12 - Patto

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~ WALTHER~

«Walt, su muoviti!!».
...
«Walt? Mi senti? Mi avevi promesso che saremmo andati nella zona proibita oggi».
...
La bambina che mi chiamava si avvicinò e mi prese per mano, era fredda, minuta, vellutata al tatto.
Mi resi conto che quella che stringeva, la mia mano, aveva anch'essa delle fattezze fanciullesce. Come era possibile tutto ciò?

«Ma che ti prende oggi? Stai male? Non fare l'antipatico. Me lo avevi promesso!» continuava a ripetermi la ragazzina mentre mi tirava per il braccio, costringendomi a seguirla.
La osservai meglio, poi finalmente la riconobbi: era Thalia, la mia vecchia amica d'infanzia. Mi iniziai a guardare intorno, il posto dove mi trovavo mi era molto familiare.
Riconoscevo quei cunicoli, riuscivo a ricordare alla perfezione ogni svolta, ogni angolo, ogni pietra. Non vi erano dubbi: ero a Karbon, ero a casa.

«Walt, sei strano oggi, più del solito» mi disse Thalia con vocina acuta, tipica di una bambina di otto anni
«Si...scusami» risposi con aria incerta, ancora frastornato da quello strano evento.
«Insomma, per la zona proibita? Dove dobbiamo girare?» chiese lei.
«Non penso sia una buona idea per due bambini andarci» era l'adulto in me che parlava.
Thalia mi fissò con i suoi occhioni verdi, poi sbottò: «Me lo avevi promesso da giorni e ora ti rimangi tutto? Se non mi porti allora lo dirò a tua madre. Le dirò che il suo Walt si addentra da solo nella zona proibita, uffa!»
Ricordavo che Thalia avesse un bel caratterino, fin da piccola. Le sorrisi con aria nostalgica «Thalia, con gli anni sei rimasta uguale, testarda come un mulo. Mi sei mancata sai?».
Mi guardò perplessa «Ma cosa stai dicendo? Su dai, quale delle tre vie?» chiese con tono impaziente ed irritato.
Mi rassegnai «Vieni, seguimi» prendendola per mano imboccai il cunicolo centrale.

Camminammo per qualche minuto, svoltando prima a destra, poi a sinistra, poi di nuovo due volte a destra. Ma non c'era rischio di perderci, conoscevo a menadito ogni angolo di Karbon.
«Ci siamo quasi, stammi vicina» dissi alla piccola Thalia. Lei fece un cenno di approvazione con il capo e si strinse più forte al mio piccolo braccio.
«Eccoci, dobbiamo scalare questa roccia e andare dalla parte opposta e saremmo arrivati».
Mi arrampicai con agilità su quella parete trovando ogni appiglio facilmente. Lo stesso non poteva dirsi per Thalia. Stava facendo molta fatica, così non sarebbe riuscita a salire.
«Aspetta. Vedo se hanno lasciato dall'altra parte una corda o una cosa simile» così andai. Una volta questa zona era adibita all'estrazione di un minerale che noi di Karbon utilizzavamo per fabbricare armi e oggetti di ogni tipo. Poi ci furono vari incidenti, la zona non era più sicura per via delle frane e l'attività venne sospesa. La grossa roccia che avevo scalato poco fa ne era la prova.

Iniziai a guardarmi intorno, poi vidi quello che cercavo: a pochi metri una spessa fune era raggomitolata su se stessa, insieme a scalpelli e secchi. Erano stati lasciati dai minatori di Karbon evidentemente. La raccolsi e me la misi in spalla.

Corsi di nuovo verso la roccia che mi sperava da Thalia. Improvvisamente sentii mancarmi la terra da sotto i piedi. La roccia cedette creando una voragine. Inizia a precipitare.

TONF!

Feci un volo di qualche metro. Ancora dolorante provai a sollevarmi da terra. Scrutai verso l'alto in direzione dell'apertura da cui ero caduto.
«Oh no, ora come faccio a risalire?»
Iniziai a guardarmi intorno. Riconoscevo quel posto: Mi trovavo nella grotta dei miei incubi; la grotta della ragazza Indaco!

...

Udii una risata, provenire da una direzione non meglio definita. Poi una voce profonda si rivolse a me.

«Finalmente. Sono pronto. Pronto per uscire».
Metteva i brividi. Non era di questo mondo, quei suoni, venivano direttamente dagli inferi.
«Chi c'è?» mentre come un forsennato mi guardavo intorno.

Poi vidi qualcosa. Somigliava ad un animale: un lupo? O forse un cane? Non saprei bene dire. Aveva quattro zampe, denti affilati come rasoi, orecchie corte e diritte. Due paia di occhi ambrati, quasi delle fessure che risaltavano nell'oscurità. Pelo corto completamente nero. Una coda lunga e appuntita che faceva ondeggiare con movimenti sinuosi. Tutto il corpo era avvolto da uno strano fumo nero. Sembrava ribollire dall'interno.

«Tu. Tu chi sei?» chiesi alla strana creatura. Era assurdo, ma non ne ero per nulla intimorito.

«Tu lo sai chi sono. Io sono te, una parte di te. Questo preciso momento lo abbiamo già vissuto quattordici anni fa. Come allora accompagnassi la tua amica in questa zona delle grotte. Sei caduto in questo pozzo. La mia prigione. Intrappolato da duemila anni. Duemila anni di solitudine. Debole, l'ombra di me stesso. Eri la mia occasione per lasciare questo posto. Facemmo un patto. Io ti avrei aiutato ad uscire, tu mi avresti permesso di vivere dentro di te, finché non sarei diventato abbastanza forte. Decisi poi di farti dimenticare questo giorno. Di farti vivere la tua vita normalmente, aspettando il momento giusto. Quel momento è arrivato»

Ascoltai la grossa bestia quasi ipnotizzato.
«Si... Thalia, il pozzo, tu. Io... so chi sei» cominciai a ricordare, ebbi un'epifania.
«Gli Indaco! Ho sbattuto violentemente la testa, ora ricordo. Sono...»

«Morto?» la creatura non mi lasciò terminare la frase. «Non ancora» disse poi.

«Cosa vuoi dire?».

«Sei a metà tra le due possibilità. In un limbo tra la vita e la morte. Io rappresento ciò che continua a tenerti ancorato a questo mondo, ancora per poco però. La decisione è tua, come lo fu quattordici anni fa, in questo momento che stiamo rivivendo. Se me lo permetterai ti farò tornare, sarai solo un po' diverso da ora. La mia volontà sarà come dire, più preponderante».

«E se mi rifiutassi?»

«Il mondo è pieno di umani da possedere e divorare, non sarebbe un grosso problema. Oramai sono abbastanza forte» sogghignò lo strano essere.

Scrutai i suoi quattro occhi giallognoli che mi fissavano a loro volta in attesa di una risposta.
«Non credo che tu mi stia dicendo tutta la verità».

Il grosso cane fece un passo indietro, poi digrignò i denti: «Che vuoi dire?».

«Hai appena detto, che tu sei una parte di me. Se è vero, anche io lo sono per te. Una tua parte intendo. Posso pensare quindi che se io muoio, la stessa sorte toccherà a te» conclusi.

Qualcosa di molto simile ad una risata uscì dalle sue fauci «Mi hai scoperto, non credevo lo avresti capito. Non così in fretta almeno».

Rimasi in silenzio a pensare, poi annunciai alla creatura:
«Accetto. Ma a patto che sia io a mantenere il controllo. Altrimenti non se ne fa niente».

La bestia non riuscì a trattenersi, questa volta stava ridendo copiosamente.
«Affare fatto, affare fatto!» disse con una certa eccitazione. Mi porse la grossa zampa nera, munita da artigli affilati che ricordavano dei coltelli, a simboleggiare il nostro accordo.
Feci altrettanto con la mia manina da fanciullo «Come posso chiamarti? Qual è il tuo nome?».

«Oh, nel corso dei secoli sono stato chiamato in molti modi. Tu, puoi chiamarmi Garmr».

***

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