Capitolo 3 - la leggenda

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Noli
10 agosto 1995
Ore 6,40

Il castello sovrastava la collina.
Era così da sempre, da quando i racconti degli uomini si perdevano nella memoria, da quando la memoria si perdeva nella storia e da quando la storia si trasformava in leggenda.
Il castello sovrastava una collina, che sovrastava un borgo, che sovrastava il mare.
Alzando lo sguardo dai carruggi che si infilavano nella terra come arterie piene di sangue rappreso, lo si poteva guardare dormire lassù, in silenzio, a fare da tramite tra la roccia e le nuvole.
Massimo lo aveva visto tante volte, quel maledetto castello.
E per tante volte si era fermato a pensare che forse, suo nonno, era solo un pittore pazzo, dotato della cultura di un professore universitario e troppo impegnato ad affogare nella storia da scordarsi di viverla.
La Quinta repubblica era stata dimenticata dal mondo, nel modo in cui ci si dimentica il sapore di una caramella troppo dolce assaggiata da bambini.
Aveva lasciato alle grandi sorelle il compito di sopravvivere ai secoli, sonnecchiando dimenticata su un litorale che ora poteva contare un'infinità di spiagge colorate, di bambini urlanti e di chioschetti di gelato dalle dubbie autorizzazioni sanitarie.
Eppure nei vicoli della Noli vecchia, quella leggenda continuava a soffiare sul collo degli uomini.
Raccontata dagli anziani, sussurrata dagli adulti, derisa dai giovani e temuta dai bambini.
Era la storia della donna a cui nessuno era mai riuscito a dipingere gli occhi. Di un quadro rubato, e di tanti ritratti, tutti uguali, tutti della stessa donna, persi nelle pieghe del tempo.
Massimo ricordava le parole di suo nonno, sempre solo bisbigliate, nell'ora in cui la notte strappava lo scettro all'imbrunire.
"Quella donna tornerà, figliolo, e a te toccherà il compito di riconoscerla... e di dipingerla.
Avrà gli occhi liquidi, impossibili da dimenticare.
Solo se il dipinto tornerà al suo posto le pieghe del tempo si apriranno e la Quinta repubblica si riprenderà il suo posto nella storia"
Massimo ci aveva creduto un tempo. Poi era cresciuto, e il timido bambino che andava a rubare i gamberi incastrati nelle reti dei pescatori, si era trasformato nel professore di storia medioevale che occupava la cattedra dell'Università di Genova.
Aveva cercato tracce credibili della leggenda di Noli, lo aveva fatto per anni. E alla fine aveva provato a smettere di crederci, senza mai riuscirci del tutto.
Quando salì verso monte Ursino, in quel giorno di agosto, sapeva che avrebbe trovato un ammasso di pietre abbandonate ai rovi e all'incuria, un panorama mozzafiato e una quantità indefinita di ricordi da provare a metabolizzare.
Non si aspettava nulla di più, così come accadeva da molti anni a quella parte nel giorno in cui, si diceva, la leggenda si sarebbe rivelata.
Eppure continuava a farlo, anno dopo anno, continuando anche a darsi dello stupido. Ogni maledetta volta.
Fu allora che la vide.
Aveva i pantaloncini da trekking di due taglie più grandi, un improbabile cappello piantato sulla testa ed un eccesso di crema solare a dipingerle il naso come un pellerossa troppo maldestro per disegnarsi a dovere i segni di guerra.
Il frusciare delle foglie la fece voltare di scatto, con gli occhi spalancati e la bocca pronta ad urlare.
Era bella, forse.
Sorrideva, forse.
Massimo non sapeva dirlo.
Perché i suoi occhi, seminascosti dall'ombra di una visiera troppo grossa, gli mozzarono il respiro.
Erano occhi liquidi, impossibili da dimenticare.
Ed erano lì, dove dovevano essere, al sorgere del sole del 10 agosto.
Si avvicinò piano, Massimo, con quel poco di calma che ancora gli concedeva un cuore impazzito, intrappolato tra la gola e le costole.
Lei raccolse lo zaino, abbandonando in malo modo una bottiglietta di acqua sull'ultimo scalino prima della porta di legno quasi marcio.
Gli rivolse un altro sguardo spaventato, prima di correre verso la collina e di sparire nella boscaglia che disegnava l'orizzonte del mare.
Quando tornò in paese, uno strano senso di nausea gli premeva alla bocca dello stomaco, impedendogli quasi di respirare.
Entrò nel bar al fondo del paese, quello più sfigato di tutti, dove nemmeno i vacanzieri di lunga data si erano mai azzardati ad entrare.
Era il bar dei vecchi con il cappello, delle birre da due soldi, dei giochi di carte e delle bestemmie fantasiose a cui solo i liguri sono in grado di dare vita con tanta enfasi.
Ma, soprattutto, era il bar di Giacomo. L'unica persona al mondo a cui Massimo avesse concesso il lusso di conoscere il suo tormento.
Perché lui, il professore di storia più stimato del suo tempo, non poteva dar peso alla vecchia leggenda che aleggiava su Noli. Non poteva farlo con nessuno. Se non con Giacomo. Che, malgrado l'avvento dei computer, di internet, della globalizzazione, della finta cultura da due soldi sbandierata ai quattro venti dalle riviste di gossip, continuava ad essere un uomo di altri tempi. Un uomo a cui, una leggenda impregnata di storia, di mistero, di castelli e di donne dagli occhi impossibili da dipingere, poteva continuare a far vibrare il respiro.
Si avvicinò al bancone, ordinò la sua solita birraccia annacquata, prima di darne un sorso svogliato e di pulirsi la parvenza di schiuma con il dorso della mano.
«Se ti dicessi che l'ho vista, Giacomo?»
Il barista, dal grembiule sgualcito e sporco di fondi di caffè, si girò di scatto.
«E cos'è che avresti visto? Belin, hai una faccia che sembra ti abbiano preso a schiaffi!»
Massimo alzò lo sguardo, puntandolo nei suoi occhi scuri, appesantiti da una vita di lavoro impietoso.
«Lei, ho visto lei... Questa mattina all'alba, su, a monte Ursino.»
Giacomo gettò lo straccio logoro con cui si ostinava a far finta di asciugare i bicchieri.
«Oggi è il 10 di agosto, Massimo...»
«Lo so...»
«Tuo nonno aveva ragione!»
«Mio nonno era un pittore pazzo, Giacomo!»
Il barista fece il giro del bancone, gli si avvicinò ignorando il primo rutto del giorno di un ubriaco accasciato su una sedia nell'angolo.
«La leggenda esiste, è sempre esistita, con o senza tuo nonno e i suoi maledetti dipinti trafugati dai nazisti!»
Massimo si fermò per un attimo a pensare quanto la cultura di Giacomo si scontrasse con il contorno putrido della sua vita, come gli aveva detto tante volte.
Poi si riprese, lo guardò nuovamente negli occhi.
«Tutti avremmo dovuto aspettarcelo, ma nessuno se lo sarebbe mai aspettato!»
Sussurrò, cercando di porre fine al potere di una birra tanto amara da far accartocciare le papille gustative.
«Già... Ogni vecchio di Noli sapeva che sarebbe apparsa, prima o poi. Eppure nessuno ha mai lasciato intendere di crederci.
Ma è dalla notte della presa di Noli del 1797 che si cerca quel dipinto. Così come è da quella notte che puntualmente, ogni cinquanta anni, arriva una Francesca uguale a quella prima.
Tuo nonno l'aveva trovata, e il nonno di tuo nonno prima di lui.
Quei maledetti tedeschi hanno fatto razzia dei dipinti fatti dopo la campagna d'Italia, ma la memoria di Noli non si può rubare, Massimo!
E il custode di quella memoria sei tu.
Può piacerti o meno, puoi crederci o meno. Ma se Francesca è apparsa, allora quelle di tuo nonno non erano solo favole!»
Giacomo lo disse con la facilità con cui si comunica l'esito di una partita di calcio.
«Forse è solo una puttanata!» biascicò Massimo a fior di labbra.
La sua parte razionale avrebbe fatto qualsiasi cosa per riuscire a smettere di credere a quella leggenda. Ma il suo cuore, quello no, restava un indomabile cacciatore di indizi. Si perdeva tra le pagine di mille libri, cercando una qualsiasi traccia che potesse avallare quella maledetta storia.
«Forse... O forse la leggenda è vera, Massimo! E se la Quinta repubblica potesse davvero rinascere, se la storia potesse davvero essere cambiata?» Fece una pausa. Massimo sentì il suo sguardo perforargli la fronte. «Sai dove è andata?»
Si lasciò scappare dopo un tempo che gli parve infinito.
«No...»
Un altro rutto scosse l'aria stantia del bar putrido.
«Devi trovarla, Massimo! Devi dipingerla. E provare a rimettere il quadro al suo posto!»
Un'alzata di spalle, un nuovo sorso schifoso di birra.
«E se non fosse lei?»
Giacomo sorrise.
«Se non fosse lei avresti una crosta da due soldi in più nella tua collezione in cantina!»
Una risata sommessa.
«Come faccio a capirlo?»
Il barista gli strappò il bicchiere dalle mani, si fece abbindolare anche lui dalla fanghiglia travestita da birra.
«Lo capirai, Massimo. Dovrai solo provare a dipingerle gli occhi...»

La donna a cui nessuno riuscì a dipingere gli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora