con della carta stagnola trovata a terra, non che rimbalzasse, ma almeno avevamo qualcosa da lanciarci addosso e da intercettare con la suola delle scarpe. Il tempo stava passando fulmineo, assieme alla sbronza, che scomparve velocemente ma il nostro tono alto, le risate e il poco equilibrio rimasero, poiché ci stavamo divertendo troppo per accorgerci di essere tornati in noi stessi.
Dall'esterno la gente ci avrebbe dato degli ubriaconi e casinisti, si sarebbe fermata ad assistere a quella partita causale e mal fatta, avrebbe riso con noi per le nostre risposte, battute, azioni o per solamente la mia stessa risata che alimentava quella di San e che ci faceva crollare sul tavolo. Le nostre risate erano connesse in quel modo, ed era bello viverlo.
«Che ore sono?» domandò ad un tratto San, fermando la pallina tra le sue dita affusolate, mentre con l'altra mano era intento ad asciugarsi il viso dalle lacrime di divertimento causate dalla mia posizione: essendo senza scarpa avevo appoggiato la gamba sul tavolo, giocando in posizioni improponibili che facevano solo che sconcentrare l'avversario con delle rumorose risate
«Aspe', 2:54!» risposi sorpreso per quell'orario, ma potevo comprenderlo, chissà per quanto eravate rimasti lì a cazzeggiare in pace.
San si limitò ad annuire con il capo prima di tirare il fiato e cadere sdraiato di schiena sul tavolo, soffiando una risata mista ad un lamento.
Dopo qualche tentativo di rimettermi la scarpa, mi sdraiai anche io, dall'altra parte del tavolo, lasciandomi diviso dal ragazzo con una rete mezza rotta da ping pong. All'improvviso l'unico suono che esisteva sopra al sottofondo della città, fu il nostro respiro pesante, che stavamo riprendendo lentamente da quella scatenata partita.
Il mio corpo si rilassò lentamente sotto la vista del cielo stellato che comparve un secondo dopo secondo sopra a quel parco desolato e scuro, in cui vivevamo solo io e San. Ma diventai solo io l'unico abitante di quel luogo quando il fiato di San smise di farsi sentire, ma potevo ben immaginarmelo: probabilmente era steso come me, con le braccia aperte lungo i lati del tavolo, con lo sguardo fisso sul cielo e un sorriso romantico in viso, con la mente a mille che gli mostrava tutto il romanticismo di quel momento.
Si, era così.
Provai all'improvviso un forte distacco da tutto quel mondo di sensazioni ed emozioni. Realizzai che per me non era così: io stavo bene da solo, con me stesso in quel momento di silenzio. Era il mio amato silenzio, quello che vivevo con i libri e con la libreria, che avevo sempre vissuto da solo, ed ora lo stavo condividendo, o almeno credevo, ma probabilmente non era così. Lo avrei condiviso solamente quando sarei riuscito a percepire una seconda presenza con me, in quello stato mentale spensierato e distaccato. Per qualche secondo provai ad immaginarmi di stare con San, ma fu un'istante breve e mi procurò una strana sensazione, per quei pochi millisecondi mi sentii appesantito, ma in modo positivo, quasi pieno, completo, una sensazione che iniziai a rincorrere da quel giorno in avanti ma con il perenne terrore di innamorarmi.

Egeo WoosanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora