18 - Aiuto

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∞HAMADA∞

Chiusi la porta e rientrai nella mia stanza. Il camino ancora acceso la rendeva un posto sicuro, confortevole, caldo.

Mi distesi sul letto, braccia raccolte, piedi incrociati, guardando un punto fisso sul soffitto. Cercai in tutti i modi di spegnere la mente, di non pensarci e di riposare. Non riuscivo. Le parole di Isaac sul suo concetto di giustizia mi stavano facendo per la prima volta vacillare. Per la prima volta, ed è strano sentirlo dire da me, stavo aprendo gli occhi. Volevo davvero far parte di tutto questo? Volevo davvero aiutare un'uomo il cui unico scopo e ragione di vita era il dominio assoluto? Un megalomane, un fanatico nel vero senso della parola.

No. Tutto ciò era inaccettabile. Decisi in quel momento che non avrei più servito una persona del genere. Una persona che ci aveva sempre considerati solo degli strumenti, mezzi per raggiungere il proprio fine. Non gli importava di noi. Il suo menefreghismo sul destino di Korovin e Sauer ne era la prova. La missione, era la sola cosa che contava e la missione era catturare Walther.

Walther... non riuscivo più ad entrare in contatto con lui. Era come se il nostro collegamento si fosse bruscamente interrotto. Iniziai davvero a pensare che fosse morto.

Mi sarebbe piaciuto incontrarlo, conoscerlo. Chissà in altre circostanze saremmo potuti anche andare d'accordo. Invece ho aiutato i miei fratelli e mio padre a dargli la caccia. Solo perché era un qualcosa di talmente assurdo che Isaac lo desiderava a tutti i costi. Lo avrebbe reso un arma al pari di noi Indaco, oppure nel caso lo avesse considerato una minaccia sarebbe stato ucciso senza troppi complimenti.

Basta. Ero stufa di tutto ciò. Stufa di inseguire i sogni di un altro. Volevo a tutti i costi trovare la mia strada, trovare il mio posto nel mondo. Non sarei più stata uno strumento nelle mani di nessuno.

Mi alzai di scatto dal letto. Aprii la finestra, l'aria gelida si propagò dentro la stanza e un brivido di freddo mi assalì. Mi affacciai guardando al di sotto: era alto. Forse venti metri o giù di li. Mi concentrai, chiusi gli occhi e incanalai tutto il mio potere. Non ci avevo mai provato veramente, ma sentivo di poterlo fare, sentivo che era possibile.

Mi sollevai di qualche centimetro dal pavimento di pietra grigia, poi tornai con i piedi a terra. Riprovai di nuovo, dovevo riuscirci. Feci altri tentativi, finalmente riuscivo a rimanere stabile, fluttuavo. Mi feci coraggio. Mi calai dal parapetto lasciandomi cadere. Iniziai a precipitare, cercando però di non andare nel panico e di restare desta e concentrata. Improvvisamente mi fermai, arrestai la mia caduta. Ero sospesa a mezz'aria, ferma nel vuoto. Stavo volando.

Come nei miei sogni di bambina, come il falco che avevo ammirato oggi pomeriggio. Era una sensazione nuova, una sensazione di libertà. Ci avevano sempre detto che il volo per noi Indaco non era possibile. Che non potevamo trasmettere su noi stessi i nostri poteri cinetici. Si sbagliavano, per me era possibile. Non c'era nulla che non potessi fare. Andai più in alto, l'aria era ancora più fredda, ma non mi importava, ero talmente euforica, una scarica di adrenalina non me lo faceva sentire. Osservai la torre di Luxor dall'alto. Le finestre appena illuminate, i mattoni di pietra incastonati, le ombre di chi passava di sfuggita da una finestra all'altra.

Era l'ultima volta che l'avrei vista.
«Addio, fratelli miei» dissi con tono nostalgico.

Mi voltai senza alcun ripensamento, con un po' di instabilità mi allontanai da Luxor, nella notte, nell'oscurità più profonda. Non sapevo ancora dove andare, mi sarei solamente fatta guidare dal destino.

-- Aiutatemi.

Una voce si era insinuata nella mia mente, distraendomi. Bastò così poco per farmi perdere la concentrazione. Ero a una decina di metri di altezza, iniziai a precipitare.

TONF!

Urtai contro il tetto di una casa e rotolai di sotto, la neve fresca attutì la caduta.

«Cosa è stato?» un uomo aprì di scatto la porta trovandomi al suolo dolorante.

«Oh mio Dio. Sei ferita? Ti aiuto» disse mentre si avvicinava.
Provò a sollevarmi e i nostri sguardi inevitabilmente si incrociarono. Appena vide i miei occhi l'uomo esitò, poi mi sorprese, mi portò dentro.

«Vieni, non avere paura. Entriamo in casa» disse aiutandomi ad alzarmi e trascinandomi dentro casa.

Varcammo la soglia e mi mise seduta su una poltrona di vimini.
Avevo violentemente battuto la testa, sentivo il sangue sgorgare dalla fronte. Mi ero procurata una ferita alla testa.

«Stai bene? Cosa ci facevi sul mio tetto?» mi chiese mentre mi porgeva un bicchiere d'acqua.

Feci un cenno con la testa ed allungai la mano. Bevvi con avarizia quel bicchiere d'acqua fresca. Poi iniziai a ricordare: quella voce nella mia testa. Si, l'avevo riconosciuta; era Korovin, stava provando a mettersi in contatto con me.

«Io mi ricordo di te. Ieri, al mercato. Eri con la donna bellissima e quell'altro Indaco» osservò.

Lo guardai ma non gli risposi. Mi concentrai sulla figura di Korovin e caddi in trance.

***

Aprii gli occhi.

Mi ritrovai su un viale innevato. Il sentiero conduceva sulla cima di un colle, vi era una piccola abitazione. Spartana, con il tetto a strapiombo, le finestre minuscole, quasi diroccata.

Lo percorsi a grandi falcate e mi trovai di fronte la porta di legno marcio. La aprii con delicatezza ed entrai. Il posto sembrava abbandonato, era tutto sottosopra. Il fuoco spento. Sembrava ci fosse appena stata una lotta. Poi lo vidi: era mio fratello Korovin li in un angolino.

«Korovin» dissi.

«Dunque è questo, il mio subconoscio. Avrei dovuto immaginarlo» disse mentre si guardava intorno.

«Questa era casa tua?» gli chiesi con tono cauto.

«Si, qui è dove sono cresciuto. Tutto è rimasto come allora, quel giorno in cui quei banditi uccisero i miei genitori e risvegliai i miei poteri di Indaco» mi rispose con una nota di tristezza.

«Non sapevo del tuo passato, non ne abbiamo mai parlato» ammisi.

«Non dispiacerti. Nessuno di noi fratelli conosce il passato dell'altro. Abbiamo tutti una storia, una storia che preferiremmo dimenticare».

«Cosa è successo? Ho avvertito la tua richiesta d'aiuto» chiesi cercando di cambiare in fretta argomento.

Korovin abbassò lo sguardo. Non lo avevo mai visto così, l'atteggiamento sempre fiero fece posto ad uno dismesso, mortificato.

«Sauer. È morto. Quel tizio Walther, è il diavolo in persona. Io sono vivo per miracolo, sono ferito. Inoltre credo di aver perso per sempre un occhio. Alberga una doppia personalità in lui, l'ho avvertito chiaramente. Hamada: va fermato, è una minaccia non solo per noi Indaco ma per tutti gli uomini».

Rimasi impassibile ad ascoltare mio fratello. Avevo avuto una strana sensazione ma non credevo fosse così grave. Non riuscivo a credere che Sauer fosse stato ucciso. Non amavo mio fratello maggiore ma la cosa mi turbava.

«Verrò a prenderti. Tu cerca di resistere» gli dissi con risolutezza.

«Ci vorrà del tempo, sono molto lontano da Luxor» mi fece notare.

«Non preoccuparti, ora devo andare. Resisti».

***

Interruppi il collegamento e tornai alla realtà.

Mi alzai dalla sedia di vimini e senza dire una parola uscii dalla casa dell'uomo che mi aveva aiutato.

«Ehi, dove stai andando? Sei debole, non puoi uscire con questo tempo...» disse mentre mi rincorreva, uscendo dalla porta.

Mi sollevai di nuovo da terra, alta nel cielo, lasciando il mio salvatore a bocca aperta.

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