𝐈𝐈

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𝑾𝒐𝒐𝒚𝒐𝒖𝒏𝒈

Appena uscii dalla stazione, ad attendermi c'era semplicemente un bus blu slavato, ormai scolorito dagli anni di servizio in quel quartiere. Lo presi al volo, poco prima che partisse, ma ormai era abitudine per me la puntualità mancata dei mezzi. Il conducente mi riconobbe e mi intrattenne a parlare con lui, succedeva molto spesso, con gli anni di scuola e di lavoro, ormai mi ero fatto amicizie tra i guidatori, con cui parlavo per tutto il viaggio, fino alla mia fermata. Parlavamo di argomenti casuali, della loro vita, mi chiedevano della mia, se avessi incontrato qualcuno, come andasse il lavoro, erano gentili e mi sentivo a mio agio con loro, poiché avevano attenzioni genuine verso di me, desideravano sinceramente la mia compagnia.
«Oggi in treno un ragazzo mi si è avvicinato e si è interessato al libro che stavo leggendo. Era molto accorto sulle parole che ci scambiavamo, mi sarebbe piaciuto intrattenermi di più con lui, ma non ho potuto. Ho lasciato semplicemente il libro, sperando di rincontrarlo ».
Che parole smielate mi uscivano dalla bocca, ma era così. Probabilmente il suo viso sorridente mi avrebbe tormentato per un bel po 'di giorni, se non fino al nostro prossimo incontro.
«Potrebbe essere l'inizio di un romanzo rosa.»
Risi a quel commento del conducente, era una possibilità, certamente, ma forse nei romanzi come quelli di Jamie McGuire. Ero un inguaribile romantico e la gente lo sapeva, ne approfittava.
Ma la mia vita sarebbe stata perfettamente scritta da André Aciman, con le sue impeccabili descrizioni di paesaggi e pensieri, le mie riflessioni sarebbero risultate perfettamente armoniose e con un senso se descritte della sua penna.

Ormai ero arrivato alla mia fermata, perfettamente al buio, accompagnata da degli alberi piantati al suo fianco che spiccavano come due guardiani attendenti il ​​mio arrivo. Scesi con un sonoro respiro, incamminandomi lungo la strada che percorreva trasversalmente moltissime vie, ormai illuminate solamente dalla fiacca luce dei lampioni o dalle insegne luminescenti dei pub che iniziavano ad aprire. I miei piedi mi guidarono ciecamente attraverso il parchetto, il ponte di cemento ormai riempito di scritte ai lati e per molte vie, fino al mio palazzo. Era un luogo decadente se messo a confronto al centro città, ma mi ci trovavo molto bene, gli edifici come quello erano popolati da molte persone, tra cui molti giovani come me, erano veri e propri condomini studenteschi e giovanili, anche se molto distanti dall'area delle accademie.
Salii fiaccamente gli ultimi gradini, camminando goffamente nel corridoio a balcone grigio, tra la sfilza di porte degli appartamenti e il parapetto in cemento, che dava sulla città ormai immersa nella notte, con le prime luci che si accendevano lentamente, una dietro all'altra. Decisi di prendermi qualche istante per me ed estrassi dalle tasche un pacchetto di tabacco ormai del tutto vuoto, presi le cartine e costruì una sigaretta corta con poca attenzione ma con il desiderio di fumarla in pace, appoggiato al cemento biancastro ancora caldo dal sole della giornata appena trascorsa.
Un altro giorno era passato sotto i miei occhi ed io, con la mia vita, ero rimasto immutato.
Solamente una volta terminata la sigaretta decisi di entrare nell'appartamento. Digitai sui tasti consumati la combinazione per sbloccare la porta e mi tolsi le scarpe malconce e distrutte, appoggiandole appena dentro l'entrata, sulla destra, in modo che non dessero fastidio. La stanza era tiepida, tanto da poter camminare a piedi scalzi senza problemi. Mi spostai attraverso la stanza che fungeva come salotto e cucina, trovando tutto magnificamente pulito ed ordinato.
«Sei tornato finalmente, ti ho lasciato la tua parte di cena in frigo, io ora esco, faccio tardi»
Seonghwa non mi disse nient'altro, sfrecciando al mio fianco verso l'uscita, lasciandomi totalmente immerso nel silenzio. Decisi perciò di sistemarmi e, dopo una lunga doccia, mangiai, accompagnato semplicemente dalla musica del vinile che girava ormai consumato e felice di tenermi compagnia come ogni volta in quelle sere spese nella solitudine.
Mi ricordai solamente dopo un po 'che non avevo più il libro dietro, che l'avevo abbandonato nelle mani di uno sconosciuto con la speranza e la volontà di ritrovarlo nei giorni a venire. Ero cresciuto grazie a quel genere di libri, avevo sognato di diventare poeta, scrittore, ma ero finito per lavorare in una libreria di seconda mano, dove le mie giornate stavano semplicemente riempite dall'odore dei vecchi libri, studenti che entravano con la speranza di trovare testi universitari a poco; libri letti nelle infinite ore di solitudine, i miei amici che passavano per distrarmi e tenermi compagnia. Amavo quel locale anche se ci lavoravo da poco, potevo leggere tutto ciò che desideravo senza alcuno costo. Per questo non mi era mai pesata la solitudine, perché c'ero nato e cresciuto con essa, tanto da farla mia e sentirmi a mio agio. Non che odiassi le persone, anzi, quando ne avevo l'opportunità ero più felice che spostarmi in compagnia. Ma quel livello di solitudine che raggiungevo solamente in quei momenti e in quei luoghi era qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto capire, percepire, perché troppo intimo e personale da essere spiegato o solamente condiviso.
La notte sopraggiunse ben presto, sorprendendomi nel bel mezzo di un film che stavo guardando, non mi ero minimamente accorto delle ore che erano trascorse dal mio ritorno, ma ugualmente di Seonghwa non c'era traccia e sicuramente lo avresti rivisto l'indomani pomeriggio.
Una volta coricato sul materasso che sapeva ancora di pulito non potei che sentire gli occhi pesanti, già pronti a trasportarmi tra le braccia di Morfeo e sognare beatamente per quella notte.
Il sogno che feci era confuso, distaccato, ma emanava forti sensazioni verso di me. Il cielo era colorato dalle luci del tramonto, mi trovavo sui binari in mezzo alla campagna, senza rumori, ne compagnia, ero da solo che camminavo lungo la strada silenziosa e piena di erba alta e secca. All'improvviso la terra smise di esistere e si aprì sotto i miei piedi un burrone, al cui interno, sul fondo, vidi una figura accovacciata con il mio libro. Alla prima reazione urlai cercando di attirare l'attenzione della figura, alla seconda volta invece decisi di scendere lungo un lato del crepaccio e man mano chiamavo il ragazzo. Solo a pochi metri dal suolo lo sconosciuto alzò il volto e rividi quel sorriso gentile, adornato da fossette e dai due occhi a fessura che sorridevano anch'essi alla mia persona. Quello sguardo dolce mi destabilizzò e il mio corpo cadde nel nulla.
Poco prima di toccare il suolo il mio corpo si riscosse, mi svegliai con un colpo di aria in pieno viso proveniente dal ventilatore.
Ero nella libreria dove lavoravo e quello era stato l'ennesimo sogno confuso della giornata. Era la seconda volta che sognavo tutto quello, mi era successo anche quella notte stessa, ma ora addirittura lì a lavoro, dove non mi addormentavo mai.
Perché mi ero addormentato?
Abbassai lo sguardo sul legno del bancone, vedendo un libro di poesie polacche di Wisława Szymborska, veramente noiose e decadenti, tant'è che mi avevano condotto al sonno.
Chiusi il libro con un pesante sospiro, spostandomi da dietro il bancone per riordinare alcuni libri che ci erano appena stati affidati. Prima di inserire nello scaffale passavo a rassegna, per almeno una decina di minuti, tutti i libri, in modo da studiarli, a soffermarmi su alcune note in penna sui bordi delle pagine, a cercare qualche segno di passato, un ricordo, un pezzo di vita, ma raramente accadeva. Il mio orecchio captò il suono del campanello d'entrata, mi voltai con un sorriso che mi morì in viso appena vidi i miei amici, sempre lì a rompere i coglioni.
«Anche noi siamo felici di vederti» esordì Jongho prima di sbattere sul bancone una busta con il pranzo. Si prendevano sempre cura di me in quel modo, erano adorabili, soprattutto il più piccolo a cui mi avvicinai per abbracciarlo come ringraziamento, salutando nel mentre anche Mingi e Yunho.
«Come procede oggi il lavoro?», Mi domandò Yunho a bocca piena.
«Non male ... Non male» mi lamentai aprendo la mia scatola di cibo, da cui fuoriusciva l'odore invitante del ristorante all'angolo, dove ormai ci conoscevano e sapevano i nostri gusti ed ordini a memoria.
«Voi?»,
«Tutto ok, Wooyoung per caso hai questi libri?», Jongho mi diede speranzoso una lista di libri universitari, ma leggendo i titoli scossi il capo.
«Dopo controllo, ma non ci conterei molto».
«Qua hai solo cartacce» commentò Yunho con un sospiro, mentre tirava su con le labbra il suo ramen.
«Non è vero, sono solo libri particolari o poco letti, molto vecchi che ora non sono più di gusto. Ma sono belli» presi le parti di quel luogo angusto in cui ormai lavoravo da mesi e di cui ormai mi ero già perdutamente innamorato.
«Chissà cosa direbbero i tuoi a vederti qua. Insomma, hai quasi 21 anni Wooyoung e vivi praticamente qua, a leggere. Sei vecchio dentro. », Mingi non aveva tutti i torti, la sua affermazione era veritiera, molto.
«Sai Mingi, alcune persone sono vecchie a diciotto anni, ed altre sono giovani a novanta. Il tempo è un semplice concetto che l'uomo ha creato per scandire la sua vita, ma nessuno ha mai dettato regole su come l'uomo deve vivere in ogni suo stadio di vita. » Chiarii subito il ragazzo, che ha risposto con uno sbuffo seguito da dei borbottii per rendermi in giro con una finta aria da saputello, probabilmente mi stava dando del pedante e noioso, forse lo ero, ma andava bene cosi, perché mi conoscevo.

Spazio autrice:

Buona sera a tutti, spero che il secondo capitolo vi sia piaciuto e vi abbia catturato quanto il primo 💖
Come avete notato ho deciso di pubblicare in due giorni ben precisi:
Domenica mattina alle 11,
Mercoledì sera alle 21.
Spero siano adeguati come orari ~
Anzi, scusatemi per questa sera ma ho avuto dei problemi con la pubblicazione

Aspetto con ansia i vostri commenti, sperando in pochi‼ ️ e tante ⭐

Grazie di star leggendo 💗

• Bibliografia :

- "Due punti", Wisława Szymborsk a, 2005

Egeo WoosanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora