9 - Attacco

79 18 9
                                    

~ WALTHER~

Dal mio più che maldestro tentativo di fuga passò all'incirca un mese.

Colt riuscì a non farmi giustiziare, cosa che quell'altro tizio, Hal, avrebbe fatto più che volentieri. La popolazione di Zambon per la stragrande maggioranza non era gente cattiva, era solo spaventata. Vedevano in me una minaccia. La violenza subita fu talmente atroce che si chiusero in loro stessi, limitando quanto più possibile gli scambi con l'esterno.

Durante la mia prigionia, oltre a Colt che mi stava perennemente addosso, mi venne affiancato anche il burbero Hal. Quei due erano veramente cane e gatto. Costantemente in disaccordo su tutto. Colt non tollerava la sua presenza. Hal invece era sempre pronto a sminuirlo. Spesso accennavano al defunto padre di Colt ed Hal non spendeva mai delle belle parole nemmeno su di lui.

Quel giorno non avrei svolto i miei compiti quotidiani. Hal e Colt erano andati ad una battuta di caccia. Nessuno degli altri abitanti si era preso la responsabilità di farmi da supervisore, quindi, per quella giornata sarei rimasto nella mia cella. Ormai potevo definirla quasi come una casa.
Di tanto in tanto i bambini del posto venivano, stando attenti a non farsi sorprendere dagli adulti, a farsi beffe di me tirandomi pietruzze e oggetti di qualunque sorta contro. Mi chiamavano "amico degli Indaco".
Non ebbi più nessuna apparizione della ragazza nella grotta. Sparite. Avevo seriamente cominciato a pensare che infondo non erano null'altro che quello. Sogni.

Smisi di escogitare la mia fuga. Speravo dentro di me che una volta espiate le mie colpe mi avrebbero permesso di andarmene. Anche se parlare di colpe era un eufemismo. Io non avevo fatto nulla!
L'unica mia colpa era stata quella di trovarmi nel posto sbagliato al momento sbagliato, di incontrare la persona sbagliata. Era destino.

«Il destino...»

Davvero esisteva? Me lo domandavo spesso. Le nostre azioni, sono solo frutto del caso o sono già predeterminate da qualcuno o qualcosa che ci indirizza verso il cammino da percorrere?
Era già scritto che mi dovessi trovare qui, in questa cella, in questo preciso istante. Oppure era solo una delle infinite possibilità che potevo avere? Un casuale lancio di dadi o un piano scrupolosamente orchestrato?

«Il destino...»

La mia cella era tagliata fuori dal mondo esterno. Non avevo finestre, non avevo la minima fessura per guardare al di fuori di essa. Vi era un solo ingresso, una sola via per l'esterno.
Poi le udii: erano delle grida. Grida di disperazione provenire dal di fuori. Stava succedendo qualcosa. Qualcosa di terribile.
Cercai di attirare l'attenzione. Mi misi ad urlare:

«Ehi!! Cosa sta succedendo? Ehi!!!» con tutto il fiato che avevo in corpo fino a lacerarmi le corde vocali.
Mi sollevai di scatto cominciando a prendere a calci le sbarre, ma queste erano molto robuste e finii per farmi male.
Rantolai a terra tenendomi la gamba destra dal dolore.
Intanto fuori sembrava esserci l'inferno!

«Aiuto!!!» continuai cercando di farmi notare
«Mi sentite? Qualcuno mi tiri fuori di qui! Maledizione!» più forte che potevo.

CRASH!

Il muro alle mie spalle crollò, come se fosse fatto di argilla.
Ancora frastornato mi voltai verso la parete della mia cella. Non credevo ai miei occhi:
Due uomini, con gli stessi occhi blu che avevo incrociato solamente nei miei sogni mi si paravano di fronte. Terrificanti.
Uno dei due era enorme, altissimo, capelli di un biondo platino che risaltavano ancor di più il suo sguardo. Doveva essere lo stesso di cui mi aveva raccontato Colt. L'altro era decisamente più piccolo, capelli nerissimi come la pece, viso affusolato, quasi misogino. Occhi a mandorla che incastonavano alla perfezione quegli occhi color zaffiro scintillante. Aveva qualcosa di estremamente sinistro. Paradossalmente tra i due era quello che più temevo. Sembrava così quieto, quasi inoffensivo oserei. Ma sentivo che ciò che mostrava era solo la punta dell'iceberg. La punta di un iceberg immenso. Mi terrorizzava. Non riuscivo nemmeno a guardarlo dritto nelle palpebre.

«Allora esistono, esistono veramente»

Il più alto dei due mi sorrise. «Certo che esistiamo».

Rabbrividii.
Ero sicuro di aver solo pensato quella frase, eppure si era rivolto a me come se quelle parole fossero veramente uscite dalla mia bocca. Potevano carpire i miei pensieri? Faticavo ancora a crederci. Possibile che stessi ancora sognando?
«Si, ora mi sveglio, è solamente un altro stupido incubo» continuai a ripetermi.

Il più esile dei due mi fissò con le sue pupille color dell'oceano.
«No, Walther. Non si tratta di un incubo. E ora tu verrai con noi».
***

Pianeta IndacoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora