26 - Vendetta

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COLT

Finalmente l'avevo trovata. La causa principale di tutte le mie sofferenze. La causa che mi aveva spinto ad accettare la proposta di Lamark e di Noah.

Hamada.

La Indaco in grado di scovare chiunque, quella che aveva scatenato tutto quanto. Lei sarà la prima a pagare, Isaac il secondo e poi via via tutti gli altri.

Fui sottoposto a degli strani esperimenti. Esperimenti fatti combinando il sangue di Walther e quello di Noah, un Indaco. Io di queste cose assurdità al limite della stregoneria ne capivo veramente poco, ma non avevo altra scelta, se volevo combattere ad armi pari questo era il prezzo da pagare.

Ero quindi in parte Indaco, in parte demone. Forse un abominio. Ma non mi importava, l'unica cosa che contava era la vendetta. Far sparire per sempre gli Indaco di Isaac. Noah avrebbe governato il mondo, Noah e l'Arca avrebbero portato la nuova era dell'umanità. Almeno loro con me si erano dimostrati sinceri.

Walther, quanto a lui, era solo un effetto collaterale. Un imprevisto di cui credevo di essermi sbarazzato, a nulla servì gettarlo da un altezza siderale, era sopravvissuto. Gli avevamo offerto una via di salvezza, una opportunità, ma lui rifiutò. Troppo testardo, nonostante il demone che albergava in lui era rimasto puro, umano.

Io, invece, sentivo di starla perdendo giorno dopo giorno. Ad ogni tramonto una piccola parte della mia umanità svaniva, lasciando posto ad altro. Avevo perso appetito, avevo perso empatia verso il prossimo. La vendetta, era questo e solamente questo il mio unico pensiero. La mia unica ragione di vita. Sviluppai alcune abilità simili a quelle degli Indaco, non potevo leggere nella mente, ma potevo manipolarla, creare delle illusioni, far sognare qualsiasi cosa.
Una sorta di mostro dei sogni, che si nutriva delle paure altrui. L'uomo nero delle antiche favole. Il tutto accompagnato da forza, riflessi e velocità sovraumane. Non sentivo più né il freddo, né la stanchezza. Le ferite che mi infliggevo, vecchie e nuove, guarivano ad una velocità impressionante. Un Dio, questo ero, questo mi sentivo.

Ed eccoli li, dinnanzi a me. Spezzerò il loro legame, mi prenderò le loro vite. Ora.

«Walther, pensavo ormai fossi cibo per vermi. Pazienza, questa volta non fallirò» dissi sprezzante.

Walther mi scrutò, lo sguardo per nulla intimorito, o almeno così dava a vedere. Povero sciocco, non aveva ancora capito, nonostante il nostro ultimo incontro, con chi avesse a che fare.

«Colt, sei stato raggirato. Fermati finché sei in tempo, non capisci? Questa è una guerra tra Noah ed Isaac, sei diventato solamente una pedina nello scacchiere» mi fece notare Walther.

«Io non so chi sia questo Noah e non so che legame abbia con Isaac, ma credimi, possiamo trovare una soluzione pacifica, non costringermi, ti prego» era la voce di Hamada.

«Troppo tardi, mi dispiace. Guardami!!» urlai rivolgendomi alla ragazza Indaco, «Osserva quello che sono, cosa ho dovuto passare, io avevo la mia vita, poi siete arrivati voi Indaco e sei arrivato tu Walther, la mia vita non ha più senso» con una voce intristita chinai leggermente il capo. Ripensai al mio villaggio, alla mia gente. Non avevo avuto un esistenza agiata, ma era la mia, e mi era stata portata via, per sempre.

«Guardami!!!!» urlai di nuovo.
Non ero più umano, la pelle aveva assunto dei toni grigiastri, i miei occhi una volta color nocciola, erano di uno strano azzurro spento, non mi riconoscevo più, non ero più il Colt che tutti conoscevano. Ma ancora una volta, non mi importava. Vendetta, vendetta, vendetta.

Mi fiondai come una bestia feroce contro Hamada, ma questa non indietreggiò, ero pronto per affondare i miei artigli sul suo collo minuto. Ero li s pochissimi centimetri quando improvvisamente mi bloccai, i muscoli non rispondevano più. Non riuscivo a muovermi, ero impalato. Eppure...
Eppure mi ero stato detto che avrei avuto la forza necessaria, mi era stato detto che sarei diventato invincibile per qualsiasi creatura, Indaco e non.
Cosa stava andando storto? Come mai non riuscivo nemmeno a sfiorarla e soprattutto perché stavo tremando? Che sia... paura?

La ragazza Indaco continuava a fissarmi con quello sguardo magnetico, tanto inquietante quanto seducente. I nostri si incrociarono e finalmente capii. Per lei ero un insetto, uno di quelli che casualmente calpesti, senza nemmeno aver il benché minimo senso di colpa per averlo schiacciato. Ero qualcosa di trascurabile, qualcosa di poco conto.

Mi sentii piccolo. Infinitamente stupido.

«Non posso leggere nella tua mente, ma i tuoi occhi non tradiscono. Addio» disse con tono distante la ragazza Indaco.

Mi sollevò a mezz'aria con la forza del pensiero distendendomi gli arti. Cominciai a sentire una strana pressione, i muscoli si stavano strappando, le ossa rompendo, provai un dolore lancinante.
L'ultima cosa che ricordai in seguito, era il rumore sordo delle braccia e delle gambe che si staccavano dal tronco e il tonfo che feci ricadendo sulla neve soffice.

Lo sguardo fisso nel vuoto, una lacrima, una singola lacrima solcò il mio volto. Non era dovuto al dolore fisico, era la mia inadeguatezza, la mia impotenza. Questa mi provocava più sofferenza di qualunque cosa. Avevo fallito, anche così non ero riuscito ad avere la mia vendetta. Anche così, tutto era stato inutile.

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