10 - Disperazione

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* COLT *

Con il passare delle settimane Walther divenne molto più collaborativo. Ci diede un'enorme aiuto nel ricostruire i disastri che si erano abbattuti sulla nostra comunità. Non sembrava una persona malvagia. Nonostante il trattamento che gli stavamo riservando si stava dimostrando degno di fiducia, escludendo la tentata fuga di un mese fa. Forse ci eravamo davvero sbagliati su di lui.
Il suo tentativo di fuggire, però, mi mise in una brutta posizione con il consiglio. Hal aveva proposto il mio allontanamento. Diceva che ero ancora troppo giovane, troppo inesperto.
Sciocchezze.
La verità è che quell'idiota mi detestava, me come il mio defunto padre, la persona con cui era sempre in disaccordo. L'uomo che mia madre gli aveva preferito. Dopo la sua morte provò a rifarsi avanti con lei. La cosa mi disgustava. Era morto da soli tre mesi e lui non gli portava il benché minimo rispetto. Non mi sorprendeva. Non lo faceva quando era vivo, figuriamoci da morto. Fortunatamente mia madre era una donna risulta. Sotto quel punto di vista avevo preso da lei.

Quel giorno il turno di caccia prevedeva che fossimo io ed Hal ad inoltrarci nella foresta. Provai in tutti i modi ad oppormi, andando direttamente dalla vecchia Eloise. Non volle sentire storie:
"Andare a caccia può aiutare a creare o rafforzare un legame". Furono queste le sue parole. Come se un cinghiale o un cervo possano in qualche bizzarro modo farci sotterrare l'ascia di guerra. A volte facevo veramente fatica a comprenderla.
Fatto sta che quel giorno io ed Hal ci allontanammo dalla roccaforte, spalla a spalla, tra la neve in cerca di qualcosa che potesse sfamare la nostra gente.

«Ragazzino, vedi di non essermi di intralcio oggi» bonfonchiò Hal.
«Lo stesso vale per te. Idiota» gli feci eco.

Hal non rispose. Si limitò a lanciarmi una delle sue solite occhiatacce.
Ci addentrammo nella foresta. La fitta vegetazione rendeva obbligato il cammino da seguire. Hal mi disse che conosceva un buon punto dove erano soliti bazzicare dei cinghiali. Lo seguii.

Dopo circa due ore di cammino i nostri sforzi vennero premiati. Ne avvistammo uno bello grosso. Era imponente, con due zanne enormi, la pelliccia bruna ricoperta di fanghiglia, un odore talmente agre che si poteva percepire a metri di distanza. Non dovevamo farci notare o le nostre possibilità di cattura sarebbero state vane. Presi una freccia dalla sacca e tesi il mio arco. Ce lo avevo a tiro.
Feci un respiro profondo, poi espirai e lasciai partire il colpo con forza e precisione. Centro! Un colpo perfetto, dritto negli occhi. Il cinghiale agonizzò a terra. Nemmeno se ne rese conto.
«Ah ah. Visto che fenomeno?» dissi con un certo orgoglio.
Hal mi guardò con aria imbronciata, poi ammise: «Non male ragazzo, non male».
Si avvicinò al cinghiale e con la scure gli aprì la pancia facendone fuoriuscire le interiora. Lo ripulì alla svelta, poi lo legò in modo da poterne agevolare il trasporto.

«Forza, è tardi. Dobbiamo tornare indietro. Tra poco sarà buio».

Il viaggio di ritorno non fu così spiacevole come quello dell'andata. Forse quella vecchiaccia, dopotutto, aveva ragione.

Eravamo praticamente alle porte di Zambon quando sentimmo delle grida provenire proprio dalla direzione della nostra roccaforte.
Io e Hal ci fissammo con sguardo incredulo. Temevamo il peggio. Che siano loro?
Lasciammo a terra il grosso cinghiale e ci precipitammo più velocemente che potevamo.

I nostri dubbi erano fondati.

Il cancello principale era completamente sfondato. Sembrava fosse passato un ciclone.
«Sono loro! Sono loro!» disse Hal con tono disperato.

«Si...» sussurrai.

«Maledetti. Questa volta li ucciderò con queste mani» Hal si precipitò all'interno di Zambon brandendo la sua fedele ascia.

«Aspettami!!» gli urlai mentre mi accingevo a raggiungerlo.

Lo spettacolo che ci trovammo di fronte era sconfortante: tutta la fatica che avevamo fatto per ricostruire, per dare una nuova speranza a Zambon, era stata spazzata via. L'essere spaventoso dalle iridi blu, era tornato! E questa volta non era solo. Un altro con i medesimi occhi lo precedeva. Era minuto, la vicinanza con l'altro lo rendeva ancora più evidente. Si limitava a seguirlo mentre il gigante con aria divertita distruggeva ogni abitazione o costruzione gli capitasse a tiro. Era pura crudeltà, non aveva il benché minimo senso, dentro quelle case vi erano donne, bambini, anziani. Perché? Perché facevano tutto ciò? Si divertivano forse?

Presi il mio arco e mi apprestai a scagliargli contro una delle mie frecce. Ma Hal nel frattempo si era avventato come un bufalo impazzito, urlando, contro di loro.
«Hal, fermati brutto idiota!!» gli gridai abbassando l'arma.

Lo vidi caricare contro il più piccolo dei due. Hal era un tipo robusto ed impotente, per un momento pensai che avrebbe avuto buone possibilità di farlo fuori.

Era praticamente a pochi passi da quell'Indaco quando all'improvviso si fermò. Immobile con la scure tesa verso l'alto.

«Cosa mi succede? Non riesco a muovermi» disse con espressione stupita.

I due continuarono ad avanzare come se Hal non esistesse, come se la sua presenza non fosse degna della loro attenzione.

«Maledetti, prendete questa!» tesi di nuovo la corda del mio fidato arco e mirai con quanta più precisione i miei nervi, che erano a fior di pelle, consentivano. La freccia da me scoccata si dirigeva diritta verso il bersaglio: il più esile dei due Indaco.
Stava per colpirlo, quando improvvisamente, in modo del tutto innaturale cambiò direzione. Se non lo avessi visto con i miei occhi non ci avrei mai creduto. La freccia come mossa da vita propria si diresse verso Hal, li ancora impalato con le braccia alzate e lo colpì. Dritto al cuore. Incredulo e con l'espressione del volto terrorizzata sgranò gli occhi e il corpo, ormai inerme si accasciò a terra. Morto.

Caddi in ginocchio. Avevo ucciso Hal?
No. Non io, loro. Lui!

Senza rendermene conto il mio viso venne solcato da copiose lacrime. Non riuscivo più a trattenermi. Odiavo Hal, ma non meritava quella fine misera.

Rimasi inginocchiato a terra con la disperazione che oramai si era impossessata di me. Il posto dove ero cresciuto, il luogo gelosamente custodito e protetto dai nostri avi, da mio padre, da Hal, da Eloise...

Distrutto. Tutto distrutto.

Osservai quei mostri recarsi verso la prigione.

Si fermarono.
Il più alto puntò il dito contro la parete della struttura e questa, come per magia, crollò.

Entrarono all'interno. Improvvisamente realizzai.

"Walther? Allora sono qui per lui!"

Mi dannai.
Era mia. Era tutta colpa mia.
Fui io a portarlo qui. Fui io a risparmiarlo. Io mi ero battuto per farlo lavorare alla ricostruzione di Zambon. Era rimasto qui, per tutto questo tempo.
Avrei dovuto ucciderlo. Aveva ragione Hal. Ora, forse, sarebbe ancora vivo.

Con le poche forze che mi restavano, barcollante corsi verso la cella. Non sapevo esattamente cosa avrei fatto. Ero mosso solamente dall'istinto. Istinto di vendetta!

"Walther, che tu sia maledetto!!"

***

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