Capitolo 25 - l'uomo nell'ombra

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Sotterranei segreti di monte Ursino
12 agosto 1995
Ore 01,00

Massimo stava provando un'insieme di sensazioni che si accavallavano in contemporanea, spingendo luna sull'altra, fino a fargli venire voglia di vomitare.
Un uomo giaceva morto a terra, con un proiettile piantato in testa, un altro si nascondeva nel buio delle scale e un tesoro, un tesoro immenso, che superava ampiamente qualsiasi racconto complottista sui cavalieri Templari, se ne stava silente, accumulato per seicento anni, nel sotterraneo alle sue spalle.
La paura lo faceva tremare, l'eccitazione della scoperta accademica dal valore inestimabile gli faceva vibrare lo stomaco.
Francesca si era appena lasciata scappare un urlo, smorzato dalle mani ancora ancorate davanti alla bocca.
Per un secondo il sotterraneo rimase nel silenzio più assoluto, invaso dall'odore del propellente appena rilasciato dalla canna della pistola sconosciuta.
Poi una figura emerse dall'ombra.
Un cappello da baseball celava il volto del loro salvatore, o del loro nuovo carnefice.
Massimo non si stupì di pensare che più di un uomo potesse ambire al tesoro immenso, custodito dietro alle sue spalle.
«Problema risolto!» la voce dell'uomo sconosciuto vibrò nell'aria satura di umidità.
Per un attimo un brivido attraversò la schiena di Massimo. Lui conosceva quella voce, la conosceva bene!
L'uomo fece un passo in avanti, mentre si sfilava il cappello da baseball con la mano destra.
«Ciao Massimo.»
Un moto di riconoscenza gli si insinuò nelle braccia. Erano salvi! Accennò un passo in avanti.
Poi vide che Giacomo non abbassava la pistola.
«Cosa...?» le parole gli morirono nella gola, mentre osservava le labbra del suo più caro amico incurvarsi in un sorriso glaciale.
«Sorpreso, Massimo?»
Con la coda dell'occhio vedeva la testa di Francesca muoversi repentinamente dal suo volto a quello di Giacomo, cercando spasmodicamente una spiegazione.
«Quindi tutte le storie sul fascino della storia, sulla magia che esercitava su di te la leggenda, sul passato da riscoprire, sulla grandezza della Quinta repubblica... Erano solo balle. Non ti è mai fregato un cazzo di tutto questo. Volevi solo trovare il tesoro!» gli ringhiò Massimo in faccia con rabbia.
«Così mi offendi, amico mio!»
«Non chiamarmi amico!» lo interruppe sgraziatamente.
«Non mi importa niente del tesoro! Voglio solo i documenti segreti!»
Massimo sentiva la testa scoppiare. Gli sembrava di essere stato catapultato in un film di spionaggio mal girato. Non capiva più nulla di quello che gli stava accadendo intorno.
«Di quali documenti stai parlando? Non esiste nessun documento!»
«Oh si che esistono! E sono nascosti qui, da oltre trecento anni, senza che nessuno lo sappia!»
Giacomo sembrò spazientirsi, poi riprese a parlare.
«Allora, amico mio.» insistette. «Non ho alcuna intenzione di farti del male. A me interessano solo quelle dannate carte! Lascia che le prenda, che le distrugga, e tu e Francesca potrete andarvene liberamente. Tanto se proverete a raccontare tutto questo, la gente troverà solo questo tesoro dal valore inestimabile. Ti daranno del pazzo, come hanno dato a tuo nonno per tutta la vita. La stampa si concentrerà sulle monete antiche, sui medaglioni rari, sulle effigi del 1200, e si dimenticherà di pensare che Noli abbia potuto avere una storia Gloriosa. Quella pala d'altare lì...» disse indicando l'oggetto sacro alle sue spalle. «Sembra appartenere a Giunta Pisano, o ad un allievo della sua scuola. Basterebbe da sola a distogliere l'attenzione dalle carte che sto cercando!»
Massimo corrucciò la fronte. Era vero, la pala d'altare che aveva alle spalle poteva effettivamente appartenere al Giunta Pisano.
Come diavolo faceva Giacomo a riconoscere al primo sguardo, con tanta sicurezza, l'opera di un artista la cui fama era sicuramente inferiore ad un Giotto o ad un Cimabue?
«Io farò una dichiarazione alla quale tutti crederanno, dicendo che Genova aveva deciso di nascondere qui le sue ricchezze per sottrarle alle razzie delle guerre.» proseguì l'uomo che aveva ascoltato i suoi pensieri più segreti da quasi tutta la vita.
«E perché dovrebbero ascoltare il barista di uno squallido bar di provincia?» chiese Massimo con rabbia.
Qualcosa non gli quadrava.
Giacomo rise di gusto, mostrando la fila di denti bianchi che luccicò al cospetto del fuoco.
«Tu credi davvero che quel pulcioso bar fosse il mio lavoro? Che rappresentasse il fulcro della mia vita? Me lo hai sempre detto anche tu, amico mio. La tua cultura si scontra drasticamente con lo squallore che ti circonda
Massimo faticava a respirare.
«La verità, illustre professor Bottari è che io non mi chiamo Giacomo, non amo quella schifosa birra annacquata che sono costretto a servire, detesto le bestemmie e mal tollero le espressioni dello stomaco atto a portare a termine la digestione. Tu mi conosci in entrambe le mie vite, che interpreto da quasi trenta anni, solo che non hai mai collegato la stessa persona alle due facce della mia esistenza.»
Massimo cominciò a sentire la testa che girava convulsamente.
«Piacere di conoscerla di persona, professor Bottari. Sono il professor Ignazio Appiani, direttore della biblioteca di storia della città di Genova.»

La donna a cui nessuno riuscì a dipingere gli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora